Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 12954 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 12954 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 14/05/2025
S
NOME COGNOME
Presidente
COGNOME
Consigliere- Rel.
NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME NOME COGNOME
Consigliere
NOME COGNOME
Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso 5595/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappres. p.t., rappresentata e difesa d all’avv. NOME COGNOME per procura speciale in atti;
-ricorrente
–
-controUNICREDIT RAGIONE_SOCIALE in persona del legale RAGIONE_SOCIALE, rappresentata e d ifesa dall’avv. NOME COGNOME per procura in calce al ricorso;
-controricorrente-
avverso la sentenza n. 3262/2020 de lla Corte d’appello di Bologna, pubblicata il 21.12.2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3/04/2025 dal Cons. rel., dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
Con sentenza del 2017, il Tribunale di Bologna, decidendo sulla domanda della RAGIONE_SOCIALE nei confronti di RAGIONE_SOCIALE– avente
non contestazione.
Ud. 03/04/2025 CC Cron. R.G.N. 5595/2021
ad oggetto la condanna della convenuta al pagamento della somma di euro 191.461,87 quale saldo maturato per l’illegittima applicazione, nel rapporto di conto corrente, assistito da apertura di credito, di tassi ultralegali, capitalizzazione trimestrale di interessi, commissione di massimo scoperto (cms), spese e oneri non dovuti- accertava il saldo passivo del conto nella minor somma di euro 24.020,32 alla data del 2.4.2012.
Al riguardo, il Tribunale osservava che: il contratto prevedeva genericamente la possibilità di apertura di credito in conto corrente, senza indicarne le condizioni e la misura degli affidamenti; erano prescritte le rimesse effettuate dalla società correntista in presenza di saldo passivo nei dieci anni anteriori alla domanda gudiziale; era dunque insufficiente la previsione contenuta nel contratto di conto corrente stipulato il 22.12.94, circa la possibilità di una futura apertura di credito, in mancanza di uno specifico regolamento economico; pertanto, il diritto fatto valere era prescritto in ordine alle rimesse effettuate tra il 1994 e il 6.6.02; il tassosoglia per l’usura era stato sempre rispettato; erano state correttamente applicate le cms ma era accertata l’illegittima capitalizzazione degli interessi.
RAGIONE_SOCIALE proponeva appello avverso la suddetta sentenza, lamentando l’erroneo accertamento relativo alla prescrizione delle rimesse e la compensazione delle spese al 50%.
Con sentenza del 21.12.2020, la Corte territoriale rigettava l’appello, osservando che: non poteva dirsi stipulata una valida apertura di credito non essendo specificato nel contratto di conto corrente il regolamento economico, essendo in esso contemplata solo la possibilità di affidamenti futuri; di conseguenza, le rimesse effettuate dalla correntista prima del 6.6.02 erano solutorie, e dunque la prescrizione era decorsa dalla data dei pagamenti e non dalla data di
chiusura del conto; pertanto, le rimesse comprese nel periodo tra il 1994 e il 6.6.02 erano prescritte; la doglianza riguardante le spese era assorbita dal rigetto del primo motivo.
La RAGIONE_SOCIALE ricorre in cassazione, avverso la suddetta sentenza, con sei motivi, illustrati da memoria. Unicredit RAGIONE_SOCIALE resiste con controricorso.
RITENUTO CHE
Il primo motivo denunzia violazione degli artt. 115, 116 cpc, 2946, 2697, cc , per aver la Corte d’appello affermato che, in tema di prescrizione, gravava sulla banca l’onere di allegare l’inerzia dell’avente diritto, ma non di provare la natura solutoria delle rimesse. Il secondo motivo denunzia violazione degli artt. 115, 116, cpc, 112, 132, c. 4, cpc. La ricorrente assume che dalla difesa della banca è emerso che nessuna rimessa solutoria era stata effettuata in quanto il conto corrente era sempre stato affidato, con la conseguenza che non era configurabile la prescrizione, anche considerando la sostanziale mancata contestazione dell’affidamento da parte della banca .
Il terzo motivo denunzia violazione degli artt. 115, 116, cpc, 6, c.3, l. n. 154/92, 117, c.1,2,3, 127, c2, dlgs. n. 385/93, 3 del provvedimento della Banca D’Italia del 24.5.92, 1362, c.2, 1366, 2735, cc, per aver la Corte territoriale escluso l’apertura di credito, senza tener conto della relativa stipula per fatti concludenti, e della non eccepibilità della nullità in questione da p arte della banca, trattandosi di nullità di ‘protezione’. Il quarto motivo denunzia omesso esame di fatto decisivo, circa gli estratti-conto dai quali si desumeva l’apertura di credito.
Il quinto motivo denunzia violazione degli artt. 115, 116, 112, 132, cpc, 1175, 1375, 1362, 1366, cc, per aver la Corte d’appello leso la tutela dell’affidamento, decidendo senza tener conto che la correntista aveva confidato in maniera incolpevole sull’effettiva stipula
dell’apertura di credito, dato che entrambe le parti si erano comportate appunto come se tale contratto fosse stato regolarmente stipulato nel periodo anteriore al 6.6.2002.
Il sesto motivo denunzia violazione degli artt. 115, 116, 112, 132, cpc, 2735 cc, avendo la Corte d’appello omesso di pronunciarsi sull’appello subordinato tendente a retrocedere il termine di prescrizione al 9.12.1996, in considerazione dell’espresso richiamo contenuto nel contratto d’affidamento stipulato i l 5.1.2004 al precedente contratto d’affidamen to stipulato il 10.12.1996, sicché la prescrizione delle rimessse sarebbe stata da limitare sino al 9.12.96.
Il sesto motivo denunzia altresì omesso esame di fatto decisivo, oggetto di discussone tra le parti, circa il riferimento, contenuto del contratto d’apertura di credito del 5.1.2004, al contratto d’apertura di credito del 10.12.1996.
Il primo motivo è infondato, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte, a tenore del quale la banca che eccepisca la prescrizione dell’ actio indebiti assolve al proprio onere di allegazione con l’affermazione della natura solutoria delle rimesse contestate (anche senza indicare specificamente quali siano), dell’inerzia del correntista e della volontà di approfittarne agli effetti dell’estinzione del diritto vantato, gravando invece sul correntista l’onere di provare che le rimesse contestate hanno natura meramente ripristinatoria (Cass., n. 26897/24; n. 31927/19).
Il secondo motivo è infondato. La ricorrente assume , tra l’altro, che la banca convenuta non aveva contestato la sussistenza delle rimesse solutorie, avendo anzi affermato l’operatività dell’affidamento per tutta la durata del rapporto. Al riguardo, va anzitutto osservato che la ricorrente lamenta di aver formulato il motivo specifico sull’omessa decisione, da parte del Tribunale, della questione inerente alla suddetta
mancata contestazione, ma non trascrive tale difesa, né quest’ultima emerge dalla sentenza impugnata nella parte avente ad oggetto l’esposizione dei motivi dell’appello.
Premesso cio, occorre richiamare l’orientamento di questa Corte – cui il collegio intende dare continuità- a tenore del quale il principio di non contestazione di cui all’art. 115 c.p.c., se solleva la parte dall’onere di provare il fatto non specificamente contestato dal convenuto costituito, non esclude tuttavia che il giudice, ove dalle prove comunque acquisite emerga la smentita di quel fatto o una sua diversa ricostruzione, possa pervenire ad un diverso accertamento (Cass., n.16028/2023).
Nella specie, la Corte d’appello ha dato atto che la società correntista aveva lamentato l’erroneità della decisione di primo grado nella parte in cui aveva dichiarato la prescrizione dei pagamenti effettuati sul conto corrente anteriormente al 6.6.2002, sul presupposto che in quel periodo il conto non fosse affidato, mentre dagli atti sarebbe emerso con chiarezza l’affidamento costante almeno dal 10.12.1996.
Pertanto, la Corte di merito non ha fatto riferimento ad una doglianza dell’appellante afferente alla mancata applicazione del principio di non contestazione sulle rimesse solutorie, dovendosi dunque ritenere che essa abbia effettuato una diversa ricostruzione dei fatti in questione.
Il terzo motivo è inammissibile, in quanto non autosufficiente, giacchè dalla sua formulazione- come pure dalla precedente parte espositivanon si desume quale fosse la censura formulata in appello e, in particolare, su quali documenti fosse fondata circa la questione della configurabilità dell’affidamento di fatto.
Il quarto motivo è parimenti inammissibile per difetto di autosufficienza. Al riguardo, la ricorrente lamenta che la Corte d’appello aveva omesso di esaminare gli estratti -conto e i riassunti
scalari dai quali sarebbe stato possibile evincere il rapporto d’affidamento di fatto tra le parti.
Giova rilevare che, in tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza, che impone l’indicazione espressa degli atti processuali o dei documenti sui quali il ricorso si fonda, va inteso nel senso che occorre specificare anche in quale sede processuale il documento risulta prodotto, poiché indicare un documento significa necessariamente, oltre che specificare gli elementi che valgono ad individuarlo, riportandone il contenuto, dire dove nel processo esso è rintracciabile, sicchè la mancata “localizzazione” del documento basta per la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, senza necessità di soffermarsi sull’osservanza del principio di autosufficienza dal versante “contenutistico ‘ (Cass., n. 28184/2020; n. 34395/2023).
Nel caso concreto, la ricorrente non ha chiarito ed indicato i singoli documenti richiamati, né ha indicato come e dove essi siano stati prodotti e, inoltre, quale sia stata sul punto la formulazione del motivo d’appello .
Il quinto motivo è del pari inammissibile.
Invero, la doglianza afferente alla violazione del principio della tutela dell’affidamento , che la correntista avrebbe riposto sull’affidamento di fatto del rapporto di conto corrente, non è pertinente alle rationes decidendi, atteso che la sentenza impugnata non contiene nessuna argomentazione su tale punto, per cui il motivo non è neppure rilevante.
Il sesto motivo, infine, è infondato in quanto la Corte territoriale, seppure laconicamente, ha confermato il percorso argomentativo seguito dal Tribunale, che aveva affermato l’irrilevanza del riferimento, contenuto nel contratto del 2004, al precedente affidamento del 10.12.96, specie tenuto conto del fatto che tale richiamo al precedente
accordo era generico, come peraltro evidenziato anche dalla sentenza impugnata.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida nella somma di euro 7.200,00 di cui 200,00 per esborsi- oltre alla maggiorazione del 15% quale rimborso forfettario delle spese generali, iva ed accessori di legge
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.p.r. n.115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, ove dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 3 aprile 2025.