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Prestazione professionale gratuita: chi deve provarla?

La Corte di Cassazione ha stabilito che la prestazione professionale si presume sempre onerosa. In un caso tra un avvocato e un commercialista, è stato chiarito che spetta al cliente dimostrare l’esistenza di un accordo di gratuità. La lunga assenza di richieste di pagamento, dovuta a rapporti di amicizia, non è sufficiente a provare una prestazione professionale gratuita. La Corte ha quindi respinto il ricorso dell’avvocato, confermando l’obbligo di pagare i compensi.

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Pubblicato il 2 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Prestazione Professionale Gratuita: Chi Deve Provarla? L’Analisi della Cassazione

Quando un professionista svolge un’attività per un cliente, il compenso è quasi sempre un elemento scontato. Ma cosa succede se il cliente sostiene che il servizio era un favore amichevole? La questione della prestazione professionale gratuita è delicata e spesso finisce in tribunale. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce su un punto cruciale: chi ha l’onere di dimostrare che il lavoro doveva essere gratuito? La risposta della Corte è netta e ribadisce un principio fondamentale del nostro ordinamento.

I Fatti di Causa: Dalla Consulenza Amichevole alla Richiesta di Pagamento

Il caso ha origine da una lunga collaborazione, durata oltre un decennio, tra un commercialista e un avvocato. Al termine del rapporto, il commercialista ha chiesto il pagamento dei compensi per l’attività di consulenza contabile svolta per anni, ottenendo un decreto ingiuntivo per oltre 63.000 euro.

L’avvocato si è opposto, sostenendo che il rapporto professionale fosse sempre stato a titolo gratuito, basato su un legame di amicizia. Secondo la sua difesa, la richiesta di pagamento era emersa solo dopo la rottura dei loro buoni rapporti. Inizialmente, il Tribunale ha dato ragione all’avvocato, ritenendo che la prestazione fosse effettivamente gratuita.

Tuttavia, la Corte d’Appello ha ribaltato parzialmente la decisione. I giudici di secondo grado hanno condannato l’avvocato al pagamento di una somma inferiore, stabilendo che il rapporto era a titolo oneroso. La Corte ha motivato la sua decisione evidenziando che non esistevano prove di un’amicizia così stretta da giustificare anni di lavoro gratuito e che lo stesso avvocato, in passato, aveva chiesto al commercialista di quantificare i suoi compensi. Insoddisfatto, l’avvocato ha presentato ricorso in Cassazione.

La Presunzione di Onerosità nel Lavoro Autonomo

La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi del ricorso, concentrandosi sul principio cardine del contratto di prestazione d’opera intellettuale. I giudici hanno chiarito che, sebbene non sia un elemento essenziale, l’onerosità (cioè la previsione di un compenso) è un elemento normale di questo tipo di contratto. L’articolo 2222 del codice civile, che definisce il contratto d’opera, include espressamente l’obbligazione del committente di versare un corrispettivo.

Questo significa che, in assenza di prove chiare del contrario, qualsiasi prestazione professionale si presume essere a pagamento. Le parti possono accordarsi per una prestazione professionale gratuita, ma data l’eccezionalità di tale accordo, esso deve essere dimostrato in modo inequivocabile.

L’Onere della Prova nella Prestazione Professionale Gratuita

Il punto centrale della decisione della Cassazione riguarda l’onere della prova. Chi deve dimostrare la natura del rapporto?

– Il professionista che chiede il pagamento deve provare solo due cose: di aver ricevuto l’incarico e di averlo eseguito correttamente.
– Il cliente (committente) che sostiene la gratuità della prestazione ha l’onere di dimostrare l’esistenza di un accordo specifico in tal senso.

Nel caso in esame, l’avvocato non è riuscito a fornire questa prova. La Corte ha ritenuto insufficienti gli elementi da lui portati, come la lunga assenza di richieste di pagamento e i rapporti di amicizia. Questi indizi sono stati “ridimensionati” da altri fattori, come il fatto che l’amicizia fosse solo mediata e che lo stesso avvocato avesse ricevuto pagamenti per aver difeso il commercialista in altre cause, smentendo l’idea di una reciproca gratuità.

Le Motivazioni

La Corte Suprema ha respinto tutti i motivi del ricorso. In primo luogo, ha affermato che la Corte d’Appello ha correttamente applicato i principi sulla presunzione di onerosità. L’insufficienza degli elementi a sostegno di un patto di gratuità ha giustamente portato a riconoscere il diritto del commercialista al compenso. L’esistenza di rapporti di amicizia, peraltro indiretti, non implica automaticamente la gratuità dell’incarico. In mancanza di un patto esplicito, la reciprocità delle prestazioni (l’avvocato aveva patrocinato per il commercialista, facendosi pagare) giustificava l’assenza di richieste di pagamento per un certo periodo, senza però eliminare l’onerosità del rapporto, la cui regolazione economica era semplicemente posticipata.
Inoltre, la Corte ha respinto l’eccezione di prescrizione presuntiva sollevata dall’avvocato. Questo tipo di prescrizione si basa sulla presunzione che il debito sia stato pagato. Tuttavia, poiché l’avvocato aveva negato l’esistenza stessa del debito (sostenendo che fosse gratuito), ha implicitamente ammesso di non aver mai pagato, rendendo l’eccezione incompatibile con la sua linea difensiva.

Le Conclusioni

L’ordinanza della Cassazione riafferma un principio fondamentale per tutti i professionisti e i loro clienti: il lavoro si presume pagato. Un accordo per una prestazione professionale gratuita è un’eccezione che deve essere provata chiaramente da chi ne beneficia. La semplice amicizia o la mancanza di solleciti per un lungo periodo non sono sufficienti a trasformare un rapporto professionale in un favore disinteressato. Questa decisione offre una tutela importante ai professionisti, garantendo che il valore del loro lavoro sia riconosciuto, salvo patti contrari chiaramente dimostrati.

Un rapporto professionale si presume a pagamento o gratuito?
Secondo la Corte di Cassazione, nel contratto di prestazione d’opera intellettuale l’onerosità (il pagamento di un compenso) è un elemento normale. Pertanto, in assenza di prove contrarie, il rapporto si presume sempre a titolo oneroso, cioè a pagamento.

Chi deve dimostrare che una prestazione professionale è stata resa gratuitamente?
L’onere di dimostrare l’esistenza di un eventuale accordo sulla gratuità della prestazione spetta al committente (il cliente). Il professionista deve solo provare di aver ricevuto l’incarico e di averlo svolto.

La mancanza di richieste di pagamento per molto tempo dimostra che il servizio era gratuito?
No. La Corte ha stabilito che la sola assenza di richieste di pagamento per un lungo arco temporale, anche in presenza di rapporti di amicizia, non è un elemento sufficiente per dimostrare che le parti si fossero accordate per la gratuità della prestazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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