Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 8178 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 8178 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24390/2020 proposto da:
COGNOME; COGNOME; COGNOME; COGNOME NOME COGNOME rappresentati e difesi d all’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrenti
–
-contro-
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentati e difesi dagli avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 739/2020 de lla Corte d’appello di Firenze , pubblicata il 6.04.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 26/02/2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con citazione del 5.4.2012, NOME COGNOME in proprio e quale erede del marito NOME COGNOME, conveniva innanzi al Tribunale di Firenze il Credit spa, chiedendo di accertare la nullità di acquisti di obbligazioni Argentina e Telecom Argentina, effettuati tra il 200 e 2001, in mancanza della forma scritta, per la somma di euro 2.199.496,54 o, in subordine, la risoluzione contrattuale per grave inadempimento della banca con risarcimento dei danni.
Al riguardo, l’attrice assumeva che dopo l’insolvenza della Repubblica Argentina, allo scopo di limitare i danni, aveva rivenduti i titoli acquistati, tra il 2004 e 2005, con minusvalenze complessive di euro 1.056.597,86.
Con sentenza del 10.2.2012, il Tribunale rigettava la domanda, osservando che: l’attrice non aveva indicato i singoli titoli oggetto di causa, né quando le operazioni sarebbero state eseguite, né quale fra i clienti le avrebbe ordinate, ed ogni altra circostanza relativa agli acquisti, per cui era impossibile risalire agli esatti fatti posti a fondamento dell’azione.
Con sentenza del 6.4.2020, la Corte territoriale rigettava l’appello proposto dagli eredi dell’attrice, osservando che: il diritto fatto valere si era prescritto, essendo decorso il termine decennale dall’acquisto dei titoli, data del dies a quo dell’azione, non essendo condivisibile il diverso orientamento che fa decorrere tale termine dal momento in cui l’investitore ha avuto conoscenza del verificarsi dei danni; circa la questione della mancata individuazione dei titoli acquistati (e di cui era documentata la sola giacenza sul depositotitoli), l’attrice avrebbe dovuto, preliminarmente alla causa in questione, acquisire i documenti necessari attraverso altra azione giudiziale diretta al fine.
Gli eredi dell’attrice ricorrono in cassazione con tre motivi. RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
Entrambe le parti depositano memoria.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 2935, 2946, cc, 5, c.6, d.lgs. n. 28/2010, per aver la C orte d’appello ritenuto maturata la prescrizione del diritto decorsa dall’acquisto dei titoli, lamentando la mancata applicazione del diverso, consolidato orientamento, secondo il quale tale termine decorre, invece, dal giorno nel quale la produzione del danno si manifesta all’esterno, divenendo oggettivamente percepibile e riconoscibile da parte del danneggiato, anche considerando che secondo un orientamento consolidato il dies a quo coincideva con la data del default dello Stato argentino, il 21.12.2001. Pertanto, i ricorrenti invocano l’efficace interruzione della prescrizione il 7.12.2011 con l’avvio del procedimento di mediazione.
Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 119, c.4, Tuf, 210 cpc, 157, c.3, cpc, per aver la Corte territoriale rigettato la richiesta di disporre l’ordine di esibizione della documentazio ne bancaria, su istanza degli interessati, ritenendo la domanda esplorativa, in quanto non strumentale ad una domanda determinata.
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 91, 92, cpc, per non aver la Corte d’appello compensato le spese, data la decisione difforme dal consolidato orientamento della Cassazione.
Il primo motivo è infondato, seppure in ragione di un percorso argomentativo diverso da quello adottato dalla Corte d’appello.
In ambito di intermediazione finanziaria, ai fini dell’esercizio dell’azione risarcitoria per inadempimento degli obblighi formativi, la prescrizione non decorre dal momento in cui viene impartito l’ordine d’acquisto dei
titoli, bensì da quello in cui si manifesta in concreto il pregiudizio patrimoniale, ossia la conseguenza dannosa rappresentata dalla perdita patrimoniale sofferta (Cass., n. 2066/2023).
La prescrizione del diritto al risarcimento del danno da fatto illecito decorre da quando il danneggiato, con l’uso dell’ordinaria diligenza, sia stato in grado di avere conoscenza dell’illecito, del danno e della derivazione causale dell’uno dall’altro, nonché dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa connotante detto illecito (Cass., n. 4683/2023). Secondo più recente orientamento, è stato precisato che, in tema di intermediazione finanziaria, il momento in cui per il cliente diviene o è divenuto realmente percepibile il danno da ascriversi all’intermediario inadempiente ai propri obblighi informativi, da cui inizia a decorrere il termine decennale di prescrizione per l’esercizio dell’azione risarcitoria, dipende dalle circostanze del singolo caso concreto e la relativa indagine deve tener conto che i peculiari beni oggetto della controversia (titoli azionari o obbligazionari, derivati e simili) non sono assimilabili ad altri beni mobili e che il danno risarcibile ex art. 1223 c.c. non può essere provocato dal normale andamento del valore o del prezzo del titolo sul mercato secondario, poiché la sua fluttuazione è ontologicamente connaturata alla natura mutevole della valorizzazione degli investimenti finanziari, essendo, invece, necessario un quid pluris, anche un evento anomalo, che al contempo disveli il rischio taciuto dall’intermediario e concretizzi la lesione patrimoniale (Cass., n. 3226/2024).
Tale ultima ordinanza ha evidenziato il seguente principio di diritto:« In tema di intermediazione finanziaria, il termine prescrizionale decennale per l’esercizio, da parte del cliente/investitore, dell’azione di risarcimento danni nei confronti dell’intermediario, per responsabilità contrattuale dello stesso derivante da inadempimento agli obblighi
informativi su di lui gravanti in occasione di operazioni di investimento o disinvestimento compiute in esecuzione di un “contratto quadro’ stipulato con il primo, inizia a decorrere solo quando si manifesta in concreto, per il cliente/investitore medesimo, il pregiudizio patrimoniale, e cioè la conseguenza dannosa da lui oggettivamente percepibile, secondo il metro dell’ordinaria diligenza, e rappresentata dalla perdita patrimoniale sofferta, questo essendo il momento in cui il diritto al risarcimento può esser fatto valere rispetto ad un danno effettivamente determinatosi». «L’individuazione di quale sia il momento in cui, per il cliente/investitore, divenga o sia divenuto realmente percepibile il danno da ascriversi all’intermediario inadempiente ai propri obblighi informativi dipende dalle circostanze del singolo caso concreto e la relativa indagine deve necessariamente tenere conto, tra l’altro: i) della natura affatto peculiare dei beni (titoli azionari e/o obbligazionari; derivati e prodotti simili; etc.) generalmente oggetto delle fattispecie di intermediazione mobiliare, trattandosi di beni che, proprio per le loro caratteristiche tipiche, non sono assimilabili ad altri beni mobili; ii) del fatto che, nel caso degli investimenti finanziari, un danno risarcibile ex art. 1223 cod. civ. non può essere provocato dal normale andamento del valore e/o prezzo del titolo sul mercato secondario, in quanto tale circostanza, vale a dire la fluttuazione del titolo stesso, è ontologicamente connaturata alla natura mutevole della valorizzazione degli investimenti finanziari (soprattutto laddove si sia al cospetto di titoli azionari). È necessario, invece, un quid pluris, se del caso anche un evento ‘anomalo’, che, al contempo, disveli il rischio taciuto dall’intermedi ario e concretizzi la lesione patrimoniale».
Nella specie, richiamati i principi generali in materia di cui sopra, l’evento ‘anomalo’ dal quale far decorrere il termine decennale della
prescrizione può dunque essere correttamente ravvisato nel default dello Stato argentino, quale data della effettiva percepibilità del danno provocato dall’investimento , e non nella data d’acquisto dei titoli.
Tuttavia, nel caso concreto, va osservato che i ricorrenti non hanno dimostrato la regolare notifica dell’introduzione del procedimento di mediazione (per il quale è stata indicata la data del 7.12.2001); né tale documento è stato indicato o trascritto nel ricorso.
Al riguardo, va rilevato che l’atto di costituzione in mora è un atto giuridico unilaterale recettizio per il quale è richiesta la forma scritta, ed è idoneo a produrre l’effetto interruttivo della prescrizione previsto dall’art. 2943, comma 4, c.c., a condizione che esso giunga nella sfera di conoscenza del debitore, in quanto la dichiarazione recettizia, ai sensi dell’art. 1335 c.c., si presume conosciuta nel momento in cui giunge all’indirizzo del destinatario, da intendersi come luogo che, per collegamento ordinario (dimora o domicilio) o per normale frequentazione per l’esplicazione della propria attività lavorativa, o per preventiva indicazione o pattuizione, risulti in concreto nella sfera di dominio e controllo del destinatario stesso, apparendo idoneo a consentirgli la ricezione dell’atto e la possibilità di conoscenza del relativo contenuto (Cass., n. 27412/2021; n. 12182/2021).
In particolare, è stato affermato che, in tema di equa riparazione per la non ragionevole durata del processo, l’istanza di mediazione che preceda la relativa domanda interrompe, ai sensi dell’art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28 del 2010, il decorso del termine semestrale di decadenza di cui all’art. 4 della l. n. 89 del 2001 dal momento della sua comunicazione alle altre parti e non da quello del suo deposito (Cass., n. 2273/2019).
Ne consegue che non può dirsi interrotto il termine decennale di prescrizione, rispetto alla data del fallimento dello Stato argentino (23.12.2011- 23.12.2001).
Il secondo motivo è infondato.
Secondo un primo orientamento di questa Corte, il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto, ai sensi dell’art. 119 del d.lgs. n. 385 del 1993 (TUB), anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell’esistenza del rapporto contrattuale, non potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all’art. 210 c.p.c., perché non può convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante (Cass., n. 3875/2019; n. 13277/2018).
Successivamente, questa Corte, mutando orientamento, ha affermato che il diritto spettante al cliente, a colui che gli succede a qualunque titolo o che subentra nell’amministrazione dei suoi beni, ad ottenere, a proprie spese, copia della documentazione inerente a singole operazioni poste in essere negli ultimi dieci anni, ivi compresi gli estratti conto, sancito dall’articolo 119, comma 4, d.lgs. n. 385 del 1993, può essere esercitato in sede giudiziale attraverso l’istanza di cui all’articolo 210 c.p.c., in concorso dei presupposti previsti da tale disposizione, a condizione che detta documentazione sia stata precedentemente richiesta alla banca e quest’ultima, senza giustificazione, non abbia ottemperato (Cass., n. 24641/2021; n. 23861/2022).
Nella specie, la Corte di merito ha ritenuto che l’istanza avente ad oggetto l’ordine, ex art. 119, c.4, Tub, di acquisizione della documentazione relativa ai titoli oggetto di causa, non era accoglibile
in quanto essa era funzionale ad una domanda indeterminata, riguardante titoli dei quali era documentata la sola giacenza sul depositotitoli, e non anche il relativo acquisto con l’intermediazione della medesima banca.
Se ne può dedurre che la statuizione impugnata non merita censura, in quanto i ricorrenti non hanno neppure fornito la prova dell’esistenza del rapporto contrattuale circa i titoli che sarebbero stati oggetto d’acquisto da parte della banca convenuta, adem pimento che anche il primo orientamento richiamato (che , ai fini dell’istanza in questione, non contemplava la previa richiesta alla banca) riteneva necessario.
Infine, anche il terzo motivo è infondato.
D’altra parte, la stessa Corte territoriale ha posto in evidenza che la fattispecie in esame era differente da quella oggetto della citata ordinanza della Cassazione (n 3875/2019), in quanto tale orientamento presupponeva, come detto, che l’ordine di esibi zione fosse funzionale ad una domanda valida, mentre nel caso concreto non era stata proposta una domanda valida poiché troppo generica, ‘ che lasciando nel vago le operazioni inficiate da carenza informativa, non permetteva al Tribunale il puntuale esercizio del diritto di difesa della banca ‘.
Infine, anche il terzo motivo è infondato.
I ricorrenti lamentano che la Corte d’appello non abbia compensato le spese di lite , avendo pronunciato ‘ discostandosi dal consolidatissimo orientamento’ di questa Corte, e di aver avuto necessità d’intraprendere il giudizio esclusivamente a causa del comportamento ostruzionistico della banca.
Come sopra esposto, la domanda dei ricorrenti non era affatto conforme all’orientamento della Cassazione emerso alla data del ricorso, in quanto generica.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di euro 14.200,00 di cui 200,00 per esborsi- oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 26 febbraio 2025.