Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 2 Num. 19759 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 2 Num. 19759 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 17/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 10843-2020 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME quale difensore di se stesso e rappresentato e difeso altresì dall’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
-ricorrente –
contro
COGNOME NOME
-intimata – avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di FORLI’, depositata il 02/04/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 1/7/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Lette le memorie del ricorrente;
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1. L’Avv. NOME COGNOME proponeva ricorso nei confronti di NOME COGNOME per il pagamento di compensi professionali relativi a prestazioni giudiziali in materia civile, avendo il giudice istruttore disposto, con ordinanza in data 6 agosto 2019, la separazione della domanda di pagamento formulata dal ricorrente ed avente ad oggetto prestazioni in materia penale.
Si costituiva in giudizio NOME COGNOME eccependo preliminarmente l’improcedibilità della domanda e, nel merito, la prescrizione presuntiva ex art. 2956 c.c. dei crediti azionati dal ricorrente, per avvenuto decorso del termine triennale dall’erogazione delle prestazioni da parte del professionista.
Il Tribunale di Forlì, con ordinanza ex art. 14 D. Lgs. n. 150/2011, respingeva le domande avanzate dall’Avv. COGNOME per intervenuto decorso, alla data di presentazione della domanda, del termine triennale di prescrizione presuntiva.
In particolare, il Tribunale adito, preliminarmente, disattendeva ogni allegazione del ricorrente in ordine all’asserito contrasto della disciplina della prescrizione presuntiva con la normativa sovranazionale applicabile in tema, in quanto, come osservato dalla Corte Costituzionale, detta disciplina non limita ingiustificatamente la tutela di un diritto, ma semplicemente impone un limite temporale, peraltro non assoluto, alla possibilità di azionare un credito, per le caratteristiche immanenti del credito stesso.
Il giudice di merito escludeva, poi, che l’aver sollevato l’eccezione di prescrizione presuntiva -ritenuta puntualmente e tempestivamente formulata -potesse di per sé implicare il riconoscimento del debito, essendo, invece, necessario che il debitore neghi l’esistenza del credito oggetto della domanda ovvero eccepisca che il credito non sia sorto ovvero che sollevi contestazioni sull’entità della somma richiesta.
Secondo il Tribunale, la mancata contestazione dell’inadempimento del debito, infatti, non costituisce ammissione indiretta o implicita della mancata estinzione dell’obbligazione, ostativa all’eccezione di prescrizione presuntiva, in quanto l’ammissione ex art. 2959 c.c. non può risiedere nella nuda non contestazione, non essendo ipotizzabile una sorta di prevalenza del principio di non contestazione sulla presunzione legale di pagamento sottesa all’istituto della prescrizione presuntiva.
Per la cassazione di tale ordinanza l’Avv. COGNOME ha proposto ricorso sulla base di sette motivi, illustrati da memorie.
NOME COGNOME non ha svolto attività difensiva in questa fase.
Il primo motivo di ricorso denuncia la nullità del procedimento e per conseguenza dell’ordinanza decisoria in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per aver il giudice di merito concesso e/o disposto la separazione delle cause in presenza di un’eccezione di prescrizione presuntiva che investiva tutta la domanda ex artt. 112, 103, co. 2, e 702 bis c.p.c., nonché ex art. 159 e 161 c.p.c. In particolare, il provvedimento discrezionale del giudice di merito di separazione delle cause avrebbe, a parer e dell’Avv. COGNOME viziato l’intero procedimento con conseguente nullità dello
stesso in quanto il giudice istruttore aveva già ritenuto ricevibile quella che, per l’istante, era un’inammissibile eccezione.
Secondo il ricorrente, in presenza di una ‘questione liquida’ tale da definire l’intero giudizio separare le cause sarebbe un atto nullo e in violazione di diritti fondamentali che inficerebbe l’intero processo.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha anche di recente ribadito che nel giudizio per il conseguimento di compensi per prestazioni professionali rese in ambito stragiudiziale e in procedimenti amministrativi e penali, è applicabile non il rito speciale della liquidazione dei compensi di avvocato, ma il rito ordinario di cognizione ovvero, in alternativa, il procedimento sommario di cognizione ex art. 702-bis c.p.c. innanzi al tribunale in composizione monocratica, non rientrando la controversia nell’ambito previsionale dell’art. 14 del d.lgs. n. 150 del 2011, che contempla – in virtù del richiamo all’art. 28 della l. n. 794 del 1942 – il procedimento sommario di cognizione per i soli giudizi concernenti la liquidazione di compensi per prestazioni giudiziali rese in materia civile (cfr. Cass. n. 19228/2024, e nello stesso senso Cass. S.U. n. 4485/2018).
L’impossibilità di sottoporre il procedimento di liquidazione dei compensi per prestazioni penali al rito sommario speciale di cui al citato art. 14 impone, ove si ritenga impossibile la trattazione congiunta con le forme del sommario ordinario anche della domanda diversa da quella afferente alle prestazioni giudiziali civili, la separazione della causa, nella specie per prestazioni rese in sede penale, affinché sia trattata secondo le regole procedurali prescritte per tale domanda.
Il secondo motivo di ricorso denuncia la nullità del procedimento e dell’ordinanza decisoria in relazione all’art. 360, co. 1, n. 4, c.p.c. per non aver concesso i termini a difesa benché richiesti rinviando subito la causa per la decisione ex artt. 156 e 161 c.p.c., 24 e 121 Cost., 170, co. 3 e 702, co. 5 c.p.c., 14 D. Lgs. n. 150/2011. In particolare, il giudice avrebbe errato nel separare le cause in quanto avrebbe dovuto concedere un termine per consentire l’esercizio del diritto di difesa e l’esplicitazione del più ampio contraddittorio in tema e/o per deferire giuramento decisorio.
Secondo il ricorrente, la mancata concessione dei termini per difendersi, ritenendo fondata l’eccezione di prescrizione presuntiva, determinerebbe la nullità dell’intero procedimento.
Il motivo è inammissibile in quanto omette di riferire se e quando il ricorrente abbia richiesto effettivamente la concessione di un termine a difesa (e ciò anche a tacere del fatto che l’art. 702 ter c.p.c., applicabile per effetto del richiamo alle norme del procedimento sommario codicistico operato dal D. Lgs. n. 150/2011, non prevede che le parti possano fruire di termini per l’integrazione dei propri scritti difensivi).
Il terzo motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione degli artt. 6 e 13 Convenzione di Roma (processo non equo e non effettivo), nonché dell’art. 47 Carta di Nizza e la irragionevolezza del giuramento decisorio o suppletorio e del sistema delle prove dovendo il giudice civile avere lo stesso potere di quello penale in termini di fonti di prova.
Secondo il ricorrente, il giuramento decisorio non sarebbe più una prova legale sufficiente in quanto non ci sarebbe modo nella maggioranza dei casi di fornire la prova contraria.
Il motivo è manifestamente infondato.
Quanto alla critica alla disciplina dettata in materia di prescrizione presuntiva, la stessa si risolve in una reiterazione delle contestazioni in ordine alla compatibilità dell’istituto con i principi costituzionali, critiche alle quali la decisione gravata ha puntualmente replicato facendo richiamo alle argomentazioni spese dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 57 del 1962, che ha chiarito come le norme in esame siano pienamente compatibili con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, essendo la presunzione di estinzione dell’obbligazione, correlata all’adempimento della prestazione, suscettibile di essere vinta da parte del creditore, sia pure con una serie di limitazioni, che appaiono giustificate dalla peculiarità della situazione e che risultano evidentemente rimesse, quanto alla loro disciplina, alla discrezionalità del legislatore.
Appare perciò evidente come la contestazione della legittimità della disciplina in esame investa profili già delibati dal giudice delle leggi e che pertanto debba ritenersi manifestamente infondato il dubbio che il motivo di ricorso pone quanto alla compatibilità dell’istituto della prescrizione presuntiva con le norme costituzionali.
Quanto poi all’affidabilità del giuramento decisorio, quale prova legale e strumento di decisione delle controversie civili, va ricordato che questa Corte ha già affermato che sono manifestamente infondati i dubbi di costituzionalità, avendo
precisato che le sentenze nn. 105 e 334 del 1996 rese dalla Corte Costituzionale, nel dichiarare la parziale incostituzionalità della norma, sia in relazione ai riferimenti religiosi della formula di ammonimento, sia in relazione alla mancata previsione della possibilità di conoscenza da parte del giudice civile del reato di falso giuramento, hanno in ogni caso ribadito la validità del giuramento come mezzo di prova nel nostro ordinamento (Cass. n. 3821/2000; Cass. n. 3495/1981).
Infine, è del tutto priva di fondamento la deduzione circa la pretesa irragionevolezza della differente disciplina delle prove del processo civile rispetto a quella dettata nel processo penale, avendo le Sezioni Unite ribadito la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 395, n. 2, cod. proc. civ., sollevata in riferimento all’art. 3 Costituzione per diversità di trattamento rispetto alla difforme soluzione apprestata, per l’identica situazione, dall’art. 630, lett. c), cod. proc. pen., precisando che, per quanto rileva in questa sede, le differenze strutturali, funzionali e teleologiche del processo penale rispetto a quello civile pienamente giustificano, salvo il rispetto dei diritti inviolabili dell’uomo, una diversa modulazione, da parte del legislatore, nell’esercizio della sua discrezionale potestà di valutazione delle difformi esigenze a tali differenze necessariamente connesse, nella disciplina di istituti pur di analoga natura (Cass. S.U. n. 9098/2005).
6. Il quarto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art.115 c.p.c. in relazione all’art. 2959 c.c. per aver il Tribunale escluso che la non contestazione non equivale ad ammissione rilevante
ex art. 2959 c.c. In particolare, il giudice di merito avrebbe errato nel ritenere che la mancata contestazione dell’inadempimento del debito non costituisce ammissione indiretta o implicita della mancata estinzione dell’obbligazione, ostativa all’eccezione di prescrizione presuntiva.
Secondo il ricorrente, l’inadempimento del debito e quindi il in quanto, in assenza di una contestazione specifica dei fatti, l’eccezione di prescrizione presuntiva, peraltro genericamente formulata, non sarebbe idonea a contestare l’allegazione fattuale.
mancato pagamento dovrebbe ritenersi un fatto pacifico Il motivo è inammissibile ex art. 360 bis, n. 1, c.p.c., avendo il Tribunale deciso in conformità della giurisprudenza di questa Corte, senza che il motivo offra elementi per indurre ad una rivalutazione del proprio orientamento.
Infatti, il presupposto necessario ai fini della decorrenza del termine triennale di cui all’art. 2956, comma 2, c.c., relativo al diritto al compenso dei professionisti, è l’avvenuto adempimento dell’obbligazione il quale implica il riconoscimento dell’esistenza del credito nella stessa misura richiesta dal creditore; tale norma, pertanto, non opera nel caso in cui le difese del debitore presuppongano il mancato pagamento del credito o neghino la sua stessa esistenza (cfr. da ultimo Cass. n. 15665/2023). Ne consegue che non può essere accolta l’eccezione di prescrizione presuntiva nel caso in cui il cliente contesti le somme richieste, tenendo perciò una condotta incompatibile con il loro riconoscimento e saldo.
Pertanto, è stato condivisibilmente affermato che la mancata contestazione dell’inadempimento del debito non costituisce
ammissione indiretta o implicita della mancata estinzione dell’obbligazione, ostativa all’eccezione di prescrizione presuntiva, atteso che l’ammissione di cui all’art. 2959 c.c. non può risiedere nella nuda non contestazione, non essendo ipotizzabile una sorta di prevalenza del principio di non contestazione ex art. 115 c.p.c. sulla presunzione legale di pagamento sottesa all’istituto della prescrizione presuntiva. (Cass. n. 29875/2019).
Proprio il silenzio serbato sull’ an e sul quantum della pretesa creditoria è la circostanza che legittima e rende validamente proposta l’eccezione di prescrizione presuntiva che invoca appunto che il decorso del tempo debba far ritenere avvenuto l’adempimento della prestazione richiesta.
Il quinto motivo di ricorso denuncia, ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. in relazione alla mancata allegazione compiuta della prescrizione presuntiva in relazione agli artt. 2957 c.c. e 112 c.p.c. per aver il giudice di merito ritenuto sufficiente, nella formulazione dell’eccezione di prescrizione presuntiva, l’allegazione del relativo dies a quo .
Secondo il ricorrente, l’eccezione per come formulata violerebbe il suo diritto di difesa che, per la sua genericità, non potrebbe controbatterne l’infondatezza. Sarebbe onere del debitore allegare il dies a quo e il dies ad quem degli elementi costitutivi dell’eccezione in quanto si tratterebbe di una questione lasciata alla libera disponibilità della parte e non potrebbe essere supplita dal giudice.
Anche tale motivo è inammissibile ex art. 360 bis, n. 1, c.p.c.
Pacifico e non oggetto di censura da parte del ricorrente, è che la convenuta abbia sollevato la specifica eccezione di prescrizione presuntiva, ma la critica si appunta sul fatto che non sarebbe stato indicato il dies a quo della sua maturazione, in relazione ai diversi giudizi dei quali si controverteva.
Tuttavia, questa Corte ha ripetutamente affermato che l’eccezione di prescrizione è validamente proposta quando la parte ne abbia allegato il fatto costitutivo, ossia l’inerzia del titolare, senza che rilevi l’erronea individuazione del termine applicabile, ovvero del momento iniziale o finale di esso, trattandosi di questione di diritto sulla quale il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte (Cass. n. 30303/2021; Cass. n. 1980/2022; Cass. n. 15631/2016; Cass. S.U. n. 15895/2019, in motivazione ai paragrafi 6 e 7).
Trattasi di affermazioni che appaiono applicabili anche alla prescrizione presuntiva, e che rendono quindi evidente la manifesta infondatezza della censura de qua.
8. Il sesto motivo di ricorso denuncia la violazione degli artt. 112 e 167 c.p.c. ( error in procedendo et in iudicando ), nonché degli artt. 2954, 2955, 2956, 2957, 2958 e 2959 c.c. in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c. per avere il Tribunale accolto, pur essendo incompleta nella sua formulazione, l’eccezione di prescrizione presuntiva.
In particolare, il giudice di merito avrebbe dovuto valorizzare altri elementi della realtà processuale come la mancata indicazione e allegazione della quietanza.
Secondo il ricorrente, dal contegno omissivo della debitrice emergerebbe l’ammissione/confessione di non aver pagato.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha precisato che le deduzioni con le quali il debitore assume che il debito sia stato pagato o sia comunque estinto non rendono inopponibile l’eccezione di prescrizione presuntiva poiché, lungi dall’essere incompatibili con la presunta estinzione del debito per decorso del termine, sono, invero, adesive e confermative del contenuto sostanziale dell’eccezione stessa (Cass. n. 34710/2024).
Ai fini della validità della formulazione dell’eccezione de qua, essendo l’istituto fondato sul presupposto che in ordine ad alcuni rapporti della vita quotidiana il pagamento di solito avviene senza dilazione e senza rilascio di quietanza scritta, ricollegandosi al decorrere del tempo la presunzione di avvenuto adempimento (Cass. n. 1304/1995; Cass. n. 38591/2021), non è necessario che l’eccezione sia accompagnata anche dall’allegazione delle specifiche modalità con le quali l’adempimento sia avvenuto, essendo stato altresì precisato che la specificità dell’allegazione a conforto dell’eccezione rileva ai diversi fini della specificità della formula del giuramento volto a superare la presunzione (cfr. Cass. n. 27471/2019, per la quale il giuramento decisorio da deferirsi al debitore deve essere formulato in modo chiaro e specifico e deve includere la tesi difensiva sostenuta dal debitore stesso, così che, se il debitore si sia limitato ad eccepire in via generica l’estinzione, senza circostanziare le modalità del pagamento, la formula deve essere, a sua volta generica, mentre solo se sia stato precisamente indicato il modo in cui l’estinzione è avvenuta, detta formula deve aver riguardo alle circostanze del pagamento a pena di inammissibilità del giuramento).
Ne deriva che non rileva ai fini dell’accoglimento dell’eccezione de qua né la mancata specificazione delle modalità di pagamento, né l’assenza di una formale quietanza (la cui produzione peraltro avrebbe determinato il rigetto della domanda, non in applicazione della prescrizione presuntiva, bensì per effetto della prova dell’effettivo pagamento), né infine la circostanza che non vi siano stati strascichi di natura fiscale o disciplinare.
Il settimo motivo di ricorso denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2957 c.c. in relazione all’art. 360, co.1, n. 3, c.p.c. per aver il Tribunale disatteso le allegazioni del ricorrente in ordine al contrasto della disciplina della prescrizione presuntiva con la normativa sovranazionale applicabile in materia. Secondo il ricorrente, in presenza di una disciplina penalizzante come la prescrizione presuntiva, non presente negli altri ordinamenti europei, sarebbe doverosa la rimessione degli atti alla Corte di Giustizia, mediante rinvio pregiudiziale, sulla compatibilità con il diritto dell’Unione a proposito dell’esistenza di discipline variegate circa l’esistenza delle prescrizioni presuntive.
Il motivo è inammissibile, in quanto, oltre ad omettere di richiamare i principi sovranazionali per i quali vi sarebbe contrasto con la normativa nazionale in materia di prescrizione presuntiva, si limita solo a richiamare l’esistenza di diverse soluzioni in altri ordinamenti.
Trattasi però di scelte rimesse alla discrezionalità dei singoli Stati, collegate anche alle tradizioni giuridiche individuali ed alla sensibilità della collettività, che ben legittimano l’adozione di soluzioni differenti.
D’altronde anche la dottrina, che ha avuto modo in maniera sporadica di occuparsi del tema, lungi dal denunciare l’aperto contrasto dell’istituto in esame con le regole del diritto dell’Unione ovvero con i principi della CEDU, ha ben più limitatamente sottolineato come, alla luce delle modifiche che hanno interessato l’esercizio della professione forense (anche in relazione alla normativa antiriciclaggio), sarebbe opportuna una rimeditazione delle scelte a suo tempo fatte da parte del legislatore, ma trattasi di auspici espressi solo de iure condendo , e che non consentono in alcun modo di poter affermare la diretta contrarietà della prescrizione presuntiva con norme sovranazionali.
Va altresì richiamato il principio per cui, in tema di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia UE, non sussiste alcun obbligo del giudice nazionale di ultima istanza di rimettere la questione interpretativa del diritto unionale, ogni volta in cui – vertendosi in ipotesi di “acte clair” – la corretta interpretazione del diritto dell’Unione europea è così ovvia da non lasciare spazio a nessun ragionevole dubbio, nonché nel caso – configurante un “acte éclairé” -nel quale la stessa Corte ha già interpretato la questione in un caso simile, od in materia analoga, in un altro procedimento in uno degli Stati membri. (Cass. Sez. L., 15/12/2022, n. 36776), così come pure nel caso in cui la Corte di cassazione non condivida le tesi difensive della parte, essendo sufficiente che le ragioni del diniego siano espresse ovvero implicite se la questione pregiudiziale è manifestamente inammissibile o manifestamente infondata (Cass. n. 19880/2021).
Il ricorso è rigettato ma nulla deve disporsi quanto alle spese, non avendo l’intimata svolto attività difensiva.
Poiché il ricorso è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto -ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato -Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
PQM
Rigetta il ricorso;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio del 1 luglio 2025