Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 11234 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 1 Num. 11234 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/04/2025
sul ricorso 2689/2021 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE SIENA RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
Contro
RAGIONE_SOCIALE COGNOME RAGIONE_SOCIALE rappresentata e difesa da ll’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di CATANIA n. 1918/2020 depositata il 10/11/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/3/2025 dal Cons. Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Catania, con la sentenza sopra riportata, pronunciando sul contenzioso in essere tra la RAGIONE_SOCIALE e la Banca Monte dei Paschi di Siena s.p.a. avente ad oggetto la domanda della prima di ripetizione delle somme indebitamente percepite dalla seconda in relazione all’intercorso rapporto di conto corrente a titolo di interessi anatocistici, commissione di massimo scoperto e valute postergate, ha respinto il gravame della banca ed ha confermato l’accoglimento della domanda in primo grado ricusando, in particolare, il primo motivo di appello, con cui la banca aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva della società attrice in quanto diversa dalla correntista, ed il terzo ed il quarto motivo di appello, con cui la banca aveva eccepito la natura solutoria dei versamenti effettuati dalla correntista e, di conseguenza, la prescrizione di tutti i versamenti antecedenti al decennio dalla notifica della citazione.
Il giudice di appello, in relazione al primo motivo di gravame, ha preso previamente atto, sulla scorta di quanto allegato dall’attrice nel replicare al motivo, che costei aveva agito in giudizio a seguito della trasformazione in essa dell’originaria società correntista e, su questa premessa, ha respinto l’eccezione appellante osservando che, ove in tale ipotesi venga contestata la titolarità del diritto della società trasformata, l’eccezione non attiene alla legitimatio ad causam , ma al merito della pretesa riguardando l’effettiva titolarità del diritto fatto valere in giudizio. Di conseguenza, ragiona ancora il decidente, poiché l’appellante costituendosi nel giudizio di primo grado non aveva mai messo in dubbio la titolarità in capo all’attrice della pretesa azionata, ma anzi aveva dato corso a difese implicitamente riconoscenti la legittimazione di controparte, non solo correttamente, il giudice di quel processo, trattandosi di questione rimessa alla disponibilità della
parte, si era astenuto dal farne oggetto di rilievo ufficioso, ma neppure poteva dubitarsi che l’attrice fosse effettivamente titolare del pretesa dovendo la circostanza ritenersi provata per effetto del principio di non contestazione di cui all’art. 115 cod. proc. civ. Quanto agli altri motivi di gravame parimenti rigettati, la Corte territoriale ha fatto rilevare che nell’introdurre il giudizio l’attrice aveva allegato che il conto era assistito da un’apertura di credito, circostanza che, essendo rimasta incontestata, doveva ritenersi provata, con l’ovvia conseguenza che ove la banca avesse voluto negare la natura ripristinatoria delle rimesse effettuate dalla correntista, sarebbe stato onere dell’appellante indicare l’ammontare del fido concesso superato il quale i versamenti avrebbero avuto natura di pagamenti.
Il ricorso proposto dalla banca si vale di quattro motivi, seguiti da memoria, ai quali si oppone l’intimata con controricorso e memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
2. Il primo motivo di ricorso -con cui si deduce l’illegittimità e l’erroneità dell’impugnata decisione in punto di legittimazione della società attrice per la violazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ. e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per avere il decidente del grado rigettato il correlativo motivo di gravame omettendo di dichiarare l’inammissibilità delle allegazioni avversarie e delle produzioni documentali sul punto -; ed il secondo motivo di ricorso -con cui si deduce l’illegittimità e l’erroneità dell’impugnata decisione sempre in parte qua per la violazione degli artt. 81 e 345 cod. proc. civ. e falsa applicazione dell’art. 115 cod. proc. civ. per avere il decidente del grado rigettato il correlativo motivo di gravame sebbene l’attrice avesse “dichiaratamente” azionato in giudizio, in nome proprio, un diritto altrui ed il conseguente difetto di legittimazione attiva di essa fosse stato denunciato dalla ricorrente sia con il primo motivo di appello che nella comparsa conclusionale -esaminabili
congiuntamente stante l’unitarietà della censura, si prestano entrambi ad un comune giudizio di inammissibilità in quanto non si allineano all’esatto contenuto del decisum .
La Corte di appello, si è visto, si è indotta ad esaminare la questione sulla base del primo motivo di gravame con cui la banca, facendo rilevare la diversità soggettiva tra la società titolare del conto corrente e la società che aveva agito in giudizio, aveva eccepito il difetto di legitimatio ad causam di quest’ultima. Di riflesso, l’attrice aveva perciò replicato all’eccezione allegando che, a seguito della trasformazione della società correntista da società in nome collettivo a società in accomandita semplice, la società attrice non era altro rispetto alla società correntista, ma la medesima società, che già titolare del conto corrente, azionava i diritti di difesa inerenti questa condizione, che già avrebbero potuto essere esercitati dalla società correntista e che ora venivano esercitati dalla stessa correntista ma sotto un ‘ altra identità; e a conforto di ciò si era premurata di documentare l’avvenuta trasformazione depositando il corrispondente rogito notarile. Messa di fronte a questo svolgimento di fatto e dandone espressamente atto la sentenza ha, dapprima, chiarito in adesione alla giurisprudenza di questa Corte, che la trasformazione configura «una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto risultante dalla variazione di assetto e di struttura organizzativa che non ha alcuna incidenza sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’originaria organizzazione societaria»; quindi, procedendo all’inquadramento processuale dell’eccezione sollevata dalla banca con il primo motivo di appello, ha fatto rilevare che la società attrice non era un soggetto giuridico diverso dalla società correntista e, quindi, in rigorosa successione logica, 1) che nella specie andava escluso che si potesse parlare di un vizio afferente alla legitimatio ad causam della proponente; 2) che nell’eccezione della banca andava
più correttamente identifica un eccezione di merito intesa a contestare la titolarità del rapporto; 3) che la banca, pur essendone gravata, non essendo il difetto di titolarità rilevabile d’ufficio, ma solo ad istanza di parte, nessuna contestazione aveva sollevato al riguardo all’atto di costituirsi nel giudizio di primo grado; 4) che il difetto di non contestazione rendeva il fatto acquisito ai sensi dell’art. 115 cod. proc. civ.; 5) che, non essendo, per l’appunto, il fatto contestato e, dunque, risultando provato, le produzioni documentali a cui l’attrice aveva proceduto per suffragare l’evento della trasformazione non risultavano affatto necessarie e poteva, perciò, sindacarsi la vicenda anche senza prenderle in esame.
Questo, in sintesi, il percorso decisionale a cui ha dato luogo la sentenza in disamina. Rispetto ad esso, le censure ricorrenti delineano un quadro argomentativo che si astiene da ogni confronto e si sofferma nell’insistita rappresentazione di un vulnus che non trova alcun riscontro nella motivazione del provvedimento impugnato, che ha, infatti, motivatamente ricondotto la specie in discorso nell’ambito del difetto di titolarità del rapporto, così escludendo alla radice la convinzione ricorrente che, pur in presenza di un dato fattuale incontroverso quale è quello della trasformazione, nella specie dovesse invece riconoscersi un difetto di legittimazione attiva.
3. Il terzo motivo di ricorso -con cui si deduce l’illegittimità e l’erroneità dell’impugnata decisione in punto di prescrizione della pretesa per violazione degli artt. 2729 e 2946 cod. civ. per avere il decidente del grado rigettato il correlativo motivo di gravame sull’errata considerazione che il conto corrente fosse affidato, sebbene la circostanza fosse stata esclusa dalla sentenza di primo grado con efficacia di giudicato, che la circostanza allegata in contrario dall’attrice non fosse stata fatta oggetto di contestazione e che non
fosse onere dell’attore dare prova del limite del fido -è fondato e merita accoglimento.
Tutta la questione e, segnatamente l’affermazione operata dal decidente secondo cui non è «ipotizzabile il decorso della prescrizione rispetto ad operazioni negative che implicano la sola diminuzione del saldo attivo senza comportare alcuno spostamento patrimoniale» -alla quale non sembra estranea la convinzione un tempo pure condivisa da questa Corte che gravi su chi eccepisca la prescrizione l’onere di provare la natura delle rimesse -merita di essere nuovamente riesaminate alla luce di SS.UU. 15895/2016 a cui principi il decidente non ha prestato l’attenzione necessaria.
Com’è noto, nell’occasione le SS.UU., mettendo fine alla querelle sul punto, hanno inteso affermare il principio che «in tema di prescrizione estintiva, l’onere di allegazione gravante sull’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate nel corso del rapporto di conto corrente assistito da apertura di credito, è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto, unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte».
Ne consegue che il mero rilievo dell’eccezione bastava ad investire il giudice della sua cognizione senza che il deducente fosse gravato di oneri probatori ulteriori e, segnatamente, che dovesse essere dimostrata la natura affidata o meno del conto in ragione della quale poter poi stabilire se le rimesse operate avessero natura ripristinatoria o natura solutoria.
Il quarto motivo di ricorso attiene alla regolazione delle spese di lite e resta conseguentemente assorbito.
Va quindi accolto il terzo motivo di ricorso, inammissibili risultando il primo ed il secondo ed assorbito il quarto.
Debitamente cassata nei limiti del motivo accolto la sentenza impugnata, la causa va rinviata al giudice a quo per la rinnovazione del giudizio.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili il primo ed il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo motivo di ricorso e dichiara assorbito il quarto motivo di ricorso; cassa l’impugnata sentenza nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa avanti alla Corte di appello di Catania, che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della I sezione civile il