Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 9149 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 9149 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 07/04/2025
sul ricorso 177/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dagli avvocati NOME COGNOME e NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di PERUGIA n. 545/2019 depositata il 02/09/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 28/02/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
La Corte di appello di Perugia, con la sentenza che si richiama in epigrafe, ha parzialmente accolto il gravame della Banca Monte dei Paschi di Siena avverso la decisione che in primo grado ne aveva pronunciato la condanna a ripetere in favore del RAGIONE_SOCIALE le somme indebitamente percepite, in quanto imputabili a clausole negoziali affette da nullità, in relazione ai pregressi rapporti di conto ed, in riforma dell’impugnata decisione, respinta altresì l’eccezione di inammissibilità del gravame per difetto dello ius postulandi in capo al rappresentante della banca, in adesione alle risultanze della disposta CTU, e confutatene altresì le ragioni di contestazione, ha dichiarato la parziale estinzione per prescrizione del credito azionato, escludendo la novità della relativa eccezione, sull’assunto che «ai fini della valida proposizione dell’eccezione non è necessario che la banca indichi specificatamente le rimesse prescritte, né il relativo dies a quo, emergendo la natura ripristinatoria o solutoria dei singoli versamenti dagli estratti-conto, della cui produzione in giudizio è onerato il cliente, sicché la prova degli elementi utili ai fini dell’applicazione della prescrizione è nella disponibilità del giudice che deve decidere la questione».
La cassazione di detta sentenza è ora chiesta dal Maglificio con cinque motivi di ricorso, seguiti da memoria, ai quali replica con controricorso e memoria la banca intimata.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Va inizialmente riconosciuta ed affermata l’ammissibilità del controricorso.
L’eccezione a questo riguardo sollevata dal COGNOME ricorrente nella memoria ex art. 380bis 1 cod. proc. civ. sul presupposto che il procuratore speciale della banca per l’odierno giudizio sarebbe stato investito dei relativi poteri rappresentativi da soggetto che all’atto del loro conferimento era privo dei poteri statutari di firma si rivela, infatti, inammissibile per evidente difetto di autosufficienza non essendo stato riprodotto nell’illustrazione dell’eccezione il testo della relativa procura. La Corte, non senza pure notare che la procura di che trattasi risulta conferita a mezzo di atto pubblico, sicché, considerati gli obblighi che fanno capo al notaio di identificare le persone che ne richiedono l’ufficio (art. 51 l. 16.2.2013, n. 89), l’attestazione che vi figura è assistita da fede privilegiata, si trova perciò nell’impossibilità di sindacare ex actis , prima ancora della sua decisività, la veridicità di detta eccezione ( ex plurimis , Cass. Sez. I, 18/10/2013, n. 23675), a nulla rilevando, poi, che detta procura si trovi depositata agli atti della controricorrente, poiché ciò non vale a rendere ammissibile la censura se nel ricorso, in ossequio al precetto dell’autosufficienza, essa non sia declinata specificando precisamente tutti gli elementi che consentano a questa Corte di poterne apprezzare l’attendibilità ( ex plurimis , Cass., Sez. II, 14/10/2021, n. 28072).
Il primo motivo di ricorso -con cui si deduce la nullità dell’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 83, 112 e 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111, comma 7, Cost., ed ancora per illogicità e contraddittorietà manifeste della motivazione e per omessa pronuncia su un fatto decisivo della controversia in quanto la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto sussistente lo ius postulandi in capo al rappresentante della banca, quantunque l’azione di accertamento negativo del credito dispiegata dalla banca
in via di impugnazione «non avesse nulla a che vedere» con le attività di recupero crediti a cui era preposto il funzionario che aveva rilasciato la procura -è, in disparte dal palese tenore fattuale della censura diretta a contestare il puntuale accertamento in fatto operato dal decidente, privo di fondamento.
Per vero non è chi non veda che in ragione della natura del giudizio incardinato -che ha propriamente ad oggetto un’ originaria azione di accertamento negativo -la procura è tutt’altro che inefficace giacché la banca si è limitata a resistere all’iniziativa dell’attrice, sicché essa legittimamente poteva essere rappresentata nel giudizio -e così nelle sue fasi successive -da un qualsiasi proprio dipendente comunque abilitato al compito, non dovendo, infatti svolgere processualmente altra attività che replicare e resistere alla domanda attrice.
3. Il secondo motivo di ricorso -con cui si deduce la nullità dell’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 132, comma 2, n. 4 cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111, comma 7, Cost., ed ancora per illogicità e contraddittorietà manifeste della motivazione e per omessa pronuncia su un fatto decisivo della controversia in quanto la Corte di appello avrebbe erroneamente ritenuto scrutinabile l’eccezione di prescrizione quantunque essa, laconicamente prospettata nella comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado, fosse stata esplicitata in maniera più precisa, «tirando fuori la storia della differenza tra le rimesse solutorie e le rimesse ripristinatorie», solo nel giudizio di appello, così incorrendo nel divieto dei nova di cui all’art. 345 cod. proc. civ. -è, ancora al netto dei rilievi ostativi cui dà pregiudizialmente luogo la declinazione di censure eterogenee, più direttamente privo di fondamento in linea di merito.
Come hanno invero chiarito le SS.UU. con l’arresto 15895/2019, ponendo fine alla relativa querelle, «in tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte».
Di conseguenza anche una formulazione in modo generico o, come dice il ricorrente, affidata alla mera espressione «prescritte», ove sia accompagnata dalla volontà di profittarne, è sufficiente ad introdurre nel giudizio il tema della prescrizione, onde l’approfodimento di esso a cui si proceda nei successivi atti del processo, fin’anco a farne motivo di appello, non comporta alcuna inammissibile innovazione nel confronto processuale.
La questione della natura solutoria o ripristinatoria delle rimesse, rilevante ai fini della decorrenza della prescrizione decennale dell’azione, può essere, perciò, sollevata per la prima volta anche in appello, in quanto è la stessa proposizione dell’eccezione di prescrizione ad imporre di prendere in esame tale profilo, essendo l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito soddisfatto semplicemente con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unitamente alla dichiarazione di volerne profittare (Cass., Sez. VI-I, 14/07/2020, n. 14958).
Il terzo motivo di ricorso -con cui si deduce la nullità dell’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ., dell’art. 117 TUB, dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111,
comma 7, Cost., ed ancora per illogicità e contraddittorietà manifeste della motivazione in quanto la Corte di appello, nel recepire le conformi risultanze della CTU, sarebbe incorsa nel medesimo errore di questa di non distinguere le rimesse ripristinatorie da quelle solutorie e, vieppiù, «incredibilmente» di non ritenere che l’affidamento concesso fosse corrispondente alla misura di volta in volta utilizzata, sì che tutte le successive rimesse operate avrebbero dovuto essere considerate come aventi natura ripristinatoria -; il quarto motivo di ricorso -con cui si deduce la nullità dell’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 1823 cod. civ., dell’art. 117 TUB, dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111, comma 7, Cost., ed ancora per illogicità e contraddittorietà manifeste della motivazione in quanto la Corte di appello avrebbe prestato «totale ed incondizionata» adesione alle conclusioni del CTU, benché esse si prestassero a censure in ragione, tra l’altro, del criterio utilizzato per determinare la misura del fido, del difetto di causale con cui erano stati registrati alcuni addebiti, dell’eccepita prescrizione e dei documenti utilizzati -esaminabili congiuntamente in quanto svolgenti la medesima censura, sono, ancora al netto dei rilievi ostativi cui dà luogo la declinazione di censure eterogenee, tutti parimenti inammissibili in quanto intesi a rimodulare l’apprezzamento delle risultanze di causa a cui il decidente è pervenuto sulla scorte delle indagini demandate al CTU e alle conclusioni da questo rassegnate.
Rimandando, perciò, alla lettura delle motivate considerazioni che, anche in replica alle contestazioni del CTP del ricorrente, la corte di merito ha inteso sviluppare a conforto della prestata adesione alle conclusioni del perito, a fronte delle quali le doglianze odiernamente rappresentate, limitandosi a reiterare le ragioni di dissenso già
marcate in quella sede ed ivi già puntualmente esaminate con conclusiva pronuncia di rigetto, non evidenziano profili di criticità scrutinabili che valgano a mettere in discussione la solidità dell’impianto argomentativo che sorregge la sentenza impugnata, non è in ogni caso inopportuno, a tacitazione di ogni residua riserva e a suggello dell’inappuntabilità di quanto sul punto deciso, fermarsi a ricordare, da un lato, che non si offre a censura la decisione di merito che, aderendo alle conclusioni del perito, si dia cura di rigettare le critiche che vi sono mosse, a condizione che esse siano specifiche e siano idonee, se fondate, a condurre ad una diversa decisione, corredando con una più puntuale motivazione la propria scelta di aderire alle conclusioni del consulente d’ufficio (Cass., Sez. III, 19/06/2015, n. 12703), salvo, ben’inteso, che a dette critiche non abbia già replicato il consulente tecnico d’ufficio nella propria relazione conclusiva, in tal caso esaurendosi l’obbligo della motivazione con l’indicazione delle fonti del proprio convincimento (Cass., Sez. I, 9/01/2009, n. 282); e dall’altro, che, sebbene si renda censurabile la sentenza che ometta di assolvere il predetto obbligo motivazionale a fronte di specifiche critiche che siano mosse all’elaborato peritale, nondimeno, ove di esse si voglia fare ragione di ricorso per cassazione, occorre che il relativo vizio sia denunciato mediante l’indicazione specifica delle censure non esaminate, che, a loro volta, devono essere integralmente trascritte nel ricorso per cassazione al fine di consentire, su di esse, la valutazione di decisività (Cass., Sez. III, 6/09/2007, n. 18688), vero, per contro, che una mera disamina, corredata da notazioni critiche, dei vari passaggi dell’elaborato peritale richiamato in sentenza, si risolve solo nella mera prospettazione di un sindacato di merito, inammissibile in sede di legittimità (Cass., Sez. I, 4/05/2009, n. 10222).
5. Il quinto motivo di ricorso -con cui si deduce la nullità dell’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 1823 cod. civ., dell’art. 117 TUB, dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ., dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. e dell’art. 111, comma 7, Cost., ed ancora per illogicità e contraddittorietà manifeste della motivazione in quanto la Corte di appello avrebbe errato nel ritenere che le conclusioni del CTU fossero state contestate solo con riferimento all’entità del fido quando, invece, si era evidenziato come fosse indiscutibile l’addebito di interessi anatocistici e come dovesse essere oggetto dell’indagine peritale anche il tema dell’usura, sì che in definitiva la CTU era risultata «tutt’altro che logica, argomentata e condivisibile» -è affetto da pregiudiziale inammissibilità per difetto di specificità.
Richiamate per quanto occorrer possa le considerazioni appena riportate, va infatti ancora osservato che è certo vero che in tema di usura, i decreti ministeriali pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale, con i quali viene effettuata la rilevazione trimestrale dei tassi effettivi globali medi, indispensabili alla concreta individuazione dei tassi soglia di riferimento costituiscono atti amministrativi di carattere generale ed astratto, oltre che innovativo, e quindi normativo, perché completano i precetti di rango primario in materia di usura inserendo una normativa di dettaglio, sicché essi, in quanto costituenti vere e proprie fonti integrative del diritto, devono ritenersi conosciuti dal giudice, a prescindere dalle allegazioni delle parti, in base al principio ” iura novit curia “, sancito dall’art. 113 cod. proc. civ.; ma ciò non dispensa il ricorrente dal declinare il motivo in conformità al ricordato predicato di specificità, che non solo postula che sia indicata la norma violata -nella specie che sia indicato il d.m. contenente l’indicazione del tasso soglia al quale raffrontare il tasso applicato al rapporto -, ma pure che alla sentenza di muova
una critica puntuale e pertinente, nel senso di evidenziarne con piena aderenza a quanto da essa affermato le ragioni di conflitto con la norma richiamata o con l’interpretazione che di essa ne dà il diritto vivente.
Il ricorso va dunque respinto.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.
Ove dovuto sussistono i presupposti per il raddoppio a carico del ricorrente del contributo unificato ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in euro 4400,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del dell’art. 13, comma 1quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Cosi deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il giorno 28 febbraio 2025
Il Presidente Dott. NOME COGNOME