Sentenza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31864 Anno 2024
Civile Sent. Sez. L Num. 31864 Anno 2024
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/12/2024
SENTENZA
sul ricorso 16826-2023 proposto da:
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE Società con socio unico, soggetta all’attività di direzione e coordinamento di RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2802/2023 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/07/2023 R.G.N. 3156/2021; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/11/2024 dalla Consigliera NOME COGNOME
Oggetto
Restituzione somme versate in esecuzione di sentenza poi riformata -Prescrizione decorrenza
R.G.N. 16826/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 06/11/2024
PU
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
udito l’avvocato COGNOME udito l’avvocato COGNOME
Fatti di causa
La Corte d’appello di Roma ha accolto l’appello di RAGIONE_SOCIALE (d’ora in avanti anche RAGIONE_SOCIALE) e, in riforma della sentenza di primo grado, ha condannato NOME COGNOME a restituire alla società la somma di euro 5.590,87, oltre interessi legali.
La Corte territoriale ha premesso che la domanda di RAGIONE_SOCIALE, di restituzione della somma pagata in esecuzione della sentenza del pretore di Roma (n. 688/1995), poi riformata in appello dal tribunale (n. 33955/2000), pronunce emesse in separato procedimento, era stata respinta dal primo giudice che aveva ritenuto fondata l’eccezione di prescrizione sul rilievo che, in base all’art. 336 c.p.c. come modificato dall’art. 48 della legge 353/1990, applicabile ratione temporis, il termine decennale di prescrizione dell’azione restitutoria decorresse dalla data di pubblicazione della sentenza d’appello e non dal suo passaggio in giudicato.
Nell’accogliere l’appello di RAGIONE_SOCIALE, la sentenza ora impugnata, richiamando precedenti specifici della medesima Corte territoriale e della Corte di legittimità (Cass. n. 3706 del 2018; n. 28436 del 2019), ha affermato che il diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza di condanna, successivamente riformata, soggiace al termine di prescrizione decennale che inizia a decorrere dal giorno in cui è divenuto definitivo, con la riforma della predetta sentenza, l’accertamento dell’indebito. Ha accertato che nel caso di specie RAGIONE_SOCIALE aveva inviato una prima lettera di diffida al pagamento in data 8 agosto 2011, ricevuta
dal sig. COGNOME il 6 settembre 2011, dunque nel termine decennale dalla formazione del giudicato relativo alla sentenza che aveva accertato l’indebito (31 ottobre 2001). 4. Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. RAGIONE_SOCIALE ha resistito con controricorso. Il Procuratore Generale ha rassegnato conclusioni scritte chiedendo l’accoglimento del ricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Ragioni della decisione
5. Con il primo motivo di ricorso si deduce la violazione e la falsa applicazione, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., del combinato disposto degli artt. 2935 c.c., 2946 c.c. e 336 c.p.c., nella misura in cui la Corte d’appello, in contrasto con il consolidato orientamento di legittimità, ha riformato la sentenza di primo grado ritenendo non prescritto il diritto alla ripetizione delle somme pagate da R.F.I. al ricorrente a titolo di riliquidazione della buonuscita, in esecuzione della originaria sentenza del Pretore di Roma n. 688/1995, riformata con sentenza n. 33955/2000 pubblicata il 31.10.2000. Si rileva che con tale sentenza il Tribunale di Roma, in funzione di Giudice d’appello, si limitò a statuire che ‘la domanda di riliquidazione della buonuscita pro posta in prime cura va, pertanto, respinta’, senza null’altro aggiungere in ordine alla conseguente regolamentazione del rapporto tra le parti e, segnatamente, in punto di restituzione dell’indebito, non avendo R.F.I. articolato in quella sede alcuna domanda restitutoria. Si sostiene che il diritto alla ripetizione dell’indebito, avanzato da R.F.I. per la prima volta e irritualmente solo con la missiva dell’avv. NOME COGNOME dell’8.8.2011, ricevuta dal sig. NOME COGNOME in data 6.9.2011, era certamente prescritto essendo già trascorsi a quella data oltre dieci anni dalla
pubblicazione della sentenza del Tribunale di Roma n. 33955/2000; la data di quest’ultima sentenza, emessa come s’è detto il 30.10.2000, costituisce, ai sensi e per gli effetti dell’art. 336 c.p.c. ratione temporis applicabile, il dies a quo del termine di prescrizione del preteso diritto alla restituzione, sicché la prescrizione è maturata il 31.10.2010 (ossia alla scadenza del decennio).
Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione o falsa applicazione, ex art 360, comma 1 n. 3 c.p.c., dell’art 132 c.p.c. e la nullità della sentenza in parte qua ex art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c. con riferimento all’art. 112 c.p.c. per difetto assoluto della motivazione in violazione dell’art. 111 cost. e del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost., per non avere la Corte d’appello affrontato in alcun modo le contestazioni proposte in merito alla inidoneità, ad interrompere la prescrizione già maturata in favore del COGNOME, della comunicazione dell’8.8.2011, ricevuta il 6.9.2011, con la quale R.F.I., per il tramite dell’avv. COGNOME ha richiesto per la prima volta all’odierno ricorrente la restituzione delle somme asseritamente versategli.
Con il terzo motivo di ricorso si deduce la violazione o la falsa applicazione, ex art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c., dell’art. 115 c.p.c. nella misura in cui la Corte d’appello di Roma, là dove statuisce che la ‘richiesta di pagamento formulata dalla R.F.I. con le diffide in atti non è stata contestata dal COGNOME…né vi è traccia di contestazione nella memoria costitutiva di primo grado’, assume a fondamento della sua decisione come fatti non contestati circostanze che, invece, il COGNOME aveva espressamente censurato in entrambi i gradi del giudizio di merito.
Con il quarto motivo di ricorso si deduce, infine, la violazione e la falsa applicazione, ex art. 360, comma 1 n. 3
c.p.c., degli art. 116 c.p.c. e 2944 c.c., nella misura in cui il Giudice d’appello, nel valutare la risposta del 14.9.2011 con cui il COGNOME ha chiesto all’avv. COGNOME chiarimenti sui contenuti della diffida dell’8.8.2011, non ha operato secondo il suo prudente apprezzamento, attribuendo alla richiamata risposta un altro e diverso valore, ossia quello che la legge (art. 2944 c.c.) attribuisce ad altri tipi di atti.
9. Il primo motivo di ricorso è fondato, con assorbimento dei residui motivi, poiché risulta erronea l’affermazione contenuta nella sentenza d’appello secondo cui il termine di prescrizione del diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza riformata decorre in ogni caso dal passaggio in giudicato della sentenza di riforma.
10. È necessario prendere le mosse dall’art. 336, secondo comma, c.p.c., che regola l’effetto espansivo esterno della sentenza di riforma o di cassazione, e tenere conto delle modifiche apportate a tale disposizione. Nel testo originario, la norma prevedeva che la riforma estendesse i propri effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti solo dal momento del suo passaggio in giudicato. In base a tale previsione, la giurisprudenza di legittimità ha ripetutamente affermato, anche in epoca recente, che il diritto alla restituzione delle somme pagate in esecuzione di una sentenza di condanna successivamente riformata soggiace, ai sensi degli artt. 2033 e 2946 c.c., al termine di prescrizione decennale, che inizia a decorrere dal giorno in cui è divenuto definitivo, con la riforma della predetta sentenza, l’accertamento dell’indebito (cfr. Cass., Sez. Un., n. 5186 del 1991; Cass. n. 13635 del 2001; n. 3706 del 2018; n. 7088 del 2022).
11. La legge 353 del 1990 (art. 48) ha modificato l’art. 336, secondo comma, c.p.c., sopprimendo il riferimento al passaggio in giudicato; lo scopo di tale modifica -come ormai pacificamente ritenuto in dottrina, era proprio quello di
anticipare l’effetto espansivo esterno all’emissione della sentenza di riforma o di cassazione, determinando ipso iure ipsoque facto la caducazione dei provvedimenti e degli atti dalla stessa dipendenti, ivi compresi quelli di esecuzione spontanea o coattiva della stessa, divenuti ormai privi di titolo giustificativo, con la conseguente insorgenza dell’obbligo di restituire le somme pagate o di ripristinare la situazione preesistente (cfr. Cass. n. 16170 del 2001; n. 26171 del 2006; n. 10124 del 2009).
12. Sulla base di tali premesse si è affermato che il termine di prescrizione dell’azione restitutoria comincia a decorrere, ai sensi dell’art. 2935 c.c., dalla data di pubblicazione della sentenza di riforma (o di cassazione), precisandosi tuttavia che, ove in sede di impugnazione sia stata proposta la domanda restitutoria, la prescrizione resta interrotta con effetti permanenti fino al momento del passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado, ai sensi degli artt. 2943, secondo comma, e 2945, secondo comma, c.c. Affinché si produca l’effetto interruttivo è necessario che la richiesta di restituzione sia espressamente formulata nell’atto di appello o nel corso del giudizio; l’effetto interruttivo non opera infatti automaticamente, dal momento che il diritto alla restituzione non ha alcuna correlazione con lo specifico rapporto controverso ma trova la propria fonte in un fatto nascente dal processo, cioè nell’avvenuta esecuzione di un titolo giudiziale poi riformato, che potrebbe del tutto mancare o comunque sopravvenire al momento dell’impugnazione, con la conseguenza che tale fatto dev’essere autonomamente portato alla cognizione del giudice di appello (cfr. Cass. n. 27131 del 2018; n. 7088 del 2022 cit.).
13. Poste tali precisazioni, l’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui il termine di prescrizione dell’azione restitutoria decorrerebbe necessariamente dal
passaggio in giudicato della sentenza di appello, può ritenersi accettabile soltanto in riferimento ai giudizi instaurati in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 353 del 1990, ai quali si applica il testo originario dell’art. 336, secondo comma, c.p.c., ma non risulta più attuale né condivisibile per i giudizi cui va applicato -appunto, ratione temporis – il nuovo testo del citato articolo: per questi ultimi occorre distinguere a seconda che nel giudizio di appello sia stata o meno proposta la domanda di restituzione.
14. Nel caso in esame, al fine di individuare la disciplina applicabile, occorre tenere conto dell’articolata normativa transitoria dettata dagli artt. 90 e 92 della legge n. 353 del 1990. L’art. 90 cit., nel proprio testo originario, si limitava a prevedere, all’ottavo comma, che le disposizioni della legge di riforma si applicassero anche ai giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore, originariamente fissata dall’art. 92 per il 1° gennaio 1992, e differita al 1° gennaio 1993 dall’art. 50 della legge 21 novembre 1991, n. 374. Nel frattempo, tuttavia, l’art. 92 era stato sostituito dall’art. 2, commi terzo e quinto, della legge 4 dicembre 1992, n. 477, il quale aveva confermato l’entrata in vigore della riforma al 1° gennaio 1993, ma aveva disposto che ai giudizi pendenti a quest’ultima data si applicassero, fino al 2 gennaio 1994 (data differita prima al 18 dicembre 1994 dall’art. 6 decretolegge 7 ottobre 1994, n. 571, e poi al 30 aprile 1995 dalla legge di conversione 6 dicembre 1994, n. 673), le disposizioni anteriormente vigenti.
15. Successivamente, l’art. 9 del decreto-legge 18 ottobre 1995, n. 432, convertito con modificazioni dalla legge 20 dicembre 1995, n. 534, ha rimodulato la disciplina transitoria, modificando nuovamente l’art. 90 della legge n. 353 del 1990, la cui ultima versione prevede che ai giudizi pendenti alla data del 30 aprile 1995 continuano ad applicarsi
le disposizioni anteriormente vigenti, fatta eccezione per una serie di norme, tra cui l’art. 336, secondo comma, c.p.c., che, nel testo modificato, si applicano, oltre che ai giudizi iniziati dopo il 1° gennaio 1993, anche a quelli pendenti a tale data. 16. In base a tale ricostruzione normativa, deve affermarsi che l’originario procedimento instaurato dal lavoratore nel 1994, definito in primo grado con sentenza del Pretore di Roma del 1995 e in secondo grado con sentenza della Corte d’appello pubblicata il 31 ottobre 2000, era assoggettato alla disciplina dettata dal nuovo testo dell’art. 336, comma 2, c.p.c.
17. Da ciò discende che il termine decennale di prescrizione del diritto alla restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado, poi riformata, deve computarsi dal passaggio in giudicato della pronuncia di riforma oppure dal momento, anteriore, di sua pubblicazione, a seconda che nel giudizio di appello sia stata o meno proposta la domanda di restituzione delle somme corrisposte in esecuzione della sentenza di primo grado.
18. La giurisprudenza di questa Corte è, sul punto, consolidata nel senso della ammissibilità della domanda di restituzione delle somme pagate in esecuzione della sentenza di primo grado, anche se proposta nel giudizio di appello. Una simile domanda non è nuova, poiché meramente consequenziale alla richiesta di modifica della decisione impugnata, sicché non si pone in contrasto col divieto di nova di cui all’art. 345 c.p.c. (cfr. Cass. n. 5323 del 2009; n.10124 del 2009; n. 16152 del 2010; n. 18611 del 2013; n. 23972 del 2020). Tale indirizzo poggia, inoltre, su ragioni di economia processuale collegate all’esigenza di ripristino della situazione patrimoniale anteriore alla sentenza di primo grado, la cui caducazione, facendo venire meno il titolo del pagamento, lo rende indebito sin dall’origine, in tal modo
determinando il sorgere della pretesa restitutoria, che non potrebbe altrimenti essere esercitata se non a seguito e per effetto della sentenza di appello (cfr. e pluribus, Cass. n. 12905 del 2004; n. 5787 del 2005; n. 15461 del 2008). La restituzione può essere disposta anche d’ufficio dal giudice, in considerazione dell’accessorietà della relativa pronuncia al decisum della controversia (cfr. Cass. n. 15461 del 2008; n. 23972 del 2020; n. 24171 del 2020).
19. Per sostenere che l’effetto interruttivo si produca ex se in forza della notifica dell’appello, anche in assenza di domanda di restituzione, non vale invocare il principio secondo cui la proposizione della domanda giudiziale ha efficacia interruttiva della prescrizione, ai sensi degli art. 2943 e 2945 c.c., anche con riguardo a tutti i diritti che si ricolleghino con stretto nesso di causalità al rapporto cui essa inerisce (cfr. Cass. n. 4031 del 1988; n. 9589 del 1997; n. 18570 del 2007; n. 1084 del 2011; n. 15669 del 2011; da ultimo v. Cass. n. 16120 del 2023; n. 9542 del 2024). Invero, presupposto della richiamata giurisprudenza è la sussistenza di un legame di stretta conseguenzialità del diritto della cui prescrizione si discute rispetto al rapporto oggetto di causa, mentre nel caso in esame, in realtà, il diritto alla restituzione deriva non già dal rapporto controverso in appello, ma da un fatto nascente dal processo, ovvero dall’esecuzione di un titolo giudiziale e dalla sopravvenuta caducazione del titolo medesimo, indipendentemente dalle vicende relative al rapporto controverso. Neppure sussiste un rapporto di necessaria conseguenzialità rispetto alla domanda di riforma della sentenza di primo grado: il diritto alla restituzione presuppone l’adempimento della sentenza di primo grado, cioè un fatto che potrebbe del tutto mancare o, comunque, sopravvenire alla proposizione dell’appello sicché esso deve essere autonomamente portato alla cognizione del giudice
per la produzione dell’effetto interruttivo della prescrizione (così Cass. n. 27131 del 2018).
20. Nella vicenda oggetto della presente controversia, la Corte territoriale ha erroneamente applicato l’art. 336, secondo comma, c.p.c. nel testo anteriore alla riforma del 1990 ed ha infatti richiamato la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 3706 del 2018) che si era pronunciata sul presupposto (che, invece, non ricorre nell’ipotesi in oggetto) del testo previgente della norma citata. In altre parole, la sentenza impugnata è incorsa nel vizio di violazione di legge consistente nell’erronea individuazio ne della normativa applicabile, dovendo invece applicarsi nel caso di specie il nuovo testo dell’art. 336, comma 2, c.p.c.
21. Per queste ragioni, in accoglimento del primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri motivi, la sentenza impugnata deve essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 3 84, comma 2 c.p.c., con il rigetto, per intervenuta prescrizione, della domanda restitutoria avanzata da RAGIONE_SOCIALE; difatti, poiché non risulta in alcun modo accertata né, ancor prima, dedotta dalla controricorrente, l’avvenuta proposizione nell’originario giudizio (quello in cui il lavoratore ha chiesto e ottenuto in primo grado la riliquidazione della buonuscita) di una domanda restitutoria, la prescrizione della relativa azione ha cominciato a decorrere dalla pubblicazione della sentenza d’appello (31.10.2000), con conseguente spirare del termine decennale di prescrizione alla data del 31.10.2010. Per l’effetto, gli atti dell’8.8.2011 e del 3.11.2020, erroneamente valorizzati nella sentenza impugnata, non hanno alcuna idoneità interruttiva perché ormai successivi allo spirare del termine prescrizionale.
22. Al rigetto della domanda restitutoria segue, in base al principio di soccombenza, la condanna di Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. alla rifusione delle spese di tutti i gradi del giudizio, con liquidazione come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, dichiara assorbiti i restanti motivi, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di restituzione proposta da Rete Ferroviaria Italiana S.p.A. Condanna quest’ultima alla rifusione delle spese processuali che liquida, per il primo grado, in euro 3.000,00 per compensi professionali ed euro 200,00 per esborsi; per il secondo grado, in euro 2.500,00 per compensi professionali ed euro 200,00 per esborsi; per il giudizio di legittimità, in euro 2.400,00 per compensi professionali e in euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15% e accessori come per legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della pubblica