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Prescrizione pubblico impiego: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 27184/2025, ha stabilito principi cruciali in materia di prescrizione nel pubblico impiego. Un dipendente di un ente pubblico aveva ottenuto il riconoscimento di differenze retributive per mansioni superiori. L’ente datore di lavoro ha impugnato la decisione, sollevando l’eccezione di prescrizione. La Suprema Corte ha accolto il ricorso, affermando che, a differenza del settore privato, nel pubblico impiego il termine di prescrizione quinquennale per i crediti di lavoro decorre dal momento in cui il diritto sorge, anche in caso di contratti a tempo determinato. La Corte ha inoltre ribadito il divieto di cumulo tra rivalutazione monetaria e interessi sui crediti vantati verso la pubblica amministrazione.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Prescrizione Pubblico Impiego: La Cassazione Conferma la Decorrenza Immediata

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in tema di prescrizione nel pubblico impiego, stabilendo che i termini per far valere i crediti retributivi decorrono immediatamente, anche per i lavoratori precari. Questa decisione si allinea a un orientamento consolidato delle Sezioni Unite, creando un solco netto rispetto alla disciplina del lavoro privato e offrendo importanti chiarimenti per dipendenti e amministrazioni pubbliche.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso di un ente pubblico, posto in liquidazione coatta amministrativa, contro un decreto del Tribunale di Roma. Il Tribunale aveva parzialmente accolto l’opposizione di un ex dipendente, ammettendo al passivo un credito di circa 34.000 euro per differenze retributive dovute allo svolgimento di mansioni superiori per un lungo periodo (dal 2003 al 2016).

Il giudice di primo grado aveva rigettato l’eccezione di prescrizione sollevata dall’ente, sostenendo che, essendo il rapporto di lavoro caratterizzato da una successione di contratti a tempo determinato e quindi privo di stabilità, il termine di prescrizione non poteva decorrere in pendenza del rapporto. L’ente pubblico ha quindi proposto ricorso in Cassazione, basandosi su due motivi principali: l’errata applicazione delle norme sulla prescrizione e la violazione del divieto di cumulo tra rivalutazione e interessi.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha accolto entrambi i motivi del ricorso, cassando il decreto impugnato e rinviando la causa al Tribunale di Roma per un nuovo esame.

La Corte ha affrontato due questioni giuridiche di grande rilevanza:
1. La decorrenza della prescrizione: Ha stabilito che nel pubblico impiego la prescrizione dei crediti retributivi decorre dal momento in cui il diritto sorge, a prescindere dalla stabilità del rapporto.
2. Il divieto di cumulo: Ha ribadito che sui crediti di lavoro vantati nei confronti delle pubbliche amministrazioni non è possibile cumulare la rivalutazione monetaria e gli interessi legali.

Le motivazioni sulla prescrizione nel pubblico impiego

Il cuore della decisione risiede nell’adesione della Corte al principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 36197/2023. Secondo tale principio, la regola che fa decorrere la prescrizione solo dalla fine del rapporto di lavoro (per tutelare il lavoratore dal cosiddetto metus, ovvero il timore di ritorsioni) si applica esclusivamente al settore privato.

Nel rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione, questa presunzione di soggezione psicologica non sussiste. Le garanzie di stabilità e le procedure regolate dalla legge che governano il rapporto pubblico offrono al dipendente una tutela maggiore, eliminando il presupposto del timore che giustifica la sospensione della prescrizione.

La Corte chiarisce che questo principio vale non solo per i rapporti a tempo indeterminato, ma anche per quelli a tempo determinato o per la successione di contratti a termine. Il mancato rinnovo di un contratto a termine nel pubblico impiego è considerato un’eventualità connaturata al tipo di rapporto e non un atto ritorsivo, costituendo una mera aspettativa di fatto non tutelabile giuridicamente.

Le motivazioni sul Divieto di Cumulo di Interessi e Rivalutazione

Anche il secondo motivo di ricorso è stato ritenuto fondato. La Cassazione ha ricordato che la legislazione speciale (in particolare l’art. 22 della Legge 724/1994 e l’art. 16 della Legge 412/1991) vieta espressamente il cumulo tra rivalutazione monetaria e interessi sui crediti di lavoro dei dipendenti pubblici.

Questo divieto ha portata generale e si applica a tutti i crediti connessi al rapporto di lavoro, inclusi quelli di natura retributiva, pensionistica, assistenziale e persino risarcitoria. Il Tribunale, ammettendo il credito del lavoratore comprensivo di ‘rivalutazione monetaria e interessi legali’, aveva quindi violato tale disposizione.

Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale di fondamentale importanza pratica. Per i dipendenti pubblici, significa che devono agire tempestivamente per tutelare i propri diritti retributivi, poiché il termine di prescrizione quinquennale inizia a decorrere non appena il credito matura, senza attendere la cessazione del rapporto. Per le pubbliche amministrazioni, questa decisione rappresenta una conferma della specificità del regime giuridico che governa i rapporti di lavoro alle loro dipendenze, sia per quanto riguarda la prescrizione che per il calcolo degli accessori sui crediti.

Quando inizia a decorrere la prescrizione per i crediti retributivi di un dipendente pubblico?
Secondo la Corte di Cassazione, la prescrizione quinquennale per i crediti retributivi dei dipendenti pubblici, sia con contratto a tempo indeterminato che determinato, decorre dal giorno in cui il singolo credito sorge e non dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.

Perché la regola sulla decorrenza della prescrizione è diversa tra settore pubblico e privato?
La differenza si basa sulla presunta assenza di ‘metus’ (timore reverenziale o di ritorsione) del dipendente nei confronti della pubblica amministrazione. A differenza del datore di lavoro privato, l’amministrazione pubblica è soggetta a regole procedurali rigide, che offrono al lavoratore garanzie di stabilità e imparzialità tali da escludere il timore che potrebbe impedirgli di far valere i propri diritti durante il rapporto.

Un dipendente pubblico può ottenere sia la rivalutazione monetaria che gli interessi legali su un credito di lavoro non pagato?
No. La Corte ha ribadito che la normativa vigente (in particolare l’art. 22, comma 36, della L. 724/1994) vieta espressamente il cumulo di rivalutazione monetaria e interessi sui crediti di lavoro spettanti ai dipendenti delle pubbliche amministrazioni. Verrà riconosciuto l’importo maggiore tra gli interessi e la rivalutazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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