Sentenza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 14019 Anno 2025
Civile Sent. Sez. 1 Num. 14019 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 26/05/2025
SENTENZA
sul ricorso n. 36397/2019 r.g. proposto da:
RAGIONE_SOCIALE con sede in Reggio Emilia, alla INDIRIZZO in persona del presidente del consiglio di amministrazione e legale rappresentante pro tempore , dott. NOME COGNOME di Valgiurata, rappresentata e difesa, giusta procura speciale allegata al ricorso, dagli Avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME presso il cui studio elettivamente domicilia in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME tutti quali eredi di NOME COGNOME e la prima anche in proprio, rappresentati e difesi, giusta procura speciale allegata in calce al controricorso, dall’Avvocato COGNOME COGNOME con cui elettivamente domiciliano in Roma, alla INDIRIZZO presso lo studio dell’Avvocato NOME COGNOME .
-controricorrenti –
avverso la sentenza, n. cron. 907/2019, della CORTE DI APPELLO DI PALERMO depositata in data 26/04/2019; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del giorno 15/05/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. NOME COGNOME che ha concluso chiedendo rigettarsi il ricorso; udita, per la ricorrente, l’ Avv. NOME COGNOME che ha chiesto accogliersi il ricorso; COGNOME Catania, che ha concluso udita , per i controricorrenti, l’Avv. chiedendo il rigetto dell’impugnazione di controparte ; lette le memorie ex art. 378 cod. proc. civ. depositate.
FATTI DI CAUSA
1. Con atto ritualmente notificato il 18 gennaio 2011, NOME COGNOME e COGNOME citarono Credito Emiliano s.p.a. (d’ora in avanti, breviter Banca o Credem) avanti al Tribunale di Marsala, sezione distaccata di Partanna, chiedendo dichiararsi: i ) in via principale, la nullità di un’operazione di investimento in obbligazioni Argentina per assenza del contratto di negoziazione e per violazione della normativa di riferimento in materia di intermediazione finanziaria; ii ) in via subordinata, l’annullamento della operazione predetta per vizio del consenso e/o per conflitto di interessi; iii ) in via ulteriormente subordinata, la risoluzione della stessa per inadempimento della Banca. Domandarono, in ogni caso, la condanna della convenuta alla restituzione e/o al risarcimento delle somme investite, oltre interessi, rivalutazione, danno morale ed esistenziale.
A fondamento di tali domande, contestarono la validità di un ordine di acquisto di obbligazioni Argentina 9% MG05 EUR , impartito il 19 maggio 2000 per un valore nominale pari ad € 20.000,00, assumendo che la Banca aveva operato in violazione della normativa di cui al d.lgs. n. 58 del 1998 (cd. T.U.F.) e della relativa disciplina secondaria di attuazione contenuta nel Regolamento Consob 1 luglio 1998, n. 11522, e successive modificazioni ed
integrazioni. Affermarono, inoltre, che erano stati indotti a concludere gli acquisti dalla Banca, la quale, però, aveva omesso di fornirgli le necessarie informazioni al riguardo.
Costituitasi RAGIONE_SOCIALE, che contestò interamente le avverse pretese eccependo, tra l’altro, la prescrizione delle domande di annullamento, risoluzione e risarcimento del danno, l’adito tribunale, con sentenza del 10/13 febbraio 2014, n. 194, respinse tutte le richieste del COGNOME e della COGNOME condannandoli pure alla refusione delle spese di lite.
Pronunciando sui gravami, principale ed incidentale condizionato, promossi contro questa decisione, rispettivamente, dagli originari attori e dalla Banca, l’adita Corte di appello di Palermo, con sentenza del 26 aprile 2019, n. 907, resa nel contraddittorio con Credem, così dispose: « Accoglie l’appello proposto da NOME e Var varo Castrenza. Dichiara risolto l’ordine di acquisto delle Obbligazioni Argentina (99988746 Argent 9% 24 MG05EUR), per un valore nominale di €. 20.000,00, effettuato in data 19.05.2000 presso la banca appellata, con tutte le conseguenze di legge; condanna Credito Emiliano s.p.a., , alla restituzione, in favore degli appellanti, della somma € 18.432,73, oltre interessi legali dalla data della domanda alla data della presente sentenza; condanna gli appellanti a restituire alla Banca Credito Emiliano s.p.a. le obbligazioni Argentina ».
2.1. Per quanto qui ancora di interesse ed in sintesi, quella corte: i ) rimarcò che il modulo dell’adeguatezza degli investimenti, prodotto dalla convenuta in primo grado, non risultava regolarmente compilato quanto alla voce esperienza/conoscenza in materia di investimenti finanziari (« nonostante tale indicatore sia segnato alle relative voci b.1 e b.2 non è riportata alcuna annotazione »); ii ) descrisse il contenuto della normativa di cui agli artt. 21 del T.U.F e 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522 del 1998; iii ) precisò che la Banca intermediaria avrebbe avuto « l’obbligo di fornire all’investitore un’informazione adeguata in concreto, anche di fronte all’eventuale rifiuto del cliente di fornire informazioni in ordine alla propria situazione finanziaria, non essendo, in ogni caso, l’intermediario esonerato dall’obbligo di informazione e di verifica del profilo di adeguatezza del
prodotto finanziario oggetto di negoziazione »; iv ) opinò che, « nel caso di specie, la banca, per l’attività svolta era, o avrebbe dovuto esserlo, consapevole che i bond argentini non erano equiparabili ai comuni titoli di Stato e aveva a sua disposizione elementi sufficienti di giudizio per orientare il cliente. Infatti, con notiziario del 3.7.2000, precedente all’acquisto dei bond argentini da parte degli appellanti, la Consob aveva precisato che le obbligazioni emesse dal governo argentino erano adatte unicamente a investitori speculativi e in grado di valutare e sostenere rischi speciali »; v ) riferì che, « Nella fattispecie, è emerso che: a) i clienti non erano investitori ad alto rischio, anzi, come ammesso dalla stessa banca e come risulta dai documenti in atti, gli appellanti acquistavano solo titoli senza rischio (titoli di Stato-Bot e CCT); b) la banca non acquisiva, né approfondiva, le informazioni circa la propensione all’investimento da parte dei clienti, nonostante non risultava regolarmente compilato, con riferimento alla voce esperienza/conoscenza in materia di investimenti finanziari, il modulo della adeguatezza degli investimenti; c) non vi è alcuna prova che siano stati forniti i dovuti chiarimenti circa l’altissimo profilo di rischio dell’investimento, il quale, poi, ha avuto un esito infausto (es. rating ) »; vi ) considerò ‘ evidente ‘ la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 21 e ss. del T.U.F. e 28 del Regolamento Consob n. 11522/98, « essendo stata disattesa la regola secondo cui, nella prestazione di servizi di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono comportarsi ‘con diligenza, correttezza e trasparenza’ e devono operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati ( suitability rule ) »; vii ) affermò che, « Nel caso che ci occupa, di fronte alle contestazioni degli appellanti, nessuna prova ha fornito la banca in ordine all’effettivo rispetto degli obblighi informativi e sulla puntuale adozione di un comportamento improntato a diligenza, correttezza e trasparenza. Va pertanto risolto il contratto di acquisto dei titoli per vizio del consenso ex art. 1429 c.c. La declaratoria di risoluzione di contratto di acquisto dei titoli per cui è causa comporta -per il suo effetto retroattivo espressamente sancito dall’art. 1458 c.c. -l’obbligo di ciascuno dei contraenti di restituire la prestazione
ricevuta. La banca, pertanto, va condannata alla restituzione delle somme di € 20.000,00 in favore degli appellanti. Da tale somma vanno però detratte le cedole incassate per € 1.567,27 (come evidenziato dall’appellata e non contestato dagli appellanti), pertanto la banca appellata va condannata alla restituzione della somma di € 18.432,73, oltre interessi legali dalla domanda al saldo. Gli appellanti, a loro volta, vanno condannati a restituire alla Banca appellata le obbligazioni argentine. Va esclusa la risarcibilità del danno non patrimoniale rimasto sfornito di prova »; viii ) disattese, infine, l’appello incidentale condizionato di Credem, ritenendo applicabile, nella specie, il termine di prescrizione decennale (vertendosi in fattispecie di responsabilità contrattuale) decorrente dal 23 dicembre 2001 (data in cui l’Argentina dichiarò pubblicamente in proprio default e, quindi, l’impossibilità di onorare i propri debiti) ed interrotto dagli originari attori con nota ricevuta dalla Banca il 20 settembre 2010.
Per la cassazione di questa sentenza ha promosso ricorso Credito RAGIONE_SOCIALE.RAGIONE_SOCIALE, affidandosi a sette motivi, illustrati anche da memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. Hanno resistito, con unico controricorso, corredato da analoga memoria, COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME tutti ‘ nella qualità di eredi di NOME e la prima anche in proprio ‘ .
3.1. La Prima Sezione civile di questa Corte, investita della decisione della controversia, con ordinanza interlocutoria del 22 novembre/22 dicembre 2023, n. 38536, ritenuto che « La questione posta dal settimo motivo di ricorso (avente carattere potenzialmente preliminare rispetto alle altre censure) -concernente la individuazione del dies a quo del termine di prescrizione dell’azione dell’investitore volta ad ottenere la risoluzione del contratto recante l’ordine di investimento e la restituzione di quanto investito per effetto dell’avvenuta violazione degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario rende opportuna la rimessione della causa alla pubblica udienza, stante la sua particolare rilevanza, tenuto conto dei riflessi su controversie analoghe », ha disposto in conformità e rinviato la causa nuovo ruolo.
3.2 . Successivamente è stata fissata l’odierna pubblica udienza, in prossimità della quale sono state depositate memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Giova rimarcare, pregiudizialmente, che COGNOME è stata parte, in proprio, in entrambi i gradi di merito, sicché l’eccezione di inammissibilità del controricorso, come formulata dalla banca ricorrente nella sua memoria ex art. 380bis .1 cod. proc. civ. del 10 novembre 2023 certamente non inficia la sua legittimazione in questa sede.
Il primo motivo di ricorso, rubricato « Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., dell’art. 1453 c.c. in relazione alla pronuncia di risoluzione dell’ordine di acquisto dei titoli a fronte dell’accertamento del vizio del consenso », contesta alla corte distrettuale di avere errato nella individuazione del rimedio civilistico da applicare alla fattispecie, avendo pronunciato la risoluzione ‘ del contratto di acquisto dei titoli ‘ a fronte di un presunto vizio del consenso ai sensi dell’art. 1429 cod. civ.. È noto, invece, che il presupposto per la dichiarazione di risoluzione di un contratto è il suo inadempimento da parte di uno dei contraenti, mentre l’accertamento di un vizio del consenso implicherebbe una declaratoria di annullamento del contratto medesimo. Si assume che, nella specie, la sentenza impugnata ha « individuato il vizio del consenso nell’omessa prova, da parte della Banca, di aver effettivamente rispettato i propri obblighi informativi, anziché ravvisare in ciò, al più, un inadempimento. Certo è, in ogni caso, che la sentenza non contiene alcun accertamento in tema di vizio del consenso e che, comunque, in nessun caso ciò potrebbe fondare una pronuncia di risoluzione » ( cfr . pag. 8-9 del ricorso).
2.1. Tale doglianza non merita accoglimento.
Invero, come affatto condivisibilmente osservato dai controricorrenti, il riferimento, nella parte motiva della sentenza predetta ( cfr . pag. 9), « ad un vizio del consenso ex art. 1429 cod. civ. » quale causa di risoluzione del contratto di acquisto dei titoli di cui si discute, si rivela essere palesemente un refuso (per il quale è sufficiente la mera correzione in questa sede),
essendo assolutamente chiaro (come agevolmente emerge da quanto già espostosi nel § 2.1. dei « Fatti di causa ») che la corte palermitana aveva inteso pronunciare la risoluzione di detto contratto per non avere la Banca intermediaria fornito alcuna prova dell’osservanza degli obblighi informativi su di essa incombenti e dell’adozione di un comportamento improntato a diligenza, correttezza e trasparenza così come impostole dal combinato disposto degli artt. 21 del T.U.F. e 28 e 29 del Regolamento Consob n. 11522/98 (qui applicabili ratione temporis ).
Pertanto, previa correzione, in parte qua , della motivazione della sentenza impugnata nei sensi appena esposti, l’odierna censura di Credem deve essere respinta.
Il secondo ed il terzo motivo di ricorso denunciano, rispettivamente:
II) « Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., dell’art. 1453 c.c. in punto di risolvibilità degli ordini di borsa », contestandosi la risolubilità del singolo ordine di borsa ritenuta dalla corte territoriale. Secondo la ricorrente, invece, è possibile risolvere solo il contratto quadro, ma non i singoli ordini di borsa, meramente esecutivi di quest’ultimo ed attuativi del mandato in esso contenuto;
III) « Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., dell’art. 1453 c.c. in punto di idoneità degli inadempimenti relativi alla fase precontrattuale a determinare la risoluzione degli ordini », insistendosi nella inidoneità degli inadempimenti relativi alla fase precontrattuale a comportare la risoluzione dell’ordine di borsa.
3.1. Queste doglianze, scrutinabili congiuntamente perché chiaramente connesse, risultano insuscettibili di accoglimento.
3.2. Giova considerare, innanzitutto, che, come ricordato da Cass. n. 8997 del 2021 e, più recentemente, da Cass. n. 10646 del 2023 (che ha disatteso, peraltro, censure proprio di Credito Emiliano s.p.a. affatto analoghe a quelle odierne), le Sezioni Unite di questa Corte, nel prendere in esame il rapporto intercorrente tra il contratto quadro e le successive operazioni che l’intermediario compie per conto del cliente, hanno evidenziato come queste ultime, benché possano consistere in atti di natura
negoziale, costituiscono pur sempre il momento attuativo del precedente contratto d’intermediazione ( cfr . Cass., SU, nn. 26724-26725 del 2007).
Ribadito questo principio, va precisato che non è il contratto quadro a determinare il singolo investimento o disinvestimento: è con il singolo « ordine » che l’investitore decide quale atto porre concretamente in essere avvalendosi dell’operato dell’intermediario (ad esempio, concludendo direttamente con detto soggetto contratti relativi a titoli che quegli già detenga nel proprio portafoglio, o conferendo al medesimo uno specifico mandato avente ad oggetto l’acquisto o la vendita di alcuni prodotti finanziari, o ancora incaricandolo di una mera attività di trasmissione del proprio ordine all’intermediario negoziatore). Pertanto, appare lontana dalla realtà l’opinione secondo cui il momento negoziale delle singole operazioni di investimento sia da rinvenire nel contratto quadro. In tali termini, è da approvare il rilievo, svolto da Cass. n. 8394 del 2016, secondo cui le operazioni di investimento sono atti di natura negoziale autonomi rispetto al contratto quadro. Del resto, come si è detto, le Sezioni Unite ammettono che le operazioni eseguite dopo la conclusione del contratto quadro possano assurgere a veri e propri negozi giuridici.
3.3. Ora, nelle operazioni di investimento vengono in discussione, per l’intermediario, obblighi particolari, che vanno tenuti distinti da quello consistente nel porre in essere l’atto dispositivo indicato dall’interessato.
Come è noto, l’art. 21 T.U.F. (d.lgs. n. 58 del 1998) e la normativa secondaria contenuta nel Reg. Consob n. 11522/1998, vigente ratione temporis , pongono obblighi di comportamento che, al pari di quelli contemplati dalla precedente disciplina -su cui si sono pronunciate le Sezioni Unite nelle sentenze prima citate -, risultano finalizzati al rispetto della clausola generale che attribuisce all’intermediario il dovere di comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza nella cura dell’interesse del cliente. Taluni di tali obblighi si collocano nella fase che precede la stipulazione del contratto quadro di intermediazione finanziaria: ciò vale per quello avente ad oggetto l’obbligo di consegnare il documento informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari e per
l’obbligo di acquisire le informazioni sull’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento e la sua propensione al rischio (art. 28, comma 1, reg. Consob cit.). Altri obblighi, invece, hanno ragione di configurarsi dopo la conclusione del contratto quadro e sono, essenzialmente, coevi (o anteriori) alla stipula o, più propriamente, all’esecuzione del mandato impartito con l’ordine : si allude a quello di informazione cd. attiva, circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione (art. 28, comma 2, Reg. Consob cit.), a quello che impone all’intermediario di astenersi dal porre in esecuzione operazioni inadeguate (art. 29 Reg. Consob cit.) ed a quelli che sono correlati alle situazioni di conflitto di interessi (art. 21, comma 1, lett. c , T.U.F., nel testo vigente ratione temporis , e art. 27 Reg. Consob cit.).
Nella fase successiva alla stipula del contratto quadro, in cui si situano, gli obblighi di informazione attiva concorrono alla definizione del ruolo che l’intermediario assume allorquando l’investitore intenda porre in essere specifiche operazioni di investimento. Dalla disciplina, legislativa e regolamentare, si ricava, infatti, che l’intermediario non possa limitarsi a rendere possibile il trasferimento del titolo (cedendolo in contropartita diretta, in base alla esemplificazione di cui sopra, o acquistandolo sul mercato e rivendendolo poi all’investitore in attuazione di un mandato per conto altrui, o infine trasmettendo l’ordine di acquisto a chi lo offra sul mercato), ma che lo stesso sia altresì tenuto alla spendita di una precisa attività, funzionale al corretto apprezzamento, da parte dell’investitore, della natura, delle implicazioni e dei rischi delle singole operazioni; ciò che fa dell’intermediario un vero e proprio ausiliario del proprio cliente nella scelta delle medesime. È in tale prospettiva, segnata dall’esistenza, in capo all’intermediario, dell’obbligo di dare non già esecuzione agli « ordini » di investimento ricevuti, quanto, piuttosto, di dare esecuzione ad « ordini » di investimento sui quali il proprio cliente sia stato convenientemente edotto, che trova giustificazione il rimedio risolutorio: in assenza di un consenso informato dell’interessato, il sinallagma del singolo negozio non trova difatti
piena attuazione, con conseguente risoluzione per inadempimento del medesimo ( cfr . sul punto, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 16861 e 20617 del 2017; Cass. n. 3261 del 2018; Cass. n. 8997 del 2021).
3.4. Vero è che l’attività informativa di cui è gravato l’intermediario viene spesa frequentemente, e anzi di regola, nel periodo che precede il conferimento dell’ « ordine » (inteso come negozio avente ad oggetto il singolo servizio di investimento): ma ciò non basta per escludere la responsabilità per inadempimento dell’intermediario e la risoluzione del detto « ordine », ove tale soggetto abbia dato corso all’acquisto del prodotto finanziario senza fornire all’investitore convenienti ragguagli su di esso.
Occorre considerare che, a mente dell’art. 21, comma 1, lett. b ), del d.lgs. n. 58/1998, gli intermediari hanno l’obbligo di « acquisire le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati ». La norma valorizza l’affidamento che l’investitore deve riporre nell’intermediario, in modo da assicurare che le operazioni siano pienamente conformi all’esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, alla situazione finanziaria, agli obiettivi di investimento e alla propensione al rischio del cliente.
La prescrizione secondo cui gli investitori devono essere « sempre adeguatamente informati » non è da intendere nel senso che l’intermediario, al di fuori del caso dei contratti di gestione di portafoglio e di consulenza, abbia un obbligo di informazione quanto all’aggravamento del rischio dell’investimento già effettuato; infatti, come precisato dalla giurisprudenza di questa Corte, gli obblighi informativi devono essere adempiuti in vista dell’operazione da compiere e si esauriscono con essa ( cfr . Cass. n. 8997 del 2021; Cass. n. 17949 del 2020; Cass. n. 10112 del 2018; come nota incisivamente Cass. n. 2185 del 2013, non massimata, « dopo l’erogazione del servizio si è esaurita l’attività dell’intermediario con riferimento all’ordine eseguito »). La norma indica, piuttosto, che la funzione di ausilio nella scelta dell’operazione di investimento -che è assegnata all’intermediario gravato dei pertinenti obblighi informativi -deve attuarsi nel modo più completo ed efficace: e, quindi, svolgersi fino a quando il servizio di investimento non sia
prestato. Il termine ultimo entro cui vanno adempiuti i richiamati obblighi informativi si colloca, in altre parole, in un momento successivo rispetto a quello di conferimento dell’« ordine » e va individuato in quello in cui è data esecuzione a l mandato impartito con l’ordine medesimo.
Tale conclusione trae conferma dal Reg. Consob n. 11522/1998, applicabile alla fattispecie: infatti l’art. 28, comma 2, del detto regolamento stabilisce che gli intermediari autorizzati non possono « effettuare » operazioni « se non dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento » ( per incidens , in termini analoghi, sulla tempistica degli obblighi che qui rilevano, si è successivamente espresso l’art. 34 Reg. Consob n. 16190/2007, secondo cui le varie informazioni cui è tenuto l’intermediario vanno eseguite in tempo utile prima della prestazione dei servizi di investimento).
Il citato art. 28, comma 2, chiarisce, dunque, che, ricevuto l’ordine, l’intermediario non possa limitarsi ad eseguirlo ove il cliente non sia stato in precedenza puntualmente istruito sui termini dell’operazione da compiersi: ove l’informativa sia del tutto mancata, risulti insufficiente o si riveli scorretta (contenente, cioè, indicazioni inesatte), l’intermediario stesso dovrà fornire al cliente i necessari ragguagli riguardo all’investimento. Anche in questo frangente della vicenda contrattuale andrà assicurato che il nominato soggetto sia adeguatamente informato riguardo a una scelta di investimento da considerarsi realmente consapevole (per modo che, una volta edotto, lo stesso possa, se del caso, manifestare all’intermediario le ulteriori sue determinazioni, prima che l’operazione abbia corso). La disciplina in esame, pertanto, valorizza la veste dell’intermediario, quale ausiliario nella scelta di investimento, pure nel periodo intercorrente tra il conferimento dell’« ordine » e la sua esecuzione: e proprio perché il detto soggetto, in tutti i casi in cui sia dato di ravvisare un deficit informativo, vi deve porre rimedio prima di dar corso all’operazione di cui è stato
incaricato, una prestazione del servizio di investimento che trascuri tale obbligo non può che tradursi in un inadempimento.
È escluso, così, che -guardando al singolo « ordine » di investimento -la responsabilità dell’intermediario possa essere relegata nell’area della responsabilità precontrattuale: una tale conclusione potrebbe sostenersi ove si reputasse che gli obblighi di informazione attiva (che attengono al singolo strumento finanziario) si delineino solo nella fase che precede la conclusione del contratto diretto alla negoziazione del titolo (l’« ordine » di investimento). Per contro -lo si è visto -la disciplina legislativa e regolamentare dà ragione di come l’obbligo, da parte dell’intermediario, di rappresentare all’investitore le connotazioni specifiche dell’operazione finanziaria si collochi anche nello stadio successivo, allorquando, cioè, l’« ordine » è stato impartito e si tratti di darvi esecuzione: prima di dar corso al contratto di negoziazione oramai concluso l’intermediario deve « sempre » assicurarsi che l’investitore sia stato adeguatamente informato dell’operazione da compiersi, provvedendo a fornire le indicazioni che si mostrino ancora necessarie in vista di tale risultato e rispondendo, in caso contrario, delle conseguenze della propria condotta omissiva.
3 .5. Fermo quanto precede, nell’odierna fattispecie, per quanto qui ancora di interesse, gli attori/appellanti miravano a far valere la supposta violazione degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario, l’inadeguatezza e/o inappropriatezza dell’investimento rispetto al loro profilo di rischio, e cioè, in ultima analisi, l’inadempimento dell’intermediario posto in essere al momento del conferimento e della successiva esecuzione dell’ordine di acquisto.
Occorre tenere conto, dunque, dei principi sanciti da: i ) Cass., SU, n. 26724 del 2007 (successivamente ribaditi, tra le altre, da Cass. n. 25222 del 2010; Cass. n. 8462 del 2014; Cass. n. 525 del 2020; Cass. n. 15099 del 2021; Cass. n. 15099 del 2021; Cass. n. 10646 del 2023), secondo cui, in tema di intermediazione finanziaria, la violazione dei doveri di informazione del cliente e di corretta esecuzione delle operazioni che la legge pone a carico dei soggetti autorizzati alla prestazione dei servizi di
investimento finanziario può dar luogo a responsabilità precontrattuale, con conseguenze risarcitorie, ove dette violazioni avvengano nella fase antecedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti (cd. « contratto quadro », il quale, per taluni aspetti, può essere accostato alla figura del mandato); può dar luogo, invece, a responsabilità contrattuale, ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto suddetto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione del « contratto quadro »; ii ) Cass. n. 24648 del 2023, a tenore della quale ( cfr . pag. 8 della motivazione) « l’inadempimento degli obblighi gravanti sull’intermediario ben ‘può giustificare tanto la risoluzione del contratto quadro quanto quella dei singoli ordini, ovviamente nella misura in cui, per la sua importanza, si riveli idoneo a determinare un’alterazione dell’equilibrio contrattuale’ (la frase è tratta da Cass. n. 16820/2016, che a sua volta si richiama in modo espresso al precedente di Cass., n. 23717/2014). Ricorrendone i presupposti, l’investitore, nella sua veste di contraente non inadempiente, può cioè indirizzare l’azione, a seconda del suo interesse, nel senso della caducazione dell’intero rapporto con l’intermediario o nel senso invece della sola caducazione di talune parti dello stesso. Ciò posto, è bene pure puntualizzare, che – con riferimento allo svolgimento effettivo dei servizi di investimento – quanto l’investitore, quale attore in risoluzione, imputa all’intermediario non è il cattivo esito di un dato investimento, bensì l’inadempimento degli obblighi, cui quello è tenuto per legge e per Regolamento Consob, con riferimento (anche) a quel dato investimento. In realtà, l’assolvimento degli obblighi di informazione attiva e di adeguatezza costituisce proprio il ponte – endocontrattuale, all’evidenza – di passaggio tra la funzione di investimento, come resa dal contratto quadro, e i singoli investimenti, come inevitabilmente espressi dai singoli ordini: in questa ‘cinghia di trasmissione’, consistendo propriamente la protezione sostanziale che il sistema vigente viene ad assicurare all’investitore ».
Ne deriva che l’affermazione dell’inosservanza degli obblighi informativi da parte dell’intermediario, come concretamente argomentata dagli attori appellanti a fondamento delle loro domande, comporta che la responsabilità del primo da essi così invocata deve qualificarsi come di natura contrattuale, con conseguente applicazione del regime giuridico (quanto alla ripartizione dell’onere probatorio ed alla individuazione del termine prescrizionale ed alla sua decorrenza) per essa stabilito.
Il quarto ed il quinto motivo di ricorso denunciano, rispettivamente:
IV) « Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. dell’art. 21, comma 1, del TUF e 28 comma 1, comma 2, del Regolamento Consob n. 11577/98, in relazione al mancato assolvimento degli obblighi informativi in occasione dell’operazione di acquisto delle Obbligazioni Argentina », sostanzialmente ascrivendosi alla corte territoriale di avere erroneamente ritenuto violati gli obblighi informativi gravanti sulla banca intermediaria al momento dell’operazione di investimento per cui è causa;
V) « Violazione e falsa applicazione, ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., dell’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/98 in relazione all’adeguatezza dell’operazione di acquisto delle Obbligazioni Argentina », insistendosi sull’adeguatezza dell’operazione predetta rispetto al profilo di rischio degli originari attori/appellanti.
4.1. Queste doglianze sono scrutinabili congiuntamente perché entrambe inficiate dalla medesima causa di inammissibilità.
Premettendosi che il rapporto dedotto in causa si è svolto in epoca antecedente al recepimento delle direttive comunitarie n. 39 del 2004 e n. 73 del 2006 (cd. direttiva MiFid ), poi integrate dal regolamento n. 1283 del 2006, sicché si farà riferimento alla disciplina dettata dal T.U.F. del 1998 (d.lgs. n. 58 del 1998) e dal regolamento Consob vigente prima delle modifiche apportategli per adattarli alle suddette nuove direttive, giova ricordare che questa Corte si è soffermata, in molteplici occasioni ( cfr . tra le più recenti ed esaustive, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 10111 del 2018; Cass. n. 33353 del 2018; Cass. n. 16127 del 2020; Cass. n. 19891 del 2022; Cass. n. 35789 del 2022; Cass. n. 7288 del 2023; Cass. n.
7932 del 2023; Cass. n. 12990 del 2023), sul tema degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario finanziario in applicazione dell’art. 21 del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58, in combinato disposto con gli artt. 28 e 29 del regolamento Consob n. 11522 del 1998, esaminando l’argomento e pervenendo ad esiti interpretativi univoci e consolidati, sotto due distinti aspetti che sono stati tenuti e che occorre mantenere attentamente separati: i ) quello dell’identificazione della latitudine degli obblighi informativi medesimi; ii ) quello dell’atteggiarsi del riparto degli oneri di allegazione e di prova in sede giudiziale ove l’investitore lamenti l’inadempimento di detti obblighi.
In relazione ad essi, dunque, può farsi rinvio, ex art. 118, comma 1, disp. att. cod. proc. civ., a quanto ampiamente esposto in quelle pronunce, così sintetizzabile (come in parte già anticipatosi nei precedenti §§ da 3.3. a 3.5. di questa motivazione): i ) gli obblighi di comportamento sanciti dall’art. 21 del d.lgs. n. 58 del 1998 e dalla normativa secondaria contenuta nel Reg. Consob n. 11522 del 1998, sorgono sia nella fase che precede la stipulazione del contratto quadro (come quello di consegnare il documento informativo sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari e di acquisire le informazioni sull’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento e la sua propensione al rischio), sia dopo la sua conclusione (è il caso dell’obbligo d’informazione cd. attiva circa la natura, i rischi e le implicazioni della singola operazione e di segnalazione delle operazioni inadeguate); ii ) con particolare riferimento all’obbligo di informazione attiva, l’art. 28, comma 2, Reg. Consob n. 11522 del 1998, richiede che gli intermediari forniscano all’investitore ‘ informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni della specifica operazione o del servizio, la cui conoscenza sia necessaria per effettuare consapevoli scelte di investimento o disinvestimento ‘; iii ) giusta l’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 58 del 1998, grava sull’intermediario provare di aver agito con la specifica diligenza richiesta e, pertanto, di dimostrare di avere correttamente informato i clienti sulla natura, i rischi e le implicazioni della
specifica operazione o del servizio; iv ) l’intermediario convenuto in un giudizio di responsabilità per mancato assolvimento degli obblighi di informazione attiva è tenuto alla dimostrazione di aver fornito al cliente una dettagliata informazione preventiva circa i titoli mobiliari, ricorrendo un inadempimento sanzionabile ogni qualvolta detti obblighi informativi non siano integrati; in proposito, è irrilevante ogni valutazione di adeguatezza dell’investimento, posto che l’inosservanza dei doveri informativi da parte dell’intermediario è fattore di disorientamento dell’investitore, che condiziona le sue scelte di investimento; v ) l’assolvimento dell’obbligo di informazione specifica impone, quindi, all’intermediario di attivarsi per ottenere una conoscenza preventiva adeguata del prodotto finanziario alla luce di tutti i dati disponibili che ne possano influenzare la valutazione effettiva della rischiosità (quali la solvibilità dell’emittente, il contenuto del prospetto informativo specifico destinato agli investitori istituzionali, le caratteristiche del mercato ove il prodotto è collocato) e di trasmettere tali informazioni al cliente; vi ) con particolare riferimento, poi, all’obbligo di informazione passiva previsto dall’art. 28, primo comma, lett. a ), -consistente nella richiesta di notizie all’investitore circa la sua esperienza in materia di investimenti in strumenti finanziari, la sua situazione finanziaria, i suoi obiettivi di investimento, nonché circa la sua propensione al rischio (cd. profilatura) -esso è funzionale alla valutazione di adeguatezza delle singole operazioni che l’investitore porrà in essere; infatti, poiché ciascuna operazione di negoziazione può essere inadeguata tanto per tipologia ed oggetto, quanto per frequenza o dimensione, la valutazione di adeguatezza di un’operazione da parte dell’intermediario come tale inidonea a far sorgere l’obbligo di astensione e la necessità della relativa motivata segnalazione e del conseguente ordine scritto -richiede necessariamente la preventiva acquisizione delle informazioni concernenti la situazione finanziaria dell’investitore e gli obiettivi che questi si prefigge con il ricorso agli strumenti finanziari; pertanto, il suo mancato assolvimento è idoneo ad inficiare la valutazione di adeguatezza effettuata dall’intermediario; vii ) l’intermediario non è esonerato, pure in presenza di un investitore aduso ad
operazioni finanziarie a rischio elevato che risultino dalla sua condotta pregressa, dall’assolvimento degli obblighi informativi previsti dal d.lgs. n. 58 del 1998 e dalle relative prescrizioni di cui al Regolamento Consob n. 11522 del 1998 e successive modificazioni, permanendo in ogni caso il suo obbligo di offrire la piena informazione circa la natura, il rendimento ed ogni altra caratteristica del titolo.
4 .2. Quanto, poi, all’atteggiarsi del riparto degli oneri di allegazione e di prova, in sede giudiziale, nelle azioni come quella intrapresa dagli attori/appellanti, occorre anzitutto richiamare la regola secondo cui, nei giudizi di risarcimento del danno, è onere dell’intermediario provare di avere agito con la diligenza richiestagli, ai sensi dell’art. 23, comma 6, del d.lgs. n. 58 del 1998: norma che, lungi dal comportare un’inversione dell’onere probatorio altrimenti discendente dall’art. 2697 cod. civ., si pone in perfetta armonia e continuità con la regola generale stabilita dall’art. 1218 cod. civ., che, in presenza dell’inadempimento, pone a carico del debitore la prova della sua non imputabilità ( cfr . Cass. n. 17138/2016; Cass. n. 12990 del 2023), non trovando applicazione tale norma solo al di fuori del campo della responsabilità contrattuale, ove il danneggiato intenda far valere la responsabilità extracontrattuale dell’intermediario per fatto altrui ( cfr . Cass. n. 16616/2016).
Soffermandosi, poi, sul significato dell’articolo 23 citato, questa Corte ha affermato ( cfr., amplius , in motivazione, Cass. n. 16127 del 2020, poi ribadita dalle più recenti Cass. n. 7932 del 2023 e Cass. n. 12990 del 2023) che, « in materia di contratti di intermediazione finanziaria, allorché risulti necessario accertare la responsabilità per danni subiti dall’investitore, va verificato se l’intermediario abbia diligentemente adempiuto alle obbligazioni scaturenti dal contratto di negoziazione nonché, in ogni caso, a tutte quelle obbligazioni specificamente poste a suo carico dal d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (TUF), e prima ancora dal d.lgs. 23 luglio 1996, n. 415, nonché dalla normativa secondaria, risultando, quindi, così disciplinato, il riparto dell’onere della prova: l’investitore deve allegare l’inadempimento delle citate obbligazioni da parte dell’intermediario, nonché fornire la prova
del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’intermediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggettivo, di avere agito ‘con la specifica diligenza richiesta’ (Cass. n. 3773/2009) ».
Spetta, dunque, in primo luogo, all’investitore dedurre l’inadempimento consistente nella violazione degli obblighi informativi ai quali l’intermediario finanziario è tenuto, con conseguente collocazione a carico dello stesso intermediario finanziario dell’onere probatorio di avere esattamente adempiuto, nei termini previsti dalla normativa applicabile ed in relazione all’inadempimento così come dedotto.
4.3. Alla stregua di tutti i riportati, e qui condivisi, princìpi, quindi, la decisione della Corte di appello di Palermo, oggi impugnata, rivelandosi coerente con gli stessi, non risulta inficiata dai vizi ad essa ascritti dalle censure in esame.
In particolare, detta corte, come si è già riferito al § 2.1. dei ‘ Fatti di causa ‘: i ) ha riferito che, « Nella fattispecie, è emerso che: a) i clienti non erano investitori ad alto rischio, anzi, come ammesso dalla stessa banca e come risulta dai documenti in atti, gli appellanti acquistavano solo titoli senza rischio (titoli di Stato-Bot e CCT); b) la banca non acquisiva, né approfondiva, le informazioni circa la propensione all’investimento da parte dei clienti, nonostante non risultava regolarmente compilato, con riferimento alla voce esperienza/conoscenza in materia di investimenti finanziari, il modulo della adeguatezza degli investimenti; c) non vi è alcuna prova che siano stati forniti i dovuti chiarimenti circa l’altissimo profilo di rischio dell’investimento, il quale, poi, ha avuto un esito infausto (es. rating ) »; ii) ha considerato « evidente » la violazione delle disposizioni di cui agli artt. 21 e ss. del T.U.F. e 28 del Regolamento Consob n. 11522/98, « essendo stata disattesa la regola secondo cui, nella prestazione di servizi di investimento e accessori, i soggetti abilitati devono comportarsi ‘con diligenza, correttezza e trasparenza’ e devono operare in modo che i clienti siano sempre adeguatamente informati ( suitability rule ) »; iii ) ha affermato
che, « Nel caso che ci occupa, di fronte alle contestazioni degli appellanti, nessuna prova ha fornito la banca in ordine all’effettivo rispetto degli obblighi informativi e sulla puntuale adozione di un comportamento improntato a diligenza, correttezza e trasparenza ».
È innegabile, dunque, che, così argomentando, la corte territoriale, prendendo in esame i fatti rilevanti ai fini della decisione sulla domanda di risoluzione per inadempimento proposta dagli attori/appellanti ed indicando le ragioni del convincimento espresso in ordine agli stessi in modo nient’affatto apparente, perplesso o contraddittorio, ha inteso opinare, sostanzialmente, non solo che la Banca non aveva adempiuto gli obblighi informativi su di essa gravanti, ma anche che l’operazione di investimento di cui oggi si discute non era adeguata rispetto al concreto profilo di rischio attribuito agli originari attori/appellanti. Si è al cospetto, dunque, di accertamenti chiaramente di natura fattuale, non ulteriormente sindacabili in questa sede, se non per vizio motivazionale, peraltro nei ristretti limiti in cui l’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., nel testo modificato dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa il 26 aprile 2019), -tuttora lo consente.
La ricorrente insiste oggi nel sostenere l’adeguatezza dell’operazione richiestale dai coniugi COGNOMECOGNOME in relazione al loro profilo di rischio e di aver adempiuto pure agli specifici obblighi informativi a suo carico ritenuti, invece, non osservati dalla sentenza impugnata, mostrando, così, di mirare ad ottenere, sotto la formale rubrica di vizio di violazione di legge, una diversa valutazione, sul punto, di quanto sancito dal giudice di merito, totalmente dimenticando, però, che: i ) il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. deve essere dedotto, a pena di inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366, n. 4, cod. proc. civ., non solo con la indicazione delle norme assuntivamente violate, ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intelligibili ed esaurienti intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le
indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendosi alla Corte regolatrice di adempiere al suo istituzionale compito di verificare il fondamento della lamentata violazione ( cfr . tra le più recenti, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 15033 del 2024; Cass. nn. 13408, 10033 e 9014 del 2023; Cass. n. 31071 del 2022; Cass. nn. 28462 e 25343 del 2021; Cass. n. 16700 del 2020. Si veda pure Cass., SU, n. 23745 del 2020, a tenore della quale, « In tema di ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni -la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa »); ii ) spetta solo al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge ( cfr. ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 27522 del 2023; Cass. n. 11299 del 2023; Cass. n. 7993 del 2023; Cass. n. 35041 del 2022; Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. n. 27686 del 2018; Cass., Sez. U, n. 7931 del 2013; Cass. n. 14233 del 2015; Cass. n. 26860 del 2014); iii ) il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione impugnata, non condivisi e, per ciò solo, censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri più consoni alle proprie aspettative ( cfr . Cass. n. 21381 del 2006,
nonché, tra le più recenti, Cass., SU, n. 34476 del 2019; Cass. nn. 1822, 2195, 3250, 5490, 9352, 13408, 5237, 21424, 30435, 35041 e 35870 del 2022; Cass. nn. 1015, 7993, 11299, 13787, 14595, 17578, 27522, 30878 e 35782 del 2023; Cass. nn. 4582, 4979, 5043, 6257, 9429, 10712, 16118, 19423, 27328 e 35006 del 2024; Cass. nn. 1166 e 8671 del 2025); iv ) come puntualizzato da Cass. n. 8671 del 2025 ( cfr . in motivazione), il compito di questa Corte non è quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, né quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dai giudici di merito ( cfr . Cass. n. 3267 del 2008), anche se il ricorrente prospetta un migliore e più appagante (ma pur sempre soggettivo) coordinamento dei dati fattuali acquisiti in giudizio ( cfr . Cass. n. 12052 del 2007), dovendo, invece, solo controllare, a norma degli artt. 132, n. 4, e 360 comma 1, n. 4, c.p.c., se costoro abbiano dato effettivamente conto delle ragioni in fatto della loro decisione e se la motivazione al riguardo fornita sia solo apparente ovvero perplessa o contraddittoria (ma non più se sia sufficiente: Cass. SU n. 8053 del 2014), e cioè, in definitiva, se il loro ragionamento probatorio, qual è reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto, com’è in effetti accaduto nel caso in esame, nei limiti del ragionevole e del plausibile ( cfr ., in motivazione, Cass. n. 11176 del 2017).
4.4. Esigenze di completezza, infine, impongono di ribadire che, nella prestazione del servizio di negoziazione di titoli, qualora l’intermediario abbia dato corso all’acquisto di titoli ad alto rischio senza adempiere ai propri obblighi informativi, ed il cliente (come pacificamente nell’odierna vicenda) non rientri in alcuna delle categorie di investitore qualificato o professionale previste dalla normativa di settore, non è configurabile alcun concorso di colpa di quest’ultimo nella produzione del danno ( cfr . Cass. n. 8353 del 2023; Cass. n. 26064 del 2017, parag. 17; Cass. n. 8394 del 2016; Cass. 9892 del 2016).
5. Il sesto motivo di ricorso, recante « Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c. per omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti », contesta alla corte di appello di avere omesso l’esame del fatto storico, documentato in atti, asseritamente decisivo e discusso tra le parti, concernente la segnalazione di non adeguatezza che la Banca ha effettuato in occasione dell’investimento per cui è causa e la contestuale autorizzazione dei clienti, nonostante detto avvertimento ricevuto, a procedere comunque con l’esecuzione dell’ordine stesso. Assume la ricorrente che quella circostanza fattuale, evidenziata nel corso del primo grado di giudizio e ribadita, poi, in sede di gravame, sarebbe stata determinante e decisiva per l’esito del giudizio, in quanto avrebbe consentito al giudicante di escludere la violazione, da parte della Banca, degli obblighi sulla stessa incombenti ai sensi dell’art. 29 del Regolamento Consob n. 11522/98.
5.1. Questa doglianza si rivela inammissibile.
Invero, è opportuno ricordare che la corte territoriale: i ) ha verificato ( cfr., amplius , pag. 5-6 della sentenza impugnata) che il modulo dell’adeguatezza degli investimenti, prodotto dalla Banca convenuta in primo grado, non risultava regolarmente compilato quanto alla voce esperienza/conoscenza in materia di investimenti finanziari (« nonostante tale indicatore sia segnato alle relative voci b.1 e b.2 non è riportata alcuna annotazione »), altresì precisando che la stessa avrebbe avuto « l’obbligo di fornire all’investitore un’informazione adeguata in concreto, anche di fronte all’eventuale rifiuto del cliente di fornire informazioni in ordine alla propria situazione finanziaria, non essendo, in ogni caso, l’intermediario esonerato dall’obbligo di informazione e di verifica del profilo di adeguatezza del prodotto finanziario oggetto di negoziazione »; ii ) ha accertato che « a) i clienti non erano investitori ad alto rischio, anzi, come ammesso dalla stessa banca e come risulta dai documenti in atti, gli appellanti acquistavano solo titoli senza rischio (titoli di Stato-Bot e CCT); b) la banca non acquisiva, né approfondiva, le informazioni circa la propensione all’investimento da parte dei clienti, nonostante non risultava regolarmente
compilato, con riferimento alla voce esperienza/conoscenza in materia di investimenti finanziari, il modulo della adeguatezza degli investimenti; c) non vi è alcuna prova che siano stati forniti i dovuti chiarimenti circa l’altissimo profilo di rischio dell’investimento, il quale, poi, ha avuto un esito infausto ( es . rating ) ».
5.2. Giova rimarcare, poi, che il vizio di motivazione, ancor più in rapporto all’attuale testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., introdotto dal d.l. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012 (qui applicabile ratione temporis , risultando impugnata una sentenza resa il 26 aprile 2019), non può consistere nella difformità dell’apprezzamento dei fatti e delle prove dato dal giudice del merito rispetto a quello preteso dalla parte, spettando, come si è già anticipato, solo al giudice predetto individuare le fonti del proprio convincimento, valutare le prove, controllarne l’attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova (cfr. Cass., SU, n. 8053 del 2014); mentre alla Corte di cassazione non è conferito il potere di riesaminare e valutare autonomamente il merito della causa, bensì solo quello di controllare, sotto il profilo logico e formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione compiuti dal giudice del merito, cui è riservato l’apprezzamento dei fatti.
L’attuale art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ., riguarda, dunque, un vizio specifico denunciabile per cassazione relativo all’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico naturalistico, come tale non ricomprendente questioni o argomentazioni, sicché sono inammissibili le censure che, come nella specie, irritualmente, estendano il paradigma normativo a quest’ultimo profilo ( cfr., ex aliis , anche nelle rispettive motivazioni, Cass. n. 8671 del 2025; Cass. nn. 26379, 19417, 14677, 9807 e 6127 del 2024; Cass. nn. 28390, 27505, 4528 e 2413 del 2023; Cass. n. 31999 del 2022; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022).
È noto, inoltre, che « Il mancato esame di un documento può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui determini l’omissione di motivazione su un fatto controverso e decisivo della lite e, segnatamente, quando il documento non esaminato offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza, e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento » ( cfr. Cass. n. 31999 del 2022).
5.3. Nella specie, la circostanza fattuale che la censura in esame intende valorizzare sottolineando il mancato esame del contenuto della segnalazione di non adeguatezza invocata dalla Banca nemmeno può considerarsi decisiva, nei sensi appena precisati. Infatti, la qui condivisa giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di puntualizzare che, « in tema d’intermediazione finanziaria, la dichiarazione resa dal cliente, su modulo predisposto dalla banca e da lui sottoscritto, in ordine alla propria consapevolezza circa le informazioni ricevute sulla rischiosità dell’investimento suggerito e sollecitato dalla banca e della inadeguatezza dello stesso rispetto al suo profilo d’investitore, non costituisce dichiarazione confessoria in quanto rivolta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo » ( cfr., ex aliis , Cass. n. 18122 del 2020; Cass. n. 28175 del 2019, che ha precisato pure che detta dichiarazione neppure costituisce « un’autorizzazione scritta all’investimento, quando sia apposta su un modulo “standard” senza alcun riferimento individualizzante da cui desumere l’effettiva presa d’atto dei rischi e delle particolari caratteristiche della specifica operazione »; Cass. n. 4620 del 2015; Cass. n. 6142 del 2012). Ne consegue l’infondatezza della prospettata violazione del predetto canone di valutazione probatoria del documento suddetto.
5.4. In definitiva, quindi, può concludersi opinando che il vizio oggi così prospettato da Credem è volto sostanzialmente a sollecitare questa Corte ad un nuovo scrutinio del compendio probatorio per avvalorare una diversa ricostruzione della questio facti , sempre al fine di far apprezzare una diversa
valutazione del profilo dell’adempimento da parte dell’intermediario finanziario degli obblighi di corretta informazione del cliente e di adeguatezza dell’investimento. E ciò a fronte di una motivazione che, da un lato, ha ritenuto non adempiuto l’onere della prova incombente sulla banca proprio in relazione a quest’ultimo profilo di valutazione e, dall’altro, ha apprezzato gli elementi comunque emergenti dall’istruttoria per delineare una profilatura degli investitori che richiedeva una penetrante informativa e comunque la necessità di un ordine scritto indirizzato a far acquistare all’intermediario i titoli argentini sul mercato mobiliare internazionale, a fronte di un investimento inadeguato.
6. Il settimo motivo di ricorso, infine, rubricato « Violazione e falsa applicazione ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c. dell’art. 2935 c.c. per avere la Corte di Appello di Palermo individuato il dies a quo del termine di prescrizione dell’azione avversaria nella data di default dei titoli per cui è causa », contesta alla corte palermitana di avere errato nell’applicazione dell’art. 2935 cod. civ. secondo cui « la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui diritto può essere fatto valere ». La stessa, invero, dopo aver trattato l’ordine di investimento oggetto di causa alla stregua di un contratto, ha ritenuto applicabile alla fattispecie la prescrizione decennale, sbagliando, inoltre, nella individuazione del dies a quo . Infatti, ha ritenuto che la decorrenza del termine prescrizionale dell’azione avversaria coincidesse con il 23 dicembre 2001, ossia con la data di default della Repubblica Argentina, senza all’evidenza considerare quanto disposto dall’art. 2935 cod. civ. e che, secondo l’unanime giurisprudenza, ciò che impedisce il decorso della prescrizione è solo l’impossibilità giuridica di far valere un diritto. Nel caso di specie, ricorda la ricorrente, « i clienti lamentano presunte violazioni degli obblighi informativi e/o di valutazione di adeguatezza in occasione degli ordini di acquisto delle Obbligazioni Argentina, assumendo in sostanza di non essere stati correttamente informati sulle caratteristiche e sulla rischiosità dei titoli. È evidente quindi che le eventuali violazioni della Banca, che l’esponente contesta, ove ritenute sussistenti, si sarebbero tutte pacificamente verificate in occasione
dell’operazione di acquisto dei titoli, momento in cui la Banca avrebbe violato gli obblighi contrattuali sulla stessa gravanti. Ciò premesso, diventa quindi del tutto irrilevante il default del titolo perché il danno, e più in generale il pregiudizio, rappresentato dall’aver eseguito un’operazione di investimento senza aver ricevuto adeguate informazioni si verifica al momento dell’investimento, non certo al momento dell’insolvenza dell’emittente. Anche perché, volendo seguire la tesi della Corte di Appello di Palermo, dovremmo ritenere che, in caso di operazioni eseguite in assenza di informazioni da parte dell’intermediario, il termine di prescrizione dell’azione risarcitoria non inizierebbe a decorrere fino all’eventuale default dell’emittente (evento peraltro eccezionale), che magari potrebbe verificarsi a distanza di anni dall’operazione, con buona pace della certezza dei rapporti giuridici » ( cfr . pag. 29 -30 del ricorso).
6.1. Allo scrutinio di detta censura giova premettere che, nelle controversie in tema di prestazione di servizi di investimento, quella di prescrizione costituisce una tipica eccezione a disposizione dell’intermediario per resistere a contestazioni aventi ad oggetto investimenti in strumenti finanziari risalenti nel tempo e rivelatisi pregiudizievoli per il cliente a distanza di anni. In tale contesto, allora, riveste indubbia rilevanza pratica stabilire con esattezza il dies a quo per il computo del termine di prescrizione relativo alle controversie predette.
Infatti, se è pacifico che, ai sensi dell’art. 2935 cod. civ., « la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere », la concreta individuazione di tale momento ha dato luogo -specie nel caso delle operazioni di investimento -ad interpretazioni non sempre univoche, influenzate dalla ricerca di un delicato equilibrio tra tutela dell’investitore incolpevolmente inerte, insopprimibile esigenza di certezza dei rapporti giuridici e speculare interesse dell’intermediario a non vedersi sottoposto, per un tempo indefinito, al rischio di contestazioni tardive avanzate dai clienti a seconda del carattere profittevole, o meno, dell’investimento.
Occorre rimarcare, peraltro, che, in relazione all’indagine suddetta, è doveroso distinguere a seconda del tipo di domanda formulata dall’investitore e, in particolare, tra: i ) azioni volte alla declaratoria di nullità, all’annullamento ovvero alla risoluzione del contratto per grave inadempimento (azioni cd. caducatorie), con conseguenti pretese di restituzione del prezzo corrisposto per l’acquisto del titolo; ii ) azioni volte ad ottenere il risarcimento del danno subito dall’investitore per inadempimento contrattuale dell’intermediario (azioni cd. risarcitorie).
Nella concreta fattispecie oggi sottoposta all’esame di questa Corte, viene in rilievo, solo ed esclusivamente, la prima di queste ipotesi, posto che ciò che gli attori/appellanti hanno ottenuto dalla corte d’appello è stato l’accoglimento della domanda di « risoluzione contrattuale » (riferita all’ordine di acquisto di obbligazioni Argentina più dettagliatamente indicato negli atti di causa) e la condanna della banca alla « restituzione » della somma da essi investita (detratte le cedole incassate medio tempore ) avendo la medesima corte dichiaratamente fatto applicazione dell’art. 1458 cod. civ ., quanto all’effetto retroattivo della pronuncia di risoluzione ( cfr . pag. 10 della sentenza impugnata). In nessuna parte della decisione impugnata, invece, si fa menzione di una pretesa risarcitoria del danno specificamente riconducibile alla violazione degli obblighi informativi di cui si è ampiamente riferito scrutinandosi i motivi precedenti (infatti, il risarcimento negato ha investito il solo profilo del danno non patrimoniale. Cfr . pag. 10 della menzionata sentenza).
6.2. Così specificamente delimitato, dunque, l’ambito della odierna riflessione, la censura in esame si rivela fondata nei limiti ed alla stregua delle considerazioni tutte di cui appresso.
Le argomentazioni con cui la corte territoriale ha disatteso il gravame incidentale condizionato mediante il quale la banca aveva ivi ribadito l’eccezione di prescrizione della domanda (anche) di « risoluzione » degli originari attori ricalca chiaramente l’orientamento di legittimit à, pressoché pacifico, in tema di decorrenza della prescrizione in relazione al risarcimento del danno (contrattuale o extracontrattuale): solo da quando la parte ha (o
avrebbe potuto avere) percezione del danno lamentato può cominciare a decorrere quel termine. In questi sensi, del resto, si è espressa anche la recente Cass. n. 32226 del 2024, resa -giova rimarcarlo -proprio in una fattispecie in cui era in discussione la decorrenza del termine di prescrizione di una domanda di risarcimento del danno in una controversia che aveva visto contrapposti investitore ed intermediario finanziario. In quella sede, sono stati enunciati i seguenti principi di diritto: « In tema di intermediazione finanziaria, il termine prescrizionale decennale per l’esercizio, da parte del cliente/investitore, dell’azione di risarcimento danni nei confronti dell’intermediario, per responsabilità contrattuale dello stesso derivante da inadempimento agli obblighi informativi su di lui gravanti in occasione di operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione di un “contratto quadro’ stipulato con il primo, inizia a decorrere solo quando si manifesta in concreto, per il cliente/investitore medesimo, il pregiudizio patrimoniale, e cioè la conseguenza dannosa da lui oggettivamente percepibile, secondo il metro dell’ordinaria diligenza, e rappresentata dalla perdita patrimoniale sofferta, questo essendo il momento in cui il diritto al risarcimento può esser fatto valere rispetto ad un danno effettivamente determinatosi »; « L’individuazione di quale sia il momento in cui, per il cliente/investitore, divenga o sia divenuto realmente percepibile il danno da ascriversi all’intermediario inadempiente ai propri obblighi informativi dipende dalle circostanze del singolo caso concreto e la relativa indagine deve necessariamente tenere conto, tra l’altro: i) della natura affatto peculiare dei beni (titoli azionari e/o obbligazionari; derivati e prodotti simili; etc.) generalmente oggetto delle fattispecie di intermediazione mobiliare, trattandosi di beni che, proprio per le loro caratteristiche tipiche, non sono assimilabili ad altri beni mobili; ii) del fatto che, nel caso degli investimenti finanziari, un danno risarcibile ex art. 1223 cod. civ. non può essere provocato dal normale andamento del valore e/o prezzo del titolo sul mercato secondario, in quanto tale circostanza, vale a dire la fluttuazione del titolo stesso, è ontologicamente connaturata alla natura mutevole della valorizzazione degli investimenti finanziari
(soprattutto laddove si sia al cospetto di titoli azionari). È necessario, invece, un quid pluris , se del caso anche un evento ‘anomalo’, che, al contempo, disveli il rischio taciuto dall’intermediario e concretizzi la lesione patrimoniale »). Principi sostanzialmente ribaditi anche dalla più recente Cass. n. 11241 del 2025.
Osserva, tuttavia, il Collegio che, proprio perché riguardanti una domanda (risarcimento del danno) completamente diversa, per tipologia e presupposti, da quella (risoluzione per inadempimento e conseguente ripetizione di indebito) di cui oggi si discute, quei principi -su cui si sono concentrate, invece, pressoché interamente, le argomentazioni critiche della banca ricorrente rinvenibili nella sua memoria ex art. 378 cod. proc. civ. malgrado la puntuale indicazione della ragione (« La questione posta dal settimo motivo di ricorso concernente la individuazione del dies a quo del termine di prescrizione dell’azione dell’investitore volta ad ottenere la risoluzione del contratto recante l’ordine di investimento e la restituzione di quanto investito per effetto dell’avvenuta violazione degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario ») per cui, nell’ordinanza interlocutoria resa da Cass. n. 35836 del 2023, si era ritenuta opportuna la discussione della causa in pubblica udienza -non sono qui replicabili.
È chiaro, infatti, che il diritto al risarcimento del danno, in una controversia tra investitore ed intermediario nella quale è ascritta a quest’ultimo la violazione di obblighi informativi, non può essere fatto valere se non quando si sia prodotto il danno di cui il primo invochi il ristoro, riconducendolo alla illegittima condotta del secondo. E cioè, fino a quando tale danno non si sia verificato – o per meglio dire non sia divenuto oggettivamente percepibile dal preteso danneggiato, come chiarito da Cass. n. 32226 del 2024 – non può che farsi conseguente applicazione del principio contra non valentem agere non currit praescriptio .
Diversamente, invece, allorquando la violazione di obblighi informativi dell’intermediario costituisce (come accaduto nella specie) allegazione fondante una domanda di risoluzione contrattuale proposta dell’investitore per inadempimento del primo, il momento in cui si realizza detto
inadempimento, e dunque il momento in cui il diritto può essere esercitato a mente dell’art. 2935 c.c., è proprio quello in cui l’intermediario medesimo esegue l’ordine di acquisto ricevuto dall’investitore senza avergli prima fornito le informazioni tutte di cui si è detto scrutinando i precedenti motivi secondo e terzo, nulla rilevando la consapevolezza successivamente acquisita dell’inadempimento dei menzionati obblighi informativi, la quale consapevolezza si colloca dal versante degli impedimenti di mero fatto all’esercizio del diritto, che per giurisprudenza ferma non impediscono il corso della prescrizione (a mero titolo di esempio tra le innumerevoli v. Cass. n. 996 del 2022, che, in caso di vendita di aliud pro alio avente ad oggetto un dipinto falso, ancora il termine a quo per il corso della prescrizione alla consegna del quadro, che individua il momento in cui si verifica l’inadempimento , non al momento dell’acquisita consapevolezza della sua non autenticità).
In altri termini, al momento stesso dell’esecuzione di quell’ordine si consuma indefettibilmente l’inadempimento consistente della violazione degli obblighi informativi, diversamente da quanto accade in caso di domanda risarcitoria, ben potendo venire ad esistenza il danno – nel senso prima indicato della sua oggettiva percepibilità – in un momento successivo a quello della violazione predetta. Dunque da quel momento, i.e. dalla data di esecuzione dell’ordine di acquisto , può essere esercitato il diritto potestativo di risoluzione per inadempimento.
In definitiva, il diverso modus operandi della prescrizione nelle due fattispecie (domanda di risarcimento del danno e domanda di risoluzione per inadempimento) discende proprio dalla formulazione dell’art . 2935 cod. civ., a tenore del quale la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere. L’azione di risarcimento del danno , difatti, come si è già detto, in tanto può essere proposta in quanto si sia verificato il danno; s e il danno ancora non c’è il diritto al risarcimento del danno non può essere fatto valere. L’azione di risoluzione per inadempimento, parallelamente, può essere proposta dal momento in cui si è consumato un inadempimento che abbia i caratteri previsti dall’art. 1455 cod. civ. (deve
trattarsi cioè di un inadempimento di non scarsa importanza: tra le moltissime Cass. n. 11640 del 2003), altrimenti il diritto non può essere giudizialmente azionato.
È fisiologico, quindi, che i termini di prescrizione siano diversi a seconda che l’investitore scelga la strada del risarcimento del danno o quella della azione di risoluzione di inadempimento e di restituzione della somma investita ( i.e. di ripetizione di indebito, dovendo qui ricordarsi che, come si legge in Cass. n. 21418 del 2018, « Le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che qualora venga acclarata la mancanza di una causa adquirendi -tanto nel caso di nullità, annullamento, risoluzione o rescissione di un contratto, quanto in quello di qualsiasi altra causa che faccia venir meno il vincolo originariamente esistente -l’azione accordata dalla legge per ottenere la restituzione di quanto prestato in esecuzione del contratto stesso è quella di ripetizione di indebito oggettivo . In tali casi -si è precisato -la tutela accordata è invero sempre la stessa, anche se le patologie genetiche e funzionali che hanno vulnerato il sinallagma, rendendone necessaria l’attivazione, possono essere diverse (v. Sez. 3, Sentenza n. 2956/2011 cit. ». In senso sostanzialmente conforme, si veda anche l’analogo principio sancito dalla più recente Cass. n. 423 del 2025) .
A tanto deve aggiungersi soltanto che, secondo la qui condivisa giurisprudenza di legittimità, il termine decennale di prescrizione dell’azione di risoluzione del contratto decorre, ai sensi dell’art. 2935 c od. civ., dal momento dell’inadempimento o comunque dal momento in cui si realizza l’inadempimento di non scarsa importanza avuto riguardo all’interesse della controparte ( cfr . sostanzialmente, in tal senso, oltre alla cit. Cass., n. 11640 del 2003, v. tra le tante Cass. n. 6386 del 2018; Cass. n. 40988 del 2021): orbene, è innegabile che, in controversie come quella oggi all’attenzione del Collegio, la gravità dell’inadempimento dell’intermediario è, evidentemente, in re ipsa , per il solo fatto che restano inadempiuti (come concretamente accaduto ed accertato, nella specie, dalla corte distrettuale) obblighi informativi previsti direttamente e specificamente dalla legge.
Va enunciato, dunque, il seguente principio di diritto:
« In tema di intermediazione finanziaria, il termine prescrizionale decennale per l’esercizio, da parte del cliente/investitore e nei confronti dell’intermediario , dell’azione volta ad ottenere la risoluzione del contratto recante l’ordine di investimento e la restituzione di quanto investito per effetto dell’avvenuta violazione degli obblighi informativi gravanti sull’intermediario medesimo, inizia a decorrere dalla data di avvenuta esecuzione dell ‘ordine predetto, questo essendo il momento in cui si verifica l’inadempimento agli obblighi suddetti e dal quale, dunque, il diritto alla risoluzione può esser fatto valere ».
6.3. La pronuncia oggi impugnata, laddove ha respinto il gravame incidentale condizionato della odierna ricorrente, si rivela non coerente con tale principio, sicché deve essere cassata, affidandosi al giudice di rinvio (tanto necessitando di accertamenti chiaramente fattuali) il compito di verificare se, muovendo dalla data (19 maggio 2000) di esecuzione dell’ordine di acquisto di obbligazioni Argentina oggetto della presenta lite, e tenendo conto di eventuali cause di interruzione adeguate e ritualmente prospettate dagli originari attori, era spirato, o meno, alla data (18 gennaio 2011) della proposizione della domanda giudiziale di risoluzione per inadempimento dell’intermediario come formulata da questi ultimi, il termine di prescrizione decennale.
7 . In conclusione, dunque, l’odierno ricorso di Credito Emiliano s.p.a. deve essere accolto limitatamente al suo settimo motivo, rigettandosene il primo, il secondo ed il terzo e dichiarandosene inammissibili il quarto, il quinto ed il sesto.
La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e la causa va rinviata alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso di Credito Emiliano RAGIONE_SOCIALE limitatamente al suo settimo motivo, rigettandone il primo, il secondo ed il terzo e dichiarandone inammissibili il quarto, il quinto ed il sesto.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte di appello di Palermo, in diversa composizione, per il corrispondente nuovo esame e per la regolamentazione delle spese di questo giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima sezione civile