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Prestazioni aggiuntive: Diritto alla retribuzione

Un operatore sanitario ha svolto prestazioni aggiuntive per un progetto di ‘dialisi estiva’ senza ricevere il compenso per due anni. La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 11946/2024, ha stabilito che, anche in assenza di autorizzazione regionale, il lavoro effettivamente svolto con il consenso del datore di lavoro deve essere retribuito come straordinario, proteggendo il diritto del lavoratore.

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Pubblicato il 14 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Prestazioni Aggiuntive Sanità: il Diritto alla Paga Anche Senza Autorizzazione

Il tema delle prestazioni aggiuntive nel settore sanitario pubblico è spesso fonte di contenzioso. Un lavoratore che svolge ore extra su richiesta del proprio datore di lavoro ha diritto a essere pagato anche se mancano le autorizzazioni formali previste dalla legge? A questa domanda ha dato una risposta chiara e netta la Corte di Cassazione con l’ordinanza in esame, stabilendo un principio fondamentale a tutela del lavoro effettivamente svolto.

I Fatti del Caso

Un operatore sanitario, dipendente di un’Azienda Sanitaria Provinciale, aveva partecipato per anni a un progetto denominato ‘dialisi estiva’, finalizzato a garantire l’assistenza a pazienti dializzati in vacanza nella regione. Per gli anni 2014 e 2015, l’Azienda non aveva corrisposto il compenso per queste ore di lavoro svolte al di fuori del normale orario.

L’operatore aveva quindi ottenuto un decreto ingiuntivo per la somma di circa 4.800 euro. L’Azienda Sanitaria si era opposta e la Corte d’Appello le aveva dato ragione, revocando il decreto. Secondo i giudici di secondo grado, il lavoratore non aveva fornito la prova dell’esistenza di una specifica autorizzazione regionale, requisito ritenuto indispensabile dalla normativa (D.L. 402/2001) per poter retribuire le prestazioni aggiuntive.

La Questione Giuridica: Autorizzazione Formale vs. Lavoro Svolto

Il caso è così giunto dinanzi alla Corte di Cassazione. Il punto cruciale era stabilire se la mancanza di un’autorizzazione formale da parte della Regione potesse giustificare il mancato pagamento di un’attività lavorativa richiesta, autorizzata e utilizzata dall’Azienda Sanitaria stessa.

La difesa del lavoratore sosteneva che la Corte d’Appello avesse errato nel non considerare che le prestazioni erano state eseguite su esplicita richiesta dell’Azienda, la quale aveva persino quantificato le ore svolte e il compenso dovuto a ciascun dipendente, dimostrando così un pieno ‘consenso datoriale’.

Le motivazioni della Cassazione sulle prestazioni aggiuntive

La Suprema Corte ha accolto il ricorso del lavoratore, cassando la sentenza d’appello e rinviando la causa per un nuovo esame. I giudici hanno ribadito un orientamento ormai consolidato in materia.

La Corte ha chiarito che, sebbene le prestazioni aggiuntive, ai sensi della normativa specifica, richiedano una serie di presupposti formali (come l’autorizzazione regionale e una determinazione tariffaria), la loro mancanza non cancella il diritto del lavoratore a essere retribuito.

Il principio cardine applicato è quello sancito dall’art. 2126 del Codice Civile, che tutela il lavoro effettivamente prestato. Se un dipendente svolge ore di lavoro oltre il proprio orario, con il consenso espresso del datore di lavoro, ha diritto al compenso per lavoro straordinario. Il ‘consenso datoriale’ è l’unico elemento che condiziona questo diritto.

La mancanza delle autorizzazioni amministrative (come quella regionale) è una questione che attiene alla responsabilità interna dei funzionari della Pubblica Amministrazione e alla corretta gestione della spesa pubblica, ma non può essere usata come scudo per negare la retribuzione a chi ha lavorato.

Le conclusioni

La decisione della Cassazione rafforza un principio di equità e giustizia fondamentale: il lavoro si paga. Una Pubblica Amministrazione non può beneficiare di una prestazione lavorativa e poi rifiutarsi di pagarla adducendo proprie mancanze burocratiche. Il lavoratore che agisce in buona fede, rispondendo a una richiesta del proprio datore di lavoro, è tutelato nel suo diritto alla retribuzione. La sentenza chiarisce che, in assenza dei requisiti formali per le prestazioni aggiuntive, il compenso sarà calcolato secondo le regole del lavoro straordinario previste dal contratto collettivo, garantendo comunque al dipendente il giusto corrispettivo per l’impegno profuso.

Un dipendente pubblico ha diritto al compenso per lavoro extra se manca l’autorizzazione formale richiesta dalla legge?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, se il lavoro è stato svolto con il consenso del datore di lavoro, il dipendente ha diritto a essere retribuito come lavoro straordinario, in base al principio che tutela la prestazione lavorativa effettivamente eseguita (art. 2126 c.c.), anche in assenza di autorizzazioni formali.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza d’appello?
La Corte ha annullato la sentenza perché i giudici d’appello si erano concentrati erroneamente sulla mancanza dell’autorizzazione regionale, ignorando il principio fondamentale secondo cui il lavoro prestato con il consenso del datore di lavoro deve sempre essere retribuito. La mancanza di un requisito formale non può prevalere sul diritto alla retribuzione.

Che differenza c’è tra ‘prestazioni aggiuntive’ e ‘lavoro straordinario’ in questo specifico caso?
Le ‘prestazioni aggiuntive’ sono una categoria specifica di lavoro extra nel settore sanitario, soggetta a requisiti formali come l’autorizzazione regionale. Se questi requisiti mancano, la prestazione non può essere classificata come tale, ma se è stata svolta con il consenso del datore di lavoro, deve comunque essere retribuita come ‘lavoro straordinario’ secondo le regole generali previste dal contratto collettivo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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