Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 13211 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 13211 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 19/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18113/2023 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME e NOME COGNOME con domicilio digitale come in atti.
-RICORRENTE- contro
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati COGNOME NOME COGNOME con domicilio in Roma, INDIRIZZO presso l’avv. NOME COGNOME
-CONTRORICORRENTERICORRENTE INCIDENTALE- avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di LECCE n. 509/2023, depositata il 09/06/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/03/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Lecce ha ingiunto all’avv . NOME COGNOME il pagamento di euro 63.156,31 in favore di NOME COGNOME quali compensi per l’ attività di consulenza contabile svolta dall’ ottobre 1998 al settembre 2011.
Il COGNOME ha proposto opposizione, affermando che il rapporto doveva ritenersi a titolo gratuito evidenziando che, solo dopo la rottura dei legami di amicizia, a distanza di anni, il COGNOME aveva chiesto di essere pagato. Ha eccepito la prescrizione del credito e la totale carenza di prova delle attività, proponendo riconvenzionale per ottenere il pagamento di €. 30.930,95 per la difesa di controparte in talune controversie civili.
Il Tribunale ha respinto le domande di entrambe le parti, ritenendo, per ciò che concerne il credito azionato in via monitoria, che il rapporto professionale fosse a titolo gratuito.
La sentenza è stata parzialmente riformata dalla Corte distrettuale di Lecce, che ha condannato l’attuale ricorrente al pagamento della minor somma di euro 6.180,47, oltre accessori legali e di legge, previa detrazione delle competenze liquidate in favore de ll’ opponente. La sentenza ha stabilito che il rapporto era a titolo oneroso, reputando non decisivo che nessun compenso fosse stato chiesto per anni dato che non sussistevano rapporti di amicizia diretti tra le parti, che era stato lo stesso ricorrente a chiedere che fosse quantificato il compenso del commercialista e lo stesso difensore era stato a sua volta pagato per aver patrocinato nell’interess e di controparte.
L’Avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, cui ha resistito NOME COGNOME con controricorso e ricorso incidentale affidato a tre motivi.
Il Consigliere delegato, ravvisati profili di inammissibilità ed infondatezza di entrambi i ricorsi, ha proposto la definizione del giudizio a norma dell’art. 380 -bis c.p.c..
L’avv. COGNOME ha depositato istanza di decisione.
Entrambe le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
NOME COGNOME non ha proposto istanza di decisione e, pertanto, il ricorso incidentale deve ritenersi rinunciato.
Con il primo motivo del ricorso principale si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss., 2229, 2230, 2233 c.c., per aver la Corte di merito omesso qualsivoglia indagine tesa a ricostruire la comune volontà delle parti alla luce del comportamento inerte tenuto per un lungo arco temporale durante il quale non erano state avanzate richieste di pagamento, occorrendo considerare che ciascuna delle parti aveva inteso rendere la propria opera gratuitamente data l’ amicizia che le univa, non potendosi rinvenire nelle missive successive alla rottura dei rapporti un riconoscimento del debito da parte del ricorrente.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2697, 2727 e 2729 c.c., per aver la sentenza escluso che le attività fossero state svolte a titolo gratuito pur in presenza della pluralità di elementi contrari, quali l’assenza di richieste di pagamento per un lungo arco temporale, i rapporti di amicizia, la reciprocità delle prestazioni.
I due motivi sono suscettibili di esame congiunto e vanno respinti per le ragioni che seguono.
La Corte ha correttamente premesso che nel contratto di prestazione d’opera intellettuale, come nelle altre ipotesi di lavoro autonomo, l’onerosità è elemento normale, anche se non essenziale, sicché, per esigere il pagamento, il professionista deve provare il conferimento dell’incarico e l’adempimento, non anche la pattuizione di un corrispettivo, mentre è onere del committente dimostrare l’eventuale accordo sulla gratuità della prestazione (Cass. 23893/016)
L’art. 2222 c.c., nel definire la nozione del contratto d’opera, espressamente contempla l ‘ obbligazione del corrispettivo a carico del committente; è consentito alle parti stabilire che la prestazione dell’opera avvenga senza compenso, ma in considerazione del carattere eccezionale della prestazione di lavoro gratuita, il rapporto deve ritenersi a titolo oneroso in difetto di una chiara dimostrazione
di una concorde volontà contraria (Cass. n. 331/63; Cass. 28226/2021; Cass. 27624/2024).
L ‘insufficienza degli el ementi volti a sostenere il perfezionamento di un patto di gratuità delle attività professionali svolte da NOME COGNOME ha condotto il giudice di merito a ritenere dovuti i corrispettivi richiesti con il ricorso monitorio.
I pagamenti ricevuti dall’avv. COGNOME per talune pratiche (giudizio n. 4216/2016), primo indice dell’assenza di un patto di reciproca gratuità, l’esplicita sollecitazione da parte del difensore a che fossero quantificate le competenze del resistente, la sussistenza di rapporti di amicizia solo mediati, la reciprocità delle prestazioni sono apparse alla Corte di merito tali da ridimensionare il rilievo indiziario della mancanza di richieste di pagamento per un lungo arco temporale.
L ‘esistenza di rapporti di amicizia e frequentazione -qui, peraltro, soltanto indiretti – non depone necessariamente per la gratuità dell’incarico ; in mancanza di un patto di gratuità, la reciprocità delle prestazioni giustificava l’assenza di richieste di pagamento senza escluderne l’onerosità o impedire, a distanza di tempo, la definitiva regolazione economica.
Con il terzo motivo di ricorso si censura la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., contestando alla Corte di merito di aver accolto la domanda di pagamento nonostante l’assenza di prova dell’effettuazione di tutte le attività descritte in atti.
Il motivo è infondato.
L ‘individuazione delle prestazioni si rinviene a pag. 10 della sentenza, ove è valorizzato l’ultimo scambio epistolare tra le parti , la stessa richiesta del ricorrente, indirizzata ad NOME COGNOME di quantificare i corrispettivi di cui questi aveva chiesto il pagamento, e la documentazione concernente la delega per il ritiro della documentazione, senza alcuna contestazione delle prestazioni.
Il relativo accertamento, non efficacemente censurato, attiene al giudizio di fatto che è sottratto, quanto agli esiti, al sindacato di
legittimità, potendosi solo controllare sotto il profilo logico e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione del giudice di merito, a cui resta riservato di individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra esse, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass. 9097/2017; Cass. 32505/2023; Cass. 10927/2024).
Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 n. 4 c.c. , affermando che il credito professionale del commercialista, dovendo esser saldato entro l’anno, era soggetto alla prescrizione breve.
Il motivo è infondato.
La sentenza ha respinto l’eccezione di prescrizione breve per aver il ricorrente contestato il credito.
A differenza della prescrizione ordinaria, quella presuntiva si basa su una prova presuntiva agganciata a ll’avvenuto pagamento integrale del credito azionato, condotta che fa presumere che, nell’intervallo prefissato per legge, il creditore non abbia richiesto il pagamento o messo in mora il debitore (Cass. 16126/2019).
L ‘eccezione è incompatibile con le difese che presuppongono il mancato pagamento del credito o la sua stessa sussistenza, poiché, in tal caso, il debitore ammette, implicitamente, di non aver adempiuto (Cass. 17595/2019; Cass. 2977/2016; Cass. 26986/2013; Cass. 23751/2018).
Detta ammissione può risultare dalla contestazione dell’entità della somma richiesta (Cass. 31105/2001; Cass. 9467/2001; Cass. 4015/2002; 12771/2012; Cass. 11911/2014) o dal fatto che il debitore abbia negato l’esistenza, in tutto o in parte, del credito, abbia indicato un diverso creditore o ammesso di aver versato una somma inferiore a quella pretesa dalla controparte.
Il ricorso principale è, quindi, respinto; quello incidentale è, come detto, rinunciato, con estinzione parziale del giudizio.
Le spese sono compensate in considerazione dell’esito del presente giudizio di legittimità e dell’avvenuta rinuncia al ricorso incidentale. Poiché l’impugnazione principale è stata definita in senso conforme alla proposta formulata ai sensi dell’art. 380 -bis, c.p.c., ma è stata disposta la compensazione delle spese, va applicato -come previsto dal terzo comma, ultima parte, dello stesso art. 380-bis, cod. proc. civ. -il solo quarto comma dell’art. 96, cod. proc. civ., con conseguente condanna del ricorrente al pagamento in favore della cassa delle ammende, di una somma di denaro nei limiti di legge (non inferiore ad € 500 e non superiore a € 5.000; cfr. Cass. S.u. 27433/2023; Cass. s.u. 27195/2023; Cass. s.u. 27947/2023).
Si dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del solo ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1- bis dello stesso art. 13, se dovuto, avendo il ricorrente incidentale rinunciato all’impugnazione.
P.Q.M.
dichiara l’estinzione del giudizio relativamente al ricorso incidentale, rigetta il ricorso principale, dispone l’integrale compensazione delle spese di legittimità e condanna il ricorrente principale al pagamento di € 1500,00 in favore della Cassa delle ammende.
Dà atto, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115/02, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione