Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 27769 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 27769 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/10/2025
ORDINANZA
sul ricorso 15081-2024 proposto da:
PRESIDENZA DEL RAGIONE_SOCIALE, in persona del Presidente del RAGIONE_SOCIALE pro tempore, rappresentata e difesa ex lege dall’RAGIONE_SOCIALE;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1120/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 19/03/2024 R.G.N. 2325/2021;
Oggetto
PUBBLICO
IMPIEGO
LAVORO PRECARIO
PRESCRIZIONE
R.G.N.NUMERO_DOCUMENTO
Cron. Rep. Ud 21/05/2025 CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/05/2025 dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha agito in giudizio lamentando di aver svolto presso la RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE dei RAGIONE_SOCIALE dal 23.1.2008 al 25.9.2019, un rapporto di lavoro continuativo e subordinato, con espletamento delle medesime mansioni, in virtù di una pluralità di contratti, alcuni a termine, altri di esperto pari alla categoria A, posizione economica F4 CCNL di riferimento.
La lavoratrice in particolare ha chiesto che fosse accertata la esistenza di un unico rapporto di lavoro di natura subordinata ed il pagamento delle differenze retributive maturate, nonché il risarcimento del danno per abusiva reiterazione del contratto.
Il Tribunale di Roma ha dichiarato l’illegittimità dei contratti a termine e di esperto stipulati tra la ricorrente e la RAGIONE_SOCIALE nonché la natura subordinata e l’unicità del rapporto di lavoro intercorso tra le parti nel periodo dal 23.1.2008 al 25.9.2019 e il diritto di COGNOME NOME ad essere inquadrata nel periodo dal 23.1.2008 al 25.9.2019 nella Categoria ‘A’ Fascia retributiva F4 per i dipendenti del comparto dei dipendenti della RAGIONE_SOCIALE (dal 2016 CCNL Comparto personale funzione centrale), e, conseguentemente, ha condannato la resistente RAGIONE_SOCIALE a corrispondere alla parte ricorrente la somma complessiva di € 162.010,08 a titolo di differenze retributive e sul tfr nonché a corrispondere alla ricorrente a titolo di risarcimento danni ex artt. 32, comma 5, della
legge 183/2010 e 36, comma 5, del D.lgs. n. 165/2001, la somma di € 33.919,60, corrispondente ad una indennità pari a 10 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto (€ 3.391,96 x10 = € 33.919,60), oltre interessi legali su tutte le somme dovute come per legge.
La Corte di Appello di Roma ha respinto il gravame proposto dalla amministrazione respingendo per quanto di interesse in questa sede l’eccezione di prescrizione sollevata dalla appellante, nonché il motivo relativo alla errata applicazione al caso di specie del CCNL di riferimento.
La RAGIONE_SOCIALE del RAGIONE_SOCIALE ha proposto ricorso in Cassazione assistito da due motivi cui ha resistito con controricorso la lavoratrice che ha altresì depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 2934, 2935 e 2948 c.c. in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c..
La pronuncia d’appello sarebbe errata nella parte in cui non ha accolto l’eccezione di prescrizione quinquennale per i crediti da lavoro maturati dalla lavoratrice, ritenendo la prescrizione non decorrente in costanza di rapporto, in quanto sussistente un rapporto di lavoro di fatto. In particolare, la Corte distrettuale non avrebbe fatto buon governo del principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte secondo cui la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato -sia nei rapporti a tempo indeterminato, sia in quelli a tempo determinato, e anche in caso successione di contratti a termine – decorre, per
i crediti che nascono nel corso del rapporto lavorativo, dal giorno della loro insorgenza e, per quelli che maturano alla cessazione, a partire da tale data, perché non è configurabile un “metus” del cittadino verso la pubblica amministrazione e poiché, nei rapporti a tempo determinato, il mancato rinnovo del contratto integra un’apprensione che costituisce una mera aspettativa di fatto, non giustiziabile per la sua irrilevanza giuridica. (S.U. 36197/2023).
Con il secondo motivo si denuncia la nullità della sentenza e/o del procedimento per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n.4, c.p.c.. In ogni caso e comunque si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2 del contratto collettivo nazionale quadro 13 luglio 2016 e dell’art. 74, comma 3, del d.lgs. n. 150/2009 in relazione all’art. 360, primo comma, n.3, c.p.c..
La pronuncia d’appello sarebbe errata nella parte in cui riconosce alla lavoratrice l’inquadramento nella categoria A, F4 applicandole il CCNL Funzioni Centrali 2016 dalla stessa invocato.
Invero, tale CCNL non sarebbe applicabile al caso di specie, costituendo la RAGIONE_SOCIALE un autonomo comparto ai sensi dell’art. 74 co. 3 D.Lgs. 150/2009 e dell’art. 2 CCNQ 13.07.2016. Su tale doglianza sollevata dalla amministrazione in appello la Corte non si sarebbe erroneamente pronunciata.
Il ricorso è parzialmente fondato per i motivi di seguito esposti.
3.1. Il primo motivo è fondato.
Va premesso che questa Corte ha di recente affermato che il rapporto di pubblico impiego sebbene privatizzato, resta comunque non solo assoggettato ai limiti conformativi posti dalle norme costituzionali di cui agli artt. 28, 51, 97, 98 Cost. nonché dall’o rdinamento dell’Unione Europea ma anche caratterizzato da una specifica disciplina, quella del D. Lgs. 165/2001, in tema di esclusione della configurabilità della stabilizzazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni, in quanto vincolate al rispetto dei principi costituzionali e della legge. In questo quadro nel quale, pur in presenza dell’instaurarsi in via di fatto di un rapporto di lavoro subordinato, deve comunque escludersi qualunque aspettativa alla stabilizzazione dell’impiego, emerge la conseguente assenza del profilo fondamentale al quale invece, nel caso del rapporto di lavoro privato, è stato ricollegato quel metus che precluderebbe l’esercizio dei diritti, paralizzando di conseguenza il decorso della prescrizione. Da ciò deriva, come da questa Corte già affermato (Cass. Sez. L – Sentenza n. 35676 del 19/11/2021), la piena decorrenza della prescrizione anche in costanza di rapporto, non essendo ravvisabile alcuna aspettativa del lavoratore alla stabilità dell’impiego e quindi l’assenza di u n metus in ordine alla mancata continuazione del rapporto. A non diverse conclusioni si deve pervenire nel caso in esame. Se, infatti, la qualificazione formale di un rapporto come lavoro socialmente utile non impedisce di accertare che nel concreto il rapporto abbia avuto carattere diverso, configurando un vero e proprio lavoro subordinato, è proprio da tale affermazione che discende la conclusione per cui il rapporto in questione resta comunque escluso
da un orizzonte di stabilizzazione, con conseguente piena valenza del principio che afferma la decorrenza della prescrizione anche in costanza di rapporto, non ravvisandosi anche in tale ipotesi alcun metus correlato alla (inesistente) perdita di possibilità di vedere il rapporto stabilizzato ed anzi risultando a maggior ragione che la prospettiva del rinnovarsi del rapporto di lavoro socialmente utile presenta il carattere di mera aspettativa di fatto’. (cfr. Cass. Ordinanze nn. 11628 e 11622 del 2024).
Pertanto, il rapporto di lavoro di fatto, non generando alcuna aspettativa in ordine alla stabilizzazione di un rapporto alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE, non ha alcun effetto in ordine alla decorrenza della prescrizione dalla cessazione del rapporto di lavoro, non sussistendo in costanza di rapporto alcun metus nei confronti del datore di lavoro pubblico connesso alla aspettativa del lavoratore in ordine al rischio della mancata continuazione del rapporto di lavoro. Conseguentemente, la Corte distrettuale ha errato nel rigettare l’eccezione di prescrizione sollevata dalla amministrazione con riferimento ai crediti risalenti ai cinque anni antecedenti al deposito del ricorso di primo grado.
3.2. Il secondo motivo invece è inammissibile.
Il ricorso per cassazione deve contenere, invero, a pena di inammissibilità, l’esposizione dei motivi per i quali si richiede la cassazione della sentenza impugnata, aventi i requisiti della specificità, completezza e riferibilità alla decisione impugnata (Cass., 25/02/2004, n. 3741; Cass., 23/03/2005, n. 6219; Cass., 17/07/2007, n. 15952; Cass., 19/08/2009, n. 18421; Cass. 24/02/2020,
n. 4905). In particolare, è necessario che venga contestata specificamente, a pena di inammissibilità, la «ratio decidendi» posta a fondamento della pronuncia oggetto di impugnazione (Cass., 10/08/2017, n. 19989). Ciò premesso, si rileva che la Corte territoriale si è pronunciata sul motivo di gravame nella misura in cui ha ritenuto che l’inquadramento effettuato in prime cure e confermato in appello è stato riconosciuto dalla amministrazione stessa ai dipendenti con medesime mansioni affidate alla odierna ricorrente, senza che sul punto vi fosse specifica contestazione.
La odierna ricorrente, pertanto, non aggredisce tale ratio decidendi che da sola è sufficiente a sorreggere la motivazione della sentenza impugnata.
In conclusione, il ricorso va accolto nei limiti di ragione con cassazione e rinvio alla Corte di appello di Roma in diversa composizione anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, inammissibile il secondo.
Cassa e rinvia alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 21 maggio 2025.
Il Presidente
NOME COGNOME