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Prescrizione rimesse bancarie: onere della prova

Una società ha citato in giudizio un istituto di credito per la restituzione di somme indebitamente percepite su un conto corrente. La banca ha eccepito la prescrizione delle pretese. La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 11234/2025, ha accolto il ricorso della banca, chiarendo che in tema di prescrizione rimesse bancarie, spetta al correntista (attore) l’onere di provare l’esistenza di un’apertura di credito. Solo provando che le rimesse erano ripristinatorie della provvista entro i limiti del fido, si può evitare che la prescrizione decennale decorra dal singolo versamento.

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Pubblicato il 9 ottobre 2025 in Diritto Bancario, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Prescrizione rimesse bancarie: La Cassazione chiarisce l’onere della prova

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione interviene su un tema cruciale nei rapporti tra banche e clienti: la prescrizione rimesse bancarie in un’azione di ripetizione dell’indebito. Con la decisione in esame, i giudici di legittimità hanno ribadito un principio fondamentale, già sancito dalle Sezioni Unite, sull’onere della prova, spostando nettamente il peso probatorio sul correntista che agisce in giudizio. Questa pronuncia offre spunti di riflessione essenziali per chiunque si trovi a contestare addebiti illegittimi sul proprio conto corrente.

Il Caso: Dalla Trasformazione Societaria alla Prescrizione

La vicenda trae origine dalla domanda di una società a responsabilità limitata contro un istituto di credito, finalizzata a ottenere la restituzione di somme indebitamente pagate a titolo di interessi anatocistici, commissioni di massimo scoperto e valute postergate. La banca si difendeva sollevando due questioni principali: in primo luogo, un difetto di legittimazione attiva, sostenendo che la società attrice fosse un soggetto giuridico diverso dall’originario titolare del conto; in secondo luogo, eccepiva la prescrizione decennale per tutti i versamenti effettuati oltre dieci anni prima della notifica dell’atto di citazione.

Sia in primo grado che in appello, le corti di merito davano ragione alla società. In particolare, la Corte d’Appello qualificava la questione della diversità soggettiva non come un difetto di legitimatio ad causam, ma come una contestazione sulla titolarità del diritto, che la banca avrebbe dovuto sollevare nel primo grado di giudizio. Riguardo alla prescrizione, i giudici di secondo grado ritenevano che il conto fosse assistito da un’apertura di credito e che, pertanto, le rimesse avessero natura ripristinatoria e non solutoria, con la conseguenza che il termine di prescrizione sarebbe decorso solo dalla chiusura del conto.

L’Analisi della Corte di Cassazione sulla prova della prescrizione rimesse bancarie

La Corte di Cassazione ha ribaltato la decisione d’appello sul punto della prescrizione, accogliendo il motivo di ricorso della banca. I primi due motivi, relativi alla legittimazione attiva, sono stati invece dichiarati inammissibili, confermando la corretta distinzione operata dai giudici di merito tra la legittimazione ad agire (profilo processuale) e la titolarità del diritto (profilo di merito).

Onere della prova nella prescrizione rimesse bancarie

Il cuore della decisione risiede nel terzo motivo di ricorso. La Suprema Corte ha censurato la sentenza d’appello per non aver applicato correttamente i principi stabiliti dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 15895/2016. Secondo questo fondamentale precedente, quando la banca convenuta eccepisce la prescrizione, essa adempie al proprio onere semplicemente allegando l’inerzia del titolare del diritto e dichiarando di volerne profittare. Non è tenuta a specificare quali singole rimesse siano da considerarsi solutorie e quindi prescritte.

Di conseguenza, l’onere di provare i fatti che impediscono l’effetto estintivo della prescrizione si sposta sul correntista. È quest’ultimo che deve dimostrare che il conto era assistito da un’apertura di credito e che i versamenti contestati avevano natura meramente ripristinatoria, in quanto effettuati entro i limiti del fido concesso.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha spiegato che la Corte d’Appello ha errato nel ritenere provata l’esistenza del fido sulla base della mera allegazione non contestata dall’attore. L’affermazione secondo cui non è ‘ipotizzabile il decorso della prescrizione rispetto ad operazioni negative che implicano la sola diminuzione del saldo attivo’ è stata giudicata in contrasto con l’orientamento consolidato. La distinzione tra rimesse solutorie (pagamenti di un debito effettivo verso la banca, che si verificano quando il saldo passivo supera il fido) e rimesse ripristinatorie (che ristabiliscono la provvista entro i limiti del fido) è fondamentale. Solo le prime sono soggette alla prescrizione decennale che decorre dal giorno del versamento; per le seconde, il termine decorre dalla chiusura del rapporto.

Il semplice rilievo dell’eccezione di prescrizione da parte della banca era sufficiente per investire il giudice del dovere di accertare la natura dei versamenti, senza che sulla banca gravassero ulteriori oneri probatori. Spettava invece alla società attrice dimostrare la natura affidata del conto e, di conseguenza, la natura ripristinatoria delle rimesse per cui chiedeva la restituzione.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche per Correntisti e Banche

Questa ordinanza riafferma un principio di cruciale importanza pratica. I correntisti che intendono agire in giudizio per la ripetizione di somme indebitamente addebitate devono essere preparati a sostenere l’onere della prova riguardo all’esistenza di un contratto di apertura di credito. Non è sufficiente allegare l’esistenza di un fido; è necessario provarla documentalmente. In mancanza di tale prova, i versamenti effettuati su un conto con saldo passivo saranno considerati solutori e, se risalenti a oltre dieci anni prima dell’azione legale, la relativa pretesa di restituzione sarà irrimediabilmente prescritta. Per le banche, la decisione conferma che l’eccezione di prescrizione può essere sollevata in termini generali, senza la necessità di un’analisi dettagliata di ogni singola rimessa.

Chi deve provare che un conto corrente è affidato quando la banca eccepisce la prescrizione?
Secondo la Corte di Cassazione, l’onere della prova grava sul correntista che ha avviato la causa. È il cliente a dover dimostrare l’esistenza di un contratto di apertura di credito (fido) per sostenere che le rimesse avevano natura ripristinatoria e non solutoria.

Qual è la differenza tra rimesse solutorie e ripristinatorie ai fini della prescrizione?
Le rimesse sono ‘solutorie’ quando vengono effettuate su un conto con saldo passivo che supera i limiti dell’eventuale fido, costituendo un vero e proprio pagamento di un debito. Per queste, la prescrizione di dieci anni decorre dalla data di ogni singolo versamento. Le rimesse sono ‘ripristinatorie’ quando servono solo a ricostituire la disponibilità di credito entro i limiti del fido; per queste, la prescrizione decorre solo dalla data di chiusura del conto.

Cosa deve fare la banca per eccepire validamente la prescrizione?
Per l’istituto di credito è sufficiente affermare l’inerzia del titolare del diritto (il correntista) e dichiarare di volersi avvalere della prescrizione. Non è necessario che la banca indichi specificamente quali rimesse considera prescritte, poiché l’onere di dimostrare il contrario spetta al cliente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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