Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 5067 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 5067 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 7003/2020 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante, l’amministratore unico NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che lo rappresenta e difende giusta procura speciale rilasciata il 5.2.2020 per atti del notaio COGNOME di Tabriz e legalizzata,
-ricorrente-
contro
RAGIONE_SOCIALE SOCIETA’ RAGIONE_SOCIALE in persona del Consigliere delegato e legale rappresentante NOME COGNOME elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO, presso lo studio
dell’avvocato NOME COGNOME (CODICE_FISCALE che la rappresenta e difende unitamente e disgiuntamente agli avvocati NOME COGNOME (CODICE_FISCALE e NOME COGNOME (CODICE_FISCALE per procura in calce al controricorso,
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE D’APPELLO di VENEZIA n.5295/2019 depositata il 22.11.2019. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 18.2.2025 dal Consigliere COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 7.5.2014, la RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi per brevità RAGIONE_SOCIALE), società con sede in Tabriz (Iran), conveniva innanzi al Tribunale di Treviso la RAGIONE_SOCIALE (d’ora in poi per brevità RAGIONE_SOCIALE), con sede legale a Vittorio Veneto. L’attrice deduceva di aver acquistato dalla convenuta un macchinario per la realizzazione di tappi in plastica e ne lamentava la difettosità, esponendo che la RAGIONE_SOCIALE, pur avendo effettuato diversi tentativi di eliminazione dei lamentati e riconosciuti vizi, non era riuscita a porvi rimedio. Ciò premesso, la COGNOME domandava al Tribunale adito di dichiarare la risoluzione del contratto di compravendita per vizi della cosa venduta, e di condannare conseguentemente la convenuta alla rimozione del macchinario a proprie spese ed alla restituzione del prezzo pagato. Nel corpo dell’atto di citazione, ma non nelle conclusioni, la Noush faceva anche riferimento, in ipotesi di ritenuta inapplicabilità della disciplina della vendita internazionale di cui alla convenzione di Vienna del 1980, alle fattispecie della vendita di aliud pro alio ed all’inadempimento degli obblighi di riparazione e di modifica del macchinario
assunti dalla RAGIONE_SOCIALE ma rimasti inadempiuti, coi conseguenti obblighi risarcitori, regolate dal codice civile italiano e non dalla Convenzione di Vienna sulle vendite internazionali.
Con sentenza n. 468/2018, il Tribunale di Treviso, nella resistenza della RAGIONE_SOCIALE, che aveva eccepito la prescrizione delle azioni di risoluzione e conseguente restituzione del prezzo, contestando l’esistenza di un inadempimento di carattere essenziale in quanto comunque il macchinario era stato a lungo utilizzato anche se non per tutte le sue funzioni, accoglieva le domande attoree in ordine alla risoluzione del contratto di vendita internazionale ed alla conseguente condanna della RAGIONE_SOCIALE alla restituzione del prezzo ricevuto. Il Giudice di prime cure, in conformità alla giurisprudenza dell’epoca di questa Corte (Cass. sez. un. n. 13294/2005), rilevava che l’impegno assunto dalla RAGIONE_SOCIALE alla riparazione del macchinario, pur non dando luogo ad un’autonoma obbligazione, aveva trasformato il termine di prescrizione annuale ex art. 1495 cod. civ. in quello decennale, di talché le domande avanzate dall’attrice nel maggio 2014, da ritenere fondate per i vizi riconosciuti dalla stessa RAGIONE_SOCIALE, non potevano considerarsi prescritte.
La RAGIONE_SOCIALE proponeva appello principale avverso la predetta sentenza, insistendo nella tesi dell’intervenuta prescrizione dell’azione di scioglimento del contratto, atteso che il macchinario era stato consegnato alla società RAGIONE_SOCIALE il 18.5.2009, e che, secondo recente giurisprudenza di questa Corte, le azioni edilizie rimanevano assoggettate al termine prescrizionale annuale dell’art. 1495 cod. civ. anche qualora il venditore avesse riconosciuto i vizi del bene, valendo tale riconoscimento solo come atto interruttivo della prescrizione. La RAGIONE_SOCIALE osservava, poi, che il Tribunale non aveva tenuto
conto che nelle vendite internazionali, in base all’art. 49 della Convenzione di Vienna, il compratore, nelle ipotesi in cui la contestazione riguardasse circostanze diverse dal ritardo nella consegna, perdeva il diritto allo scioglimento del contratto se non comunicava la propria determinazione al venditore entro un termine ragionevole, laddove nella specie la Noush aveva manifestato la volontà di risolvere il contratto per i vizi, solo con la citazione del maggio 2014, e non quindi in un tempo ragionevole.
Resisteva al gravame la COGNOME, sostenendo che non si potesse applicare il termine di prescrizione annuale dell’art. 1495 cod. civ. dell’azione di risoluzione, in quanto la convenzione di Vienna prevedeva all’art. 39 un termine biennale per la denuncia dei vizi, rispetto al quale logicamente il termine di prescrizione non poteva avere minor durata, e che si dovesse tenere conto dei numerosi atti interruttivi della prescrizione posti in essere, e della sospensione del corso della prescrizione prevista dall’art. 47 della convenzione di Vienna, in relazione ai termini concessi al venditore per riparare il bene, termini durante i quali il compratore non poteva agire per la risoluzione contrattuale. Inoltre, l’appellata proponeva appello incidentale condizionato per l’ipotesi di accoglimento dell’appello principale, dichiarando di voler riproporre le domande di accertamento della vendita di aliud pro alio con conseguente risoluzione e restituzione del prezzo pagato e di risarcimento danni per inadempimento dell’appellante agli obblighi assunti di riparazione del macchinario e di modificazione dello stesso.
Con sentenza n. 5295/2019 del 4/22.11.2019, la Corte di Appello di Venezia accoglieva l’appello principale, aderendo al più recente orientamento della Suprema Corte che al riconoscimento del vizio ed all’impegno ad eliminarlo non
ricollegava più automaticamente la sostituzione della prescrizione decennale a quella annuale dell’art. 1495 cod. civ., a meno che non fosse sorta una vera e propria obbligazione, ma solo un effetto interruttivo della prescrizione annuale (Cass. sez. un. n.12792/2012), dichiarava inammissibile il gravame incidentale, e in parziale riforma della sentenza impugnata, rigettava le domande di risoluzione del contratto di compravendita e di restituzione del prezzo per intervenuta prescrizione. Inoltre la Corte d’Appello compensava per un quarto le spese di primo e di secondo grado, e condannava l’appellata alla rifusione in favore di RAGIONE_SOCIALE. dei residui ¾ delle stesse.
Avverso tale sentenza, notificatale il 10.12.2019, la Noush ha proposto ricorso a questa Corte, notificato l’8/12.2.2020, articolato su tre motivi, e la RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso.
Nell’imminenza dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 380 bis.1 c.p.c.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente va disattesa l’eccezione d’inammissibilità del ricorso per nullità/inesistenza della procura alle liti rilasciata in Iran dall’amministratore unico della COGNOME all’avvocato NOME COGNOME prodotta con traduzione giurata in lingua italiana e legalizzata dal Consolato d’Italia a Teheran il 18.2.2020, sollevata dalla S.I.P.A. in quanto tale procura, rilasciata davanti ad un notaio iraniano, non presenterebbe le caratteristiche essenziali richieste dalla legge italiana per poter essere considerata come atto pubblico, o come scrittura privata autenticata, mancando in particolare la data di rilascio, l’indicazione dell’indirizzo del notaio, la data ed il luogo di nascita del mandante, il suo indirizzo di residenza ed il codice fiscale, indicazione univoche sulla qualifica del mandante, a volte indicato come amministratore unico ed a volte come
amministratore delegato, l’attestazione del notaio sul fatto che il mandante NOME COGNOME fosse effettivamente dotato dei poteri necessari per conferire una valida procura per conto della Noush, l’allegazione dell’atto di nomina del predetto quale amministratore della COGNOME, la firma del mandante, sostituita da un’impronta digitale, e l’attestazione che la firma/impronta sia stata apposta dal mandante alla presenza del notaio.
L’eccezione é infondata.
Ai sensi dell’art. 12 l. 31 maggio 1995 n. 218, la procura alle liti utilizzata in un giudizio che si svolge in Italia, anche se rilasciata all’estero, è disciplinata dalla legge processuale italiana, la quale, laddove consente l’utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, rinvia al diritto sostanziale; in tali ipotesi la validità del mandato deve essere riscontrata, quanto alla forma, alla stregua della lex loci essendo in ogni caso indispensabile che dal tenore della procura siano desumibili gli elementi tipici dell’autenticazione, e cioè accertamento della identità del sottoscrittore e l’apposizione della firma in presenza del pubblico ufficiale (vedi in tal senso Cass. 25.5.2007 n. 12309).
Inoltre in base all’art. 33 del D.P.R. n. 445/2000, per paesi, come l’Iran, che non hanno aderito alla Convenzione dell’Aja del 5.10.1961, per i quali non é utilizzabile l’ apostille, perché gli atti pubblici, o le scritture private autenticate, formati all’estero, siano validi in Italia, devono essere legalizzati dalle autorità diplomatiche o consolari italiane all’estero, e vanno altresì accompagnati dalla traduzione giurata in lingua italiana.
La controricorrente ha anche eccepito che la legalizzazione della procura avversaria da parte del consolato italiano a Teheran sia intervenuta solo in data 18.2.2020, e quindi dopo la notificazione del ricorso in cassazione, effettuata l’8/12.2.2020, e dal principio per cui ai fini dell’ammissibilità di tale ricorso, la giurisprudenza ritiene necessario che la procura sia rilasciata in epoca anteriore
alla sua notificazione, desume che anche la legalizzazione debba essere anteriore alla notifica. La tesi é però infondata, in quanto la legalizzazione, che al pari dell’apostille serve ad attribuire validità in Italia ad un atto pubblico, o scrittura privata autenticata formata all’estero, non é parte integrante della procura (vedi in tal senso con riferimento all’ apostille Cass. n. 5877/1994) , ed é quindi sufficiente che intervenga prima della costituzione in giudizio, nella specie avvenuta da parte della Noush il 27.2.2020, e quindi in data successiva alla legalizzazione della procura presso il consolato italiano a Teheran del 18.2.2020.
Nel caso di specie la procura, che contiene il riferimento specifico alla sentenza impugnata, al nome, cognome, data di nascita e qualifica del mandante, al nome e cognome, cittadinanza e domicilio del legale italiano incaricato (identificabile senza incertezze proprio per l’indicazione in aggiunta al nome e cognome dell’indirizzo dello studio), ed é stata annotata nel registro elettronico degli atti presso l’ufficio notarile legale n. 118 di Teheran col n. 1180 il 5.2.2020, per cui da quel giorno ha data certa, é stata rilasciata dall’amministratore unico della COGNOME, NOME COGNOME all’avvocato NOME COGNOME del foro di Roma, davanti al notaio NOME COGNOME che ha attestato di avere accertato l’identità del mandante ed ha raccolto l’impronta digitale dello stesso, che nell’ordinamento iraniano é equiparata alla firma analogica, o digitale dell’ordinamento italiano, per cui sono state soddisfatte le condizioni minime richieste dall’ordinamento italiano per l’autenticazione, rappresentate dall’accertamento dell’identità del sottoscrittore e dall’assunzione della paternità dell’atto in presenza del pubblico ufficiale, che in Iran può avvenire anche senza la firma, con l’apposizione dell’impronta digitale.
Col primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’individuazione del
termine prescrizionale applicabile alle azioni di risoluzione del contratto di compravendita internazionale di beni mobili per vizi della cosa, nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, relativamente alla sussistenza di un atto interruttivo della prescrizione.
La Corte territoriale avrebbe applicato sic et simpliciter il termine di prescrizione annuale previsto dall’art. 1495 cod. civ., omettendo di contemperare tale disposizione normativa con gli artt. 39 e 47 della Convenzione di Vienna. In specie, l’art. 39 fissa un termine di due anni per la denuncia del difetto, e non permetteva quindi di ritenere operante per le vendite internazionali la prescrizione annuale dell’art. 1495 cod. civ., e l’art. 47 consente all’acquirente di fissare al venditore un termine ragionevole per l’adempimento degli obblighi di riparazione, e di agire per la risoluzione solo dopo lo spirare di tale termine a meno che il venditore non lo abbia informato che non adempirà gli obblighi entro il predetto termine, per cui il termine prescrizionale non poteva essere fatto decorrere dalla data di consegna del macchinario, dovendo partire piuttosto dalla comunicazione della S.I.P.A. del 23.1.2013, con cui la società venditrice aveva disconosciuto per la prima volta qualsivoglia responsabilità in ordine ai lamentati vizi.
Inoltre, il Giudice a quo avrebbe omesso di esaminare la sussistenza di un atto interruttivo della prescrizione, consistente nella messa in mora del 15.1.2014, la cui copia era stata versata in atti, ritenendo non provata la data del suo invio, malgrado tale circostanza non fosse stata contestata dall’originaria convenuta e la trasmissione della e.mail fosse stata documentata dalla Noush col documento 29 allegato alla memoria istruttoria.
Per quanto concerne la doglianza inerente alla mancata considerazione dell’atto interruttivo della prescrizione, rappresentato dalla costituzione in mora del 15.1.2014, la doglianza, da ricondurre all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., é
infondata, in quanto l’impugnata sentenza ha valutato la suddetta costituzione in mora, ritenendo che essa non potesse avere efficacia interruttiva della prescrizione, sia in quanto sarebbe mancata la prova della sua trasmissione, sia in quanto per ammissione della stessa COGNOME, risultava indirizzata ad un referente della RAGIONE_SOCIALE e non a quest’ultima. La ricorrente, inoltre, ha contrastato solo la prima delle due motivazioni fornite sul punto dalla Corte d’Appello per negare l’efficacia interruttiva della prescrizione dell’atto in questione, lamentando che non sia stato valutato il documento 29 allegato alla sua memoria istruttoria, ma non la seconda, per cui trattandosi di una costituzione in mora non inviata personalmente alla RAGIONE_SOCIALE é evidente che non può avere prodotto alcun effetto interruttivo, e che resta valida una delle due rationes decidendi fornite dalla Corte d’Appello.
Nessuna violazione di legge é poi ascrivibile all’impugnata sentenza per non avere coordinato le norme sulla prescrizione con gli articoli 47 e 39 della Convenzione di Vienna. Ed invero, relativamente all’art. 47 la Corte d’Appello, che non ha mai parlato di mancanza di una non prevista forma scritta, ha escluso che la Noush abbia fissato precisi termini alla SRAGIONE_SOCIALE per eseguire le riparazioni, che permettessero quindi di ritenere sospeso fino alla loro scadenza il termine di prescrizione, e relativamente all’art. 39 ha evidenziato che, anche a voler ritenere che in materia di vendita internazionale, in ragione della previsione di un termine di due anni per la denuncia dei difetti, non potesse operare la prescrizione annuale dell’art. 1495 cod. civ., la prescrizione non sarebbe stata comunque tempestivamente interrotta dalla notifica della citazione del 7.5.2014, a fronte di una consegna del macchinario avvenuta il 18.5.2019 ( rectius 2009) ed in mancanza di idonei atti interruttivi anteriori, risultando improduttiva di effetti, per le ragioni già esposte, la costituzione in mora del 15.1.2014.
Col secondo motivo, la ricorrente denuncia l’omessa motivazione e l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, relativamente alla sussistenza di atti interruttivi della prescrizione.
La pronuncia impugnata sarebbe carente, secondo la Noush, di qualsivoglia esplicitazione dell’ iter logico argomentativo seguito dalla Corte di Appello, nell’addivenire alla conclusione dell’insussistenza di atti interruttivi della prescrizione, posti in essere dalla ricorrente in data anteriore all’instaurazione del giudizio di primo grado. Di converso, la ricorrente sostiene di aver allegato numerosi atti (del 18.5.2019, 26-27.5.2009, dell’1113.6.2009, del 22-26.9.2009, dell’agosto 2010, del 16-19.11.2010, del 14.3.2011, del 14.6.2011, del 26-29.7.2011, del 5.8.2011, del 7.2.2012 e del 15.1.2014), idonei a dimostrare l’interruzione della prescrizione, che tuttavia, il Giudice adito, avrebbe omesso di esaminare.
Tale motivo, per la parte relativa al vizio di motivazione é infondato, in quanto l’impugnata sentenza ha spiegato di avere respinto la tesi dell’utile interruzione del termine di prescrizione sostenuta dalla Noush, con le argomentazioni già riportate relative all’asserita costituzione in mora del 15.1.2014, ed una volta negata l’efficacia interruttiva di tale atto, perché indirizzato ad un mero referente della RAGIONE_SOCIALE, nessuno degli atti interruttivi indicati dalla ricorrente é intervenuto nel biennio anteriore alla notifica dell’atto di citazione del 7.5.2014, come necessario ad interrompere la prescrizione biennale.
Quanto alla mancata considerazione dei documenti prodotti relativi agli atti interruttivi summenzionati, consistiti in interventi tecnici di riconoscimento di vizi e di impegno alla riparazione del macchinario per la produzione di tappi in plastica da bottiglia ed alla modifica parziale del macchinario, ed a tentativi di addivenire ad un bonario componimento, da ricondurre all’art. 360 comma primo n. 5)
c.p.c., é infondato. Ci si duole, infatti, del mancato peso probatorio attribuito ai fini della decisione ad una pluralità di documenti, e non della mancata considerazione di uno specifico fatto storico principale, o secondario decisivo, ed a ciò va aggiunto che una volta negata efficacia interruttiva della prescrizione alla costituzione in mora del 15.1.2014, perché indirizzata ad un mero referente della RAGIONE_SOCIALE e non ad essa, tutti i precedenti atti interruttivi della prescrizione invocati, non essendo intervenuti nel biennio anteriore alla notificazione della citazione di primo grado, avvenuta il 7.5.2014, erano inidonei ad evitare la maturazione della prescrizione, che neppure era rimasta sospesa per la concessione alla venditrice di un preciso e ragionevole termine per compiere la riparazione del macchinario secondo la previsione dell’art. 47 della Convenzione di Vienna.
3) Col terzo motivo, la ricorrente lamenta in relazione all’art. 360 comma primo n.3) c.p.c. ( rectius n. 4 c.p.c.) e 132 n. 4) c.p.c. un vizio di motivazione dell’impugnata sentenza, senza peraltro dedurne la nullità, in ordine alla dichiarata inammissibilità del suo appello incidentale condizionato, e nel contempo ai sensi dell’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti. Esso viene individuato nel fatto che nel giudizio di primo grado la COGNOME avrebbe richiesto, oltre alla risoluzione del contratto di vendita internazionale del macchinario vendutole per vizi della cosa venduta con conseguente restituzione del prezzo, anche la risoluzione per vendita di aliud pro alio per esserle stato venduto un bene del tutto inidoneo a svolgere la sua funzione economico sociale ed il risarcimento danni conseguente, nonché il risarcimento dei danni derivati dall’inadempimento delle obbligazioni assunte dalla RAGIONE_SOCIALE di riparazione e poi di modifica parziale del macchinario.
Il vizio di motivazione lamentato é infondato, in quanto la Corte d’Appello ha dichiarato inammissibile con una doppia motivazione l’appello incidentale condizionato, che la COGNOME aveva proposto per la sola ipotesi di accoglimento dell’appello principale relativo alla prescrizione delle azioni di risoluzione contrattuale per vizi della cosa venduta e conseguente restituzione del prezzo accolte in primo grado, ritenendo che le altre domande poi riproposte con l’appello incidentale condizionato fossero rimaste assorbite nella sentenza di primo grado, a causa dell’accoglimento delle domande principali di risoluzione per vizi e restituzione prezzo.
Anzitutto il giudice di secondo grado ha ritenuto, che la COGNOME non potesse limitarsi a riproporre le domande asseritamente non esaminate dal giudice di primo grado perché assorbite, in quanto in realtà, sia pure implicitamente, respinte perché incompatibili con la motivazione resa dal Tribunale di Treviso. Il giudice di primo grado, infatti, si era soffermato sui vizi che non consentivano al macchinario di funzionare regolarmente senza riconoscere una sua inidoneità assoluta all’imbottigliamento, ed in punto di prescrizione non aveva ricavato la decennalità del termine dall’inquadramento nella fattispecie della vendita di aliud pro alio, bensì dalla giurisprudenza dell’epoca delle sezioni unite di questa Corte (Cass. sez. un. n. 13294/2005), che ricollegava, all’impegno a riparare assunto dal venditore, l’effetto di sostituire il termine annuale di prescrizione dell’art. 1495 cod. civ. proprio della vendita di bene viziato con quello decennale, ed inoltre sempre nel trattare la tematica della prescrizione, aveva escluso che gli impegni alla riparazione ed alla modifica del macchinario genericamente assunti dalla RAGIONE_SOCIALE, avessero determinato l’insorgenza di autonome obbligazioni.
Pertanto, essendo la motivazione fornita dal giudice di primo grado incompatibile con le domande che la COGNOME intendeva riproporre in appello, sarebbe stato necessario per essa muovere specifiche
censure alla motivazione sul punto addotta dal Tribunale di Treviso, non potendo la Noush limitarsi ad una mera riproposizione delle domande.
In secondo luogo, la Corte d’Appello ha rilevato che la COGNOME, nel giudizio di primo grado, non aveva neppure avanzato domande di risarcimento danni per vendita di aliud pro alio , e per inadempimento delle obbligazioni assunte di riparazione e poi di modifica del macchinario che prescindessero dalla domanda principale di risoluzione contrattuale, come invece tardivamente richiesto nell’appello incidentale condizionato, avendo nella memoria ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c. del 13.3.2015 domandato solo di dichiarare la risoluzione delle pattuizioni contrattuali e per l’effetto condannare la RAGIONE_SOCIALE alla restituzione del prezzo ricevuto per la vendita.
La motivazione addotta dalla Corte d’Appello a supporto della ritenuta inammissibilità dell’appello incidentale condizionato, non può certo definirsi inesistente, meramente apparente, o perplessa e contraddittoria al punto da non consentire di comprendere le ragioni della decisione adottata, e soddisfa pienamente il cosiddetto ‘minimo costituzionale’. Del resto, a conferma della correttezza della decisione adottata, la ricorrente, non solo non ha riportato testualmente nel ricorso le conclusioni dell’originario atto di citazione, per dimostrare di avere chiesto tempestivamente la condanna della RAGIONE_SOCIALE al risarcimento dei danni per la vendita di aliud pro alio , o per l’inadempimento delle asserite obbligazioni assunte dalla venditrice per la riparazione, e poi per la modifica parziale del macchinario, anche a prescindere dalla domanda di risoluzione contrattuale, limitandosi a richiamare le pagine 14 e 15 della citazione, rimaste evidentemente prive di un coerente sbocco nelle conclusioni, e confermando di avere chiesto nella memoria ex art. 183 comma 6° n. 1) c.p.c. solo di dichiarare la risoluzione delle pattuizioni contrattuali e per l’effetto condannare la RAGIONE_SOCIALE alla
restituzione del prezzo ricevuto per la vendita, ma come evidenziato dalla controricorrente, solo nelle conclusioni del giudizio di primo grado, e sempre in correlazione alla pronuncia della risoluzione delle sole pattuizioni contrattuali, ha per la prima volta chiesto la condanna della RAGIONE_SOCIALE al risarcimento del danno emergente, da quantificarsi nella misura di €615.000,00, pari al prezzo del macchinario da essa pagato.
Inammissibile é poi il richiamo fatto nel motivo all’art. 360 comma primo n. 5) c.p.c., in quanto la circostanza decisiva che sarebbe stata trascurata dalla Corte d’Appello, non é stata individuata in un fatto storico principale, o secondario decisivo che non sia stato considerato (vedi Cass. 29.10.2018 n.27415; Cass. sez. un. 7.5.2014 n. 8053), avendo la ricorrente invocato l’asserita proposizione in primo grado delle domande asseritamente riproposte in appello, senza neppure individuare testualmente le domande della citazione originaria, ed avendo invece la Corte d’Appello puntualmente esaminato gli atti del giudizio di primo grado per desumerne le domande tempestivamente proposte dalla Noush.
Le spese processuali del giudizio di legittimità seguono il principio della soccombenza e vanno poste a carico della Noush.
Occorre dare atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione, respinge il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in € 200,00 per spese ed €5.500,00 per compensi, oltre IVA, CA e rimborso spese generali del 15%. Dà atto che sussistono i presupposti processuali di cui all’art. 13 comma 1-quater D.P.R. n. 115/2002 per imporre un ulteriore contributo unificato a carico della ricorrente, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 18.2.2025