Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 23412 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 23412 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/08/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 10654/2022 R.G., proposto da
COGNOME HABIB , rappresentato e difeso dall’avv. NOME COGNOME domiciliato ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al ricorso,
–
ricorrente –
contro
COGNOME NOME e COGNOME NOME , rappresentati e difesi dall’avv. NOME COGNOME domiciliati ex lege come da indirizzo pec indicato, per procura su foglio separato allegato al controricorso,
-controricorrente –
contro
MINISTERO DELLA DIFESA,
–
intimato – per la cassazione della sentenza n. 1162/2021 della CORTE d’APPELLO di Ancona pubblicata il 21.10.2021;
Responsabilità civile della PA -Prescrizione -Decorrenza
udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 18.6.2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME conveniva dinanzi al Tribunale di Fermo il M.llo NOME COGNOME e il Crs. NOME COGNOME, nonché il Ministero della Difesa . L’attore , previo accertamento che il 14.7.1998 si trovava all’interno dell’autovettura Renault TARGA_VEICOLO in qualità di trasportato , essendo alla guida del mezzo il suo amico NOME COGNOME chiedeva di dichiarare illegittima la violazione ex art. 218, 6° comma, cod. strada contestata dal COGNOME e dal COGNOME e la conseguente condanna di tutti i convenuti al risarcimento dei danni patrimoniali (perdita di retribuzione per non aver potuto lavorare per effetto della sospensione della patente di guida e spese legali sostenute per affrontare i giudizi conseguenti all’illecito) e non patrimoniali patiti.
Esponeva l’attore che :
il 14.7.1998 la pattuglia del Comando Compagnia Carabinieri di Montegiorgio, composta dal M.llo COGNOME NOME e dal Crs. COGNOME FabioCOGNOME gli contestava l a violazione dell’ art. 218, comma sesto, cod. strada, in quanto ‘alla guida dell’autovettura Renault 11 tg. AP 446607, nonostante fosse soggetto alla sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida per mesi sei scadenti il 13.12.1998′; ne era seguita una seconda ordinanza prefettizia di sospensione della patente di sei mesi a decorrere dal 13.12.1998;
la contestazione del 14.7.1998 era illegittima perché nell’ occasione era trasportato all’interno dell’automezzo condotto dal NOME COGNOME; gli agenti non avevano proceduto alla contestazione immediata ma, dopo aver avvistato l ‘auto vettura, si erano posti alla sua ricerca fino a rinvenirla a distanza di tempo nel parcheggio di un pub di Montegiorgio;
a causa della contestazione non aveva potuto svolgere la sua attività di autotrasportatore e aveva subìto, dapprima, un procedimento penale per la contravvenzione prevista dall’art. 218, comma sesto, cod. strada, definito
con sentenza di non luogo a procedere per sopravvenuta depenalizzazione del fatto, successivamente, una ordinanza prefettizia per il pagamento della sanzione di Lire 4.000.000, in seguito archiviata;
costituitosi parte civile nel procedimento penale per aver sporto querela, dopo due assoluzioni dell’imputato, la Corte d’appello di Perugia, in sede di rinvio dalla Cassazione, aveva pronunciato condanna nei confronti del COGNOME.
Con sentenza n. 161/2017, pubblicata il 3.3.2017, il Tribunale di Fermo, accolta l’eccezione di prescrizione limitatamente alla posizione del solo COGNOME, rigettava la domanda.
La Corte d’Appello di Ancona con sentenza pubblicata il 21.10.2021, dinanzi alla quale si costituivano il Ferrara, il COGNOME e il Ministero della Difesa, rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME gravandolo delle spese del grado.
La Corte d’appello, per quanto ancora di interesse ai fini del presente giudizio, affermava che l’opposizione svolta dall’appellante alla sanzione amministrativa irrogata dal prefetto per i fatti in esame non aveva alcuna efficacia interruttiva e sospensiva della prescrizione del diritto al risarcimento del danno. Né era dirimente , sempre ai fini dell’interruzione della prescrizione, l’aver l’appellante proposto querela nei confronti del Ferrara e degli altri componenti della pattuglia ed essersi costituito parte civile nel procedimento a carico del Ferrara , poiché l’azione civile ivi svolta afferiva al danno preteso per il reato di ingiuria ben diverso da quello chiesto in base alla pretesa illecita contestazione di guida senza patente.
Not ava ancora la Corte d’appello, assumendo che la riproposizione dell’eccezione da parte del Ferrara potesse valere come appello incidentale, che rispetto al momento di verificazione del danno, ancorato dal Tribunale al 14.7.1998 (non oggetto di impugnazione), il primo atto interruttivo della prescrizione risaliva al 2009.
Quanto al merito del preteso illecito aquiliano per l’illegittima contestazione di guida senza patente, perché sospesa, la Corte d’appello
notava che l’incertezza del quadro probatorio restituito dai testimoni, tale da non permettere di riscontrare la dichiarazione sostitutiva di atto notorio di NOME COGNOME (non confermata mediante la sua escussione in sede processuale), il contesto temporale/spaziale (l’ avvistamento era stato fatto in orario serale lungo una strada statale di scorrimento) e quanto fatto dai militari per accertare il tipo e la targa dell’automezzo , il cui conducente ‘aumentava la marcia cercando di dileguarsi’, ‘non siano idonei a contrastare le circostanze di fatto risultanti dal verbale di contestazione, con particolare riferimento all’identificazione del conducente del veicolo’ e che, in o gni caso, l’errore percettivo nella identificazione del conducente fosse scusabile, risultando irrilevante il fatto che il Ferrara fosse stato condannato in altra sede per ingiuria.
Per la cassazione della sentenza della Corte ricorre NOME COGNOME sulla base di tre motivi. Rispondono con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME. Il Ministero della Difesa è rimasto intimato.
La trattazione del ricorso è stata fissata in camera di consiglio, ai sensi dell’art.380bis .1. cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha presentato conclusioni scritte.
Il ricorrente ha depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, deve essere rilevato che la notifica al Ministero della Difesa è stata fatta dal ricorrente presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato e non presso l’Avvocatura Generale dello Stato in violazione dell’art. 11, comma primo, r.d. 1611/1933 (v. ex multis Cass., sez. 6-III, 24 giugno 2020, n. 12410; Cass., Sez. Un., 15 gennaio 2015, n. 608; Cass., sez. II, 17 ottobre 2014, n. 22079).
Sebbene nulla la notifica fatta al Ministero della Difesa, tuttavia, poiché, per quanto si dirà, il ricorso è in parte infondato e in parte inammissibile, è superfluo ordinare l’integrazione del contraddittorio ex art. 331 cod. proc. civ., giacché nessun vantaggio ne potrebbe derivare al
litisconsorte pretermesso. Questa Corte ha già più volte affermato che nel giudizio di cassazione il rispetto del principio della ragionevole durata del processo impone, in presenza di un’evidente ragione d’inammissibilità del ricorso, o qualora questo risulti prima facie infondato, di definire con immediatezza il procedimento, senza la preventiva integrazione del contraddittorio nei confronti dei litisconsorti necessari cui il ricorso non risulti notificato, trattandosi di un’attività processuale ininfluente sull’esito del giudizio e non essendovi, in concreto, esigenze di tutela del contraddittorio, delle garanzie di difesa e del diritto alla partecipazione al processo in condizioni di parità (v., Cass., Sez. Un., 18 novembre 2015, n. 23542; Cass., Sez. Un., 22 marzo 2010, n. 6826; Cass., sez. II, 10 maggio 2018, n. 11287; Cass., sez. 6-III, 24 maggio 2013, n. 12995).
Con il primo motivo è denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 3 e n. 5, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2935 cod. civ.
Il ricorrente censura la sentenza per aver ritenuto la Corte d’appello che la prescrizione sia decorsa dal 14.7.1198, ossia dalla contestata violazione da parte degli operatori dell’Arma. Osserva il ricorrente che tale contestazione non è coincisa con l’evento di danno, la cui verificazione avrebbe fatto sorgere l’interesse all’esercizio della pretesa , dovendo, invece, aversi riguardo al momento della definizione del procedimento ex art. 18 l. 689/1981. Infatti , l’opposizione svolta in sede amministrativa all’ordinanza prefettizia di irrogazione della sanzione amministrativa era stata accolta per un rilievo formale e senza entrare nel merito. Erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto che il procedimento amministrativo e il giudizio risarcitorio ‘hanno oggetti differenti , né possono ritenersi connessi’ , posto che la sanzione amministrativa è stata irrogata come strumento sanzionatorio dello stesso fatto di cui è procedimento.
La prescrizione, a fronte del diritto consolidatosi il 14.2.2005, data della notifica del decreto di archiviazione del 25.1.2005, era stata interrotta dapprima con la diffida inviata il 23.3.2009 e successivamente con la notifica dell’atto di citazione.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Si impongono due rilievi preliminari: è rimasta del tutto inespressa l’invocata violazione dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., non risultando indicato quale sarebbe il fatto decisivo il cui esame sarebbe stato omesso; né nella sezione dedicata all’esposizione del fatto, né nel corpo del motivo, è stato riportato il contenuto della censura svolta alla sentenza del Tribunale.
Tanto premesso, il ricorrente lamenta la violazione dell’art. 2935 cod. civ., il quale prevede che: ‘ la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere esercitato ‘ .
Si contesta da parte del ricorrente l’identificazione del dies a quo della prescrizione con il 14.7.1998 (data dell’avvenuta contestazione da parte dei militari della violazione di guida senza patente, perché sospesa), assumendo la possibilità di differire l’esordio della prescrizione all’esito del procedimento amministrativo, che ha portato all’archiviazione de lla contestazione alla base della sanzione pecuniaria irrogata.
Il ricorrente, sia pur impropriamente, invoca il consolidato orientamento in base al quale la prescrizione del diritto al risarcimento del danno decorre dal giorno in cui l’evento di danno è percepito quale danno ingiusto conseguente all’altrui condotta dolosa o colposa, ovvero può essere percepito come tale, in relazione all’ordinaria diligenza del soggetto leso e tenuto conto delle comuni conoscenze scientifiche dell’epoca (v. Cass., Sez. Un., 11 gennaio 2008, nn. 576 e 581; Cass., sez. III, 19 dicembre 2013, n. 28864; Cass., sez. III, 31 marzo 2016, n. 6213; Cass., sez. 6-III, 18 giugno 2019, n. 16127; Cass., Sez. Un., 9 febbraio 2022, n. 4115; Cass., Sez. Un., 29 gennaio 2021, n. 2146).
Sennonché, dal tenore della sentenza impugnata non consta che sia insorta questione sul dies a quo del decorso della prescrizione, ma solo sull ‘esistenza , o no, di atti interruttivi, anzi al contrario a pagina 9 (paragrafo 4) si legge: ‘Le considerazioni svolte inducono a ritenere da un lato che gli aspetti valorizzati dall’appellante non siano decisivi ai fini
dell’accoglimento del motivo in esame (e quindi della riforma della sentenza del Tribunale che ha accolto l’eccezione di prescrizione nei confronti del COGNOME) e -dall’altro che l’eccezione riproposta dall’appellato COGNOME sia meritevole di accoglimento, in mancanza di ulteriori e validi atti interruttivi del termine quinquennale, decorrente dal 14 luglio 1998, quando – secondo la prospettazione dei convenuti, posta a fondamento della decisione di primo grado, sul punto non censurata dall’appell ante – si è verificato il danno, in seguito alla contestazione, asseritamente illecita, della violazione ‘.
Da ciò discende che la censura prospettata contrasta con il giudicato ormai formatosi in ordine all’individuazione del momento di esordio della prescrizione, fissato dal Tribunale al 14.7.1998, e non oggetto di appello da parte dell’odierno ricorrente.
2.2. Anche voler tenere conto dei rilievi svolti in termini di attitudine all’interruzione della prescrizione dell’attività evocata in sede amministrativa e giudiziaria, la censura non merita di essere accolta.
La Corte d’appello non è incorsa nel prospettato errore di sussunzione, poiché è proprio dalla data del fatto, ossia dal 14.7.1988, che il diritto si sarebbe potuto esercitare, essendosi esclusa correttamente l’efficacia interruttiva della prescrizione ex art. 2947, comma primo, cod. civ. tanto all’impugnazione in sede amministrativa del provvedimento di irrogazione della sanzione pecuniaria, quanto all’esercizio dell’azione civile in sede penale nel procedimento a carico del Ferrara per il reato di ingiuria.
Infatti, nessuna delle due indicate sedi «contenziose» è collegata al diritto azionato dal ricorrente, perché nella prima si contestava la pretesa sanzionatoria della PA e, quindi, tutti i convenuti erano estranei, nel secondo, pur essendovi una parziale coincidenza soggettiva, il fatto costitutivo della pretesa risarcitoria era l’ingiuria ascritta al Ferrara e non l’illecita cont estazione della guida senza patente perché sospesa.
Risulta corretta, quindi, la statuizione della Corte d’appello, la quale ha ritenuto, data la fissazione del dies a quo nel 14.7.1998, il maturare della
prescrizione quinquennale, a fronte della prima richiesta di risarcimento svolta con la diffida inviata il 23.3.2009.
Con il secondo motivo è denunciata, ‘violazione art. 47 d.p.r. n. 445/2000, art. 115 c.p.c., comma 1, e art. 167 c.p.c. (art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c.) – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia (art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c.) ‘ .
Il ricorrente sostiene che, s ebbene la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà non costituisca prova per sé, esaurendo i suoi effetti nell’ambito dei rapporti con la PA e nei procedimenti amministrativi, ove prodotta il giudice è chiamato a valutare adeguatamente, anche ai sensi della nuova formulazione dell’art. 115 cod. proc. civ., il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà viene fatta valere. Il giudice è tenuto alla verifica della contestazione, o meno, del contenuto della dichiarazione sostitutiva e, nell’ipotesi affermativa, al grado di specificità di tale contestazione, strettamente correlato e proporzionato a quello del contenuto della dichiarazione sostitutiva.
La Corte d’appello, invece, avrebbe relegato la dichiarazione sostitutiva a livello di mero indizio privo di rilievo in assenza altri elementi idonei a conferma di quanto dichiarato da NOME COGNOME. Viceversa, la Corte d’appello ha omesso di considerare la non contestazione della dichiarazione sostitutiva da parte dei convenuti, perché basata solo sulla dichiarazione resa dal carabiniere NOME COGNOME persona non presente ai fatti, sì che avrebbe dovuto ‘ritenere sussistente il fatto proprio per la ragione che l’atteggiamento difensivo delle parti, valutato alla stregua dell’esposta regola di condotta processuale, espunge il fatto stesso dall’ambito degli accertamenti richiesti’.
3.1. Il motivo si compone di due censure:
la violazione dell’art. 47 d.p.r. 445/2000 e dell’art. 115 cod. proc. civ.;
omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia.
3.2. La censura sub a) è in parte infondata e in parte inammissibile.
L’art. 47 d.p.r. 445/2000 (‘Dichiarazioni sostitutive dell’atto di notorietà’) al comma 1 prevede che ‘ L’atto di notorietà concernente stati, qualità personali o fatti che siano a diretta conoscenza dell’interessato è sostituito da dichiarazione resa e sottoscritta dal medesimo con la osservanza delle modalità di cui all’articolo 38 ‘ . Il comma secondo della stessa disposizione stabilisce che ‘ La dichiarazione resa nell’interesse proprio del dichiarante può riguardare anche stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza ‘ .
Il fatto che le dichiarazioni sostitutive relative a terzi siano rese ‘nell’interesse proprio del dichiarante’ palesa come l’ ampliamento dell’ambito delle dichiarazioni non possa essere espanso oltre quello specifico assegnato dal legislatore, ossia quello dei rapporti con la PA all’insegna di una loro semplificazione sul piano degli adempimenti richiesti al cittadino.
È stato affermato da questa Corte, come esposto nella sentenza impugnata, che ‘ in materia di prova civile, la dichiarazione sostitutiva dell’atto di notorietà non può costituire, nel giudizio in cui è prodotta, prova della verità del suo contenuto, ma solo un indizio, valutabile dal giudice in relazione agli altri elementi acquisiti; tale dichiarazione può essere prestata anche nell’interesse di un soggetto diverso dal dichiarante, in quanto l’art. 47, 2º comma, d.p.r. 28 dicembre 2000 n. 445, nel prevedere che la dichiarazione resa nell’interesse proprio può riguardare anche stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui si abbia diretta conoscenza, costituisce un ampliamento dell’oggetto delle dichiarazioni sostitutive che il cittadino può compiere nel suo interesse, per cui quelle rese nell’interesse altrui possono concernere persone diverse dal dichiarante ‘ (v. Cass., sez. I, 21 maggio 2014, n. 11223; Cass., sez. V, 16 dicembre 2011, n. 27173).
È stato in seguito statuito che ‘ La dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà non è di per sé idonea a provare la sussistenza della qualità di erede in capo a chi in detta qualità intervenga in un giudizio tra altre
persone o lo riassuma a seguito di interruzione ovvero proponga impugnazione assumendo di essere l’erede di una delle parti del precedente grado di giudizio; tuttavia, ove tale dichiarazione venga prodotta, il giudice deve adeguatamente valutare il comportamento in concreto assunto dalla parte nei cui confronti essa viene fatta valere, verificando se sia stata contestata o no la predetta qualità di erede e, nell’ipotesi affermativa, il grado di specificità della contestazione, strettamente correlato e proporzionato al livello di specificità del contenuto della dichiarazione sostitutiva ‘ ( v. Cass., Sez. Un., 29 maggio 2014, n. 12065; Cass., Sez. Un., 10 maggio 2018, n. 11276).
È stato così ribadito l’orientamento contrario a riconoscere attitudine probatoria alle dichiarazioni sostitutive , temperando l’assolutezza del principio in base all’art. 115 cod. proc. civ., che, nella formulazione introdotta dall’art. 45, comma 14, l. 18 giugno 2009 n. 69, applicabile ai giudizi instaurati dopo il 4 luglio 2009, impone al giudice di porre a fondamento della decisione anche «i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita».
Qualora prodotta una dichiarazione sostitutiva e la controparte non abbia assolto all’onere di prendere posizione sul contenuto della medesima, il fatto riportato nella dichiarazione può rientrare nell’ambito della «non contestazione». Qualora, invece, alla produzione della dichiarazione sostitutiva abbia fatto seguito apposita contestazione, spetta al giudice il compito di effettuare una valutazione comparativa tra il livello di specificazione di quanto riportato nel contenuto nella dichiarazione e il grado di specificità della contestazione.
3.3. Contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, anche a voler prescindere dal fatto che la dichiarazione sostitutiva resa da NOMECOGNOME era priva del requisito dell’interesse proprio del dichiarante , ferma l’esclusione della sua efficacia probatoria, ricorreva la contestazione da parte dei convenuti, i quali avevano invocato la dichiarazione resa dal carabiniere NOME COGNOME
Tanto basta per escludere l’applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ., fermo restando che il fatto non contestato rientra tra quelli che non devono essere provati, ma questo non esclude -al di là di ipotesi nelle quali la contestazione può successivamente essere giustificata da ragioni sopravvenute esterne o interne al processo -che il giudice, e dunque anche la parte che non aveva contestato, possa avvalersi di eventuali risultanze istruttorie che palesino l’inesistenza del fatto non contestato (v. Cass., sez. II, 27 settembre 2017, n. 22699; Cass., sez. III, 25 novembre 2014, n. 24991; Cass., sez. II, 19 luglio 2011, n. 15982; Cass, sez. III, 12 settembre 2005, n. 18096; Cass., sez. III, 19 luglio 2005, n. 15211).
3.4. Ad ogni modo, la Corte d’appello nel suo scrutinio ha precisato che: ‘Invero il fatto che NOME COGNOME sia stato visto dai testimoni alla guida del veicolo al momento dell’arrivo al pub, non esclude che, precedentemente, quando i militari hanno riscontrato la violazione, l’odierno appellante si trovasse alla guida del veic olo. D’altra parte le attività compiute dai militari, i quali -come dettagliatamente descritto nella relazione di servizio (prodotta nel procedimento di primo grado, sub doc. n. 7, da parte attrice) – hanno accertato la tipologia ed il numero di targa della autovettura, hanno individuato il conducente e notato che quest’ultimo, alla loro presenza, ‘aumentava la marcia cercando di dileguarsi’, inducono a ritenere che gli elementi di prova sopra descritti (desumibili dalle prove orali e dalla citata dichiarazione), valutati complessivamente, non siano idonei a contrastare le circostanze di fatto risultanti dal verbale di contestazione, con particolare riferimento all’identificazione del conducente del veicolo’ (pagina 12 , da riga 19 a riga 32).
Tale motivazione è stata del tutto ignorata dal ricorrente, il quale così facendo ha svolto una censura non aderente alla decisione. Di qui il difetto di decisività del motivo, dovendosi senz’altro dare seguito ai consolidati principi di diritto, in base ai quali ‘La proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifiche attinenze al «decisum» della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi
richiesti dall’art. 366, comma primo, n.4, cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità del ricorso, rilevabile anche d’ufficio’ (v. Cass., sez. III, 7 novembre 2005, n. 21490; sez. 6-I, 7 settembre 2017, n. 20910; in motivazione, Cass., sez. un., 20 marzo 2017, n. 7074, che ribadisce il principio di diritto similare affermato da Cass. n. 359 del 2005, nel senso che «Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo.»; sez. 6-III, 3 luglio 2020, n. 13735).
3.5. La censura sub b) è inammissibile in quanto evoca la previgente formulazione dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia), mentre l’attuale presuppone la sussistenza di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione tra le parti, non considerato dal giudice del gravame.
Quand’anche il fatto omesso lo si volesse individuare nel non essere stato il ricorrente alla guida dell’autovettura come dichiarato dall’COGNOME, si rientre rebbe nell’ambito della valutazione delle risultanze probatorie, riservata al giudice del merito, tanto più che da lla riformulazione dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. il sindacato sulla motivazione è limitato all’omesso esame di un “fatto” decisivo e discusso dalle parti.
Pertanto, la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito non è sindacabile in sede di legittimità, se non quando la motivazione manchi del tutto, ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (v., Cass., Sez. Un., 7 aprile 2014, n. 8053 e n. 8054).
Con il terzo motivo viene denunciata, ai sensi dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ., ‘omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto decisivo della controversia’ .
Il ricorrente lamenta che la corte territoriale ha erroneamente motivato un punto decisivo della controversia, là dove ha ritenuto di essere in presenza di un errore scusabile, per aver travisato le circostanze spaziotemporali della vicenda. In particolare, la Corte d’appello ha omesso di considerare che l’avvistamento dell’autovettura è avvenuto alle 20.40 del 14.7.1998 ‘quando le ore di luce superano tale orario’ ; ha ritenuto che la strada statale fosse a rapido scorrimento senza accertare il limite di velocità nel tratto interessato; ha ritenuto decisiva la percezione da parte dei militi che il conducente avesse aumentato la ‘la marcia’.
4.1. Il motivo è inammissibile, poiché in primo luogo il ricorrente ricade e nuovamente nell’evocazione della vecchia formulazione dell’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ. e non specifica quale sarebbe il fatto omesso, tale intendendosi un fatto principale, ex art. 2697 c.c. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo), od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale, v. Cass. 24 gennaio 2020, n. 12387; 16 gennaio 2020, n. 791; 8 settembre 2016, n. 1776; 26 luglio 2017, n. 18391.)
Anche a voler ritenere che i fatti, il cui esame sarebbe stato omesso, possano essere individuati: a) nel livello (residuo) di irradiazione solare in orale serale in piena estate; b) nel limite di velocità nel tratto della strada
statale dove avvenne l’avvistamento , con la censura in esame si chiede a questa Corte un riesame del merito della domanda, in ordine alla non scusabilità dell’errore e alla modalità con cui i militari avrebbero dovuto procedere alla contestazione immediata o differita, ben al di là del possibile controllo della motivazione limitato entro il «minimo costituzionale» ammesso dalle Sezioni Unite di questa Corte, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di «sufficienza» della motivazione (v. Sez. Un. 80538054/2014, citt.). Ipotesi non ricorrenti nel caso di specie.
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis dello stesso art. 13 (Cass., sez. un., 20 febbraio 2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, in favore dei controricorrenti, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 5.800,00 per competenze professionali, oltre rimborso forfetario del 15%, Iva e cpa se dovuti per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, al competente ufficio di merito, del l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Terza sezione civile della