Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 6743 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 6743 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21334/2021 R.G., proposto da
NOME COGNOME , rappresentata e difesa dall’AVV_NOTAIO ( . ), e dall’ AVV_NOTAIO, giusta procura materialmente congiunta al ricorso;
-ricorrente-
nei confronti di
PRESIDENZA DEL RAGIONE_SOCIALE , in persona del Presidente del RAGIONE_SOCIALE pro tempore ; RAGIONE_SOCIALE, RAGIONE_SOCIALE , in persona dei rispettivi RAGIONE_SOCIALE pro tempore ; RAGIONE_SOCIALE , in persona del Rettore pro tempore ; domiciliati ex lege in Roma, INDIRIZZO
n.12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato da cui sono difesi per legge;
-controricorrenti-
per la cassazione della sentenza n. 714/2021 della CORTE di APPELLO di ROMA, depositata il 28 gennaio 2021;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 30 gennaio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME, medico specializzatosi in ‘ Otorinolaringoiatria ‘ presso l’RAGIONE_SOCIALE‘ all’esito di un corso frequentato tra il 1987 e il 1989, convenne davanti al Tribunale di Roma le amministrazioni indicate in epigrafe, chiedendone la condanna al risarcimento del danno per la mancata attuazione delle direttive europee 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, in tema di adeguata remunerazione spettante per la frequenza dei corsi di specializzazione medica.
Il Tribunale rigettò la domanda e la Corte d ‘ appello di Roma, con sentenza 28 gennaio 2021, n. 714, in accoglimento dell’eccezione di prescrizione sollevata dalle amministrazioni convenute, ha confermato la statuizione di rigetto, accogliendo il gravame della dott.NOME COGNOME unicamente in ordine alla quantificazione delle spese processuali del primo grado, lasciate comunque interamente a carico dell’attrice , con compensazione, nella misura della metà, di quelle del grado d’appello .
Per la cassazione di questa sentenza, NOME COGNOME propone ricorso, sulla base di due motivi.
Rispondono con controricorso le amministrazioni intimate.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il pubblico ministero non ha presentato conclusioni scritte.
Non sono state depositate memorie.
RAGIONI RAGIONE_SOCIALEA DECISIONE
Con il primo motivo viene denunciata « Violazione e/o falsa applicazione della Direttiva n. 82/76/CEE, del 26.01.1982, ex art. 360, n. 3, c.p.c. Termine di prescrizione ».
La ricorrente censura la sentenza impugnata per avere ritenuto che il diritto da lei azionato si fosse prescritto e per avere individuato il dies a quo della prescrizione decennale nel giorno 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore dell’art. 11 della legge n. 370 del 1999 .
Sostiene, da un lato, che la prescrizione non sarebbe mai iniziata a decorrere, in ragione della mancanza di una norma attuativa della direttiva nei confronti dei medici che si erano iscritti ai corsi di specializzazione prima dell’anno 1991.
Afferma, dall’altro lato , che, quand’anche « si volesse avallare l’ipotesi di un dies a quo dal quale far decorrere la prescrizione del diritto del medico a percepire il risarcimento del danno, non sarebbe certamente quello indicato dal Giudice di prime cure e successivamente dalla Corte d’Appello »; ciò, in quanto « la direttiva n. 2005/36/CEE, oltre a dettare, agli artt. 25 e 26, una nuova disciplina per i medici specializzati, all’art. 62, ha previsto l’abrogazione, della direttiva n. 93/16/CEE, a decorrere dal 20 ottobre 2007 (data dell’entrata in vigore) »; pertanto, dal 20 ottobre 2007 sarebbe cessato l’obbligo dello Stato Italiano di adempiere, sia pure tardivamente, a quanto previsto nelle direttive 75/362/CEE, 75/363/CEE, 82/76/CEE e in tale data andrebbe quindi correttamente individuato il dies a quo della prescrizione del diritto azionato.
1.1. Il motivo è inammissibile, a norma dell’art. 360 -bis , n. 1, cod. proc. civ..
1.1.a. È ormai ius receptum , nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo cui il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, sorto in favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati, dopo l’applicabilità del regime eurounitario ed entro l’anno accademico 1990-1991, in condizioni tali che, se detta direttiva fosse stata attuata, avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore dell’art.11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370 ( cfr. già Cass. 09/02/2012, n. 1917, che riprende Cass. 17/05/2011, nn. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011; successivamente, ex multis , Cass. 15/11/2016, n. 23199; Cass. 31/05/2018, n. 13758; Cass., Sez. Un., 27/11/2018, n. 30649; Cass. 19/06/2019, n. 16452; Cass. 19/07/2019, n. 16452; Cass. 24/01/2020, n. 1589; Cass. 07/07/2020, n. 14112; Cass. 11/09/2020, n. 18961; Cass.13/12/2021, n. 39421; Cass. 11/02/2022, n. 4573; Cass. 14/03/2022, n. 8096; Cass., Sez. Un., 31/05/2022, n. 17619; Cass., Sez. Un., 09/06/2022, n. 18640; Cass. 27/09/2022, n. 28130; Cass. 09/11/2022, n. 32959; Cass.03/03/2023, n.23697; Cass. 03/08/2023, n. 23771).
1.1.b. Questo consolidato orientamento trova fondamento nel rilievo secondo il quale, «a seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257 -è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1° gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990 -1991. La lacuna è stata
parzialmente colmata con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa Europea. Nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11» (così la citata Cass. n. 1917 del 2012) .
1.1.c. In senso contrario, non assume rilevanza l’argomento secondo il quale solo in tempi ampiamente successivi al 1999 la giurisprudenza di questa Corte avrebbe escluso quelle incertezze inibenti la decorrenza della prescrizione in pregiudizio del danneggiato, relative ad aspetti qua li: l’individuazione della giurisdizione, se ordinaria o amministrativa; la natura dell’azione esperibile, se contrattuale o aquiliana; il termine di prescrizione; l’individuazione del legittimato passivo della domanda.
Detti argomenti – come già questa Corte ha più volte avuto modo di rimarcare (tra le più recenti, cfr. la citata Cass. 09/11/2022, n.32959) – sono del tutto infondati e inidonei a indurre a un ripensamento della stabile nomofilachia sopra richiamata.
Giova ricordare, al riguardo, che la questione della giurisdizione non incide affatto sulla consapevolezza della cristallizzazione della lesione e quindi sulla possibilità, per il danneggiato, di interrompere la sua inerzia e il decorso del termine prescrizionale che, come noto, non ha bisogno di iniziative giurisdizionali ma può ben essere stragiudiziale.
Del pari, non ha alcun rilievo l’individuazione della natura dell’azione esperibile mentre la più ampia durata decennale d ella prescrizione, quale riconosciuta, fa sì che la predetta individuazione non abbia avuto alcun riflesso sulla maturazione della stessa.
Quanto alla legittimazione passiva -premesso che è dello Stato in persona della RAGIONE_SOCIALE, mentre l’evocazione in giudizio di un diverso organo statuale non si traduce nella mancata instaurazione del rapporto processuale, costituendo una mera irregolarità, sanabile ai sensi dell’art. 4 della legge n. 260 del 1958 (Cass., Sez. Un., 27/11/2018, n. 30649), sicché solo se diretta nei confronti della sola RAGIONE_SOCIALE l’interruzione della prescrizione risulta inidonea (Cass.25/07/2019, n. 20099) -va osservato che dalla normativa del 1999 doveva ragionevolmente desumersi che il destinatario del credito era individuabile nell’amministrazione statale e non nell’autonomia universitaria.
1.1.d. Con riferimento alla remunerazione, deve porsi in evidenza che , a séguito dell’intervento con il quale il legislatore dettando l’art. 11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370 -ha effettuato una aestimatio del danno, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione satisfattiva avente natura di debito di valuta, iscritta in una cornice di disciplina comunitaria nella quale non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, né sono posti i criteri per la determinazione della stessa, come ribadito anche dalla pronuncia della Corte di giustizia 24 gennaio 2018, C-616/16 e C-617-16 (cfr., ancora, tra le più recenti, la citata Cass. n. 32959 del 2022, nonché, in modo articolato, Cass.24/01/2020, n. 1641).
1.1.e. La disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi di cui all ‘ art. 39 del d.lgs. n. 368 del 1999 è applicabile,
per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle scuole di specializzazione a decorrere dall’anno accademico 2006 -2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che restano soggetti alla regolazione di cui al d.lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacché, in particolare, la direttiva n. 93/16 non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio.
In altre parole, non è individuabile alcun momento in cui si è stabilita una remunerazione adeguata da valutarsi come la sola recettiva della disciplina unionale, tale da poter concludere, anche in tesi, che esclusivamente a far data da allora avrebbe potuto decorrere la prescrizione (cfr., in termini, Cass. 09/11/2022, n. 32959, cit. ).
1.1.f. Va pure sottolineata la compatibilità della soluzione adottata con i principi affermati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani concernente la tutela del diritto di accesso ad un tribunale, sancito dall’art. 6, par. 1 della Convenzione Europea dei Diritti Umani; da questa giurisprudenza, infatti, si ricava che, se, da un lato, il diritto di accesso ad un tribunale deve essere «concreto ed effettivo» (COGNOME c. Francia, 4.12.1995; COGNOME c. Croazia, 5.4.2018), nonché offrire alla persona «una chiara e concreta possibilità di opporsi ad un atto che costituisce un’ingerenza nei suoi diritti» (COGNOME c. Francia, cit.; COGNOME c. Portogallo, 10.4.2003; COGNOME c. Bulgaria, 16.7.2013), dall’altro lato le norme che disciplinano le for malità e i termini da rispettare al fine della presentazione di un ricorso o di una domanda di riesame giudiziario sono finalizzate ad assicurare la corretta amministrazione della giustizia e in particolare il rispetto del principio della certezza del diritto (Canete de Goni c. Spagna, 15.10.2003); è pertanto necessario, alla stregua dell’orientamento della Corte di Strasburgo, che i tribunali applichino le norme
procedurali evitando sia l’eccessivo formalismo che l’eccessiva flessibilità che vanificherebbe i requisiti procedurali stabiliti dalla legge (NOME COGNOME ad altri c. Turchia, 30.4.2017).
In particolare, con riferimento ai termini di prescrizione, la Corte EDU (Miragall Escolano e altri c. Spagna, 30.4.2000) si è limitata ad affermare che il diritto di instaurare un’azione o di proporre appello deve sorgere a decorrere dal momento in cui le parti hanno potuto effettivamente essere informate di una decisione giudiziaria che impone loro un obbligo o lede potenzialmente i loro legittimi diritti o interessi.
Non appare dunque ipotizzabile, nel caso di specie, la possibilità di una violazione dell’art. 6 della Convenzione, se solo si consideri che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno per tardiva attuazione delle direttive comunitarie è fissata in dieci anni, secondo la chiara indicazione fornita dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., n. 9147 del 17/04/2009) e che il diritto era esercitabile immediatamente, non necessitando della proposizione preventiva dell’azione davanti al giudice amministrativo, trattandosi di diritto autonomo, scaturente dalla condotta dello Stato italiano (in termini, in motivazione, Cass., Sez. Un., n. 18640 del 2022, cit. ).
1.1.g. Quanto alla giurisprudenza della Corte di Giustizia che si è occupata del dies a quo della prescrizione relativa ai medici specializzandi, essa -come già si è osservato in precedenti arresti -ha evidenziato l’insussistenza di un potenziale contrasto tra la soluzione adottata e il principio di effettività tutelato dal diritto europeo, apparendo la soluzione sopra illustrata di certo rispettosa del richiamo a termini di prescrizione «ragionevoli» ed idonea a garantire l’adeguatezza dei mezzi di tutela per un’azione giurisdizionale proposta dai singoli per ottenere la protezione dei diritti conferiti da una direttiva
comunitaria. Nella specie, non solo a partire dal 27 ottobre 1999 nessuna norma dell’ordinamento interno impediva agli odierni ricorrenti di promuovere un giudizio per domandare il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie, ma – deve aggiungersi – nessun dubbio poteva sussistere su quale fosse il soggetto tenuto a rispondere di tale danno (lo Stato), e qualsiasi eventuale incertezza in ordine all’individuazione del giudice munito di giurisdizione a conoscere della relativa domanda non poteva ostare al decorso della prescrizione, dal momento che ogni eventuale errore poteva essere emendato mediante lo strumento del regolamento di giurisdizione (cfr., ancora, sul punto, le citate Cass. n. 18640 del 2022 e n.32959 del 2022).
1.1.h. Il giudice di appello, rigettando il gravame proposto dalla ricorrente, ha accolto l’ eccezione preliminare di merito di prescrizione del diritto risarcitorio, conformandosi, in piena legittimità, ai principi consolidati reiteratamente affermati da questa Corte ed assurti a situazione di ‘ diritto vivente ‘ .
Il primo motivo di ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile ex art. 360bis , n.1 cod. proc. civ..
Con il secondo motivo viene denunciata « Violazione e/o falsa applicazione della legge, ex art. 360, n. 3, c.p.c.. », con riferimento all’art. 92, secondo comma, cod . proc. civ..
La ricorrente sostiene che il giudice del merito « avrebbe dovuto compensare le spese processuali in tutto o in parte », in ragione della circostanza che la materia trattata era «nuova, complessa, incerta e in piena evoluzione giurisprudenziale».
2.1. Anche il secondo motivo è inammissibile.
Va, infatti, ribadito -dando continuità ad un consolidato orientamento di questa Corte -che la regola che deve guidare il giudice
del merito nella regolazione delle spese processuali è quella fondata sulla soccombenza (art.91 cod. proc. civ.), mentre la compensazione, parziale o totale, al verificarsi delle ragioni previste dall’art.92, secondo comma, cod. proc. civ. (nella formulazione applicabile ratione temporis ), è riservata al prudente apprezzamento del giudice e trova quindi fondamento in un potere di natura discrezionale, il cui esercizio è di norma incensurabile in sede di legittimità -salvo che per illogicità, inesistenza o apparenza della motivazione (Cass. 03/07/2019, n. 17816; Cass. 26/07/2021, n. 21400) -e che trova il suo unico limite nell’impossibilità di porre le spese a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. 24/06/2003, n. 10009; Cass. 26/11/2020, n. 26912).
Alla luce di tali principi non è sindacabile -ed è anzi pienamente conforme a diritto -la statuizione sulle spese resa nella fattispecie dal giudice di appello, il quale, a fronte del pressoché integrale rigetto del gravame (accolto unicamente in ordine al profilo della quantificazione delle spese di primo grado, contenute entro il limite minimo), ha disposto la compensazione delle spese del secondo grado nella misura della metà, ponendo in capo all’appellante la residua metà .
In definitiva, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Alla condanna della ricorrente soccombente nelle spese processuali deve seguire quella al pagamento da parte sua, in favore delle controparti vittoriose, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ. (norma applicabile al presente procedimento, che ha avuto inizio, in primo grado, nell’anno 201 6), il cui importo può essere quantificato in misura pari alla metà dei compensi calcolati sulle spese processuali.
Ciò, in ragione della circostanza che le doglianze proposte -come si è veduto, inammissibili per manifesta infondatezza -, infrangendosi su orientamenti nomofilattici consolidati da molto tempo, si sono tradotte in una condotta processuale connotata da mala fede o colpa grave, contraria ai canoni di correttezza, nonché idonea a determinare oggettivamente, attraverso un uso abusivo del mezzo di impugnazione, un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali, ponendosi in posizione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (art.6 CEDU) e, dall’altra, deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessità di strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie, defatigatorie o pretestuose. Tale condotta si presta, dunque, ad essere sanzionata con la condanna dei soccombenti al pagamento, in favore delle controparti, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ. (Cass. 04/08/2021, n. 22208; Cass. 21/09/2022, n. 27568; Cass. 05/12/2022, n. 35593).
Sussistono, infine, i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte della ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente a rimborsare alle amministrazioni controricorrenti le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00, oltre spese prenotate a debito.
Condanna altresì la ricorrente a pagare alle amministrazioni controricorrenti la somma complessiva di Euro 1.050,00, oltre interessi
legali dalla pubblicazione della presente sentenza al saldo, ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ..
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione