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Prescrizione perequazione pensione: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2369/2025, ha confermato che il diritto a ottenere specifici incrementi sulla pensione, come la perequazione automatica, è soggetto alla prescrizione decennale. Il caso riguardava la richiesta di un pensionato di ricalcolare il proprio assegno in base a un beneficio abolito da decenni. La Corte ha distinto il diritto alla pensione, che è imprescrittibile, dai singoli ratei o maggiorazioni, che si prescrivono se non richiesti entro dieci anni.

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Pubblicato il 8 settembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile

Prescrizione perequazione pensione: la Cassazione chiarisce i termini

Il diritto a richiedere arretrati o adeguamenti sulla propria pensione non è infinito. La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio fondamentale in materia di prescrizione perequazione pensione: le richieste di maggiorazioni, seppur legittime in origine, devono essere presentate entro un termine decennale, altrimenti il diritto si estingue. Questa decisione chiarisce la netta differenza tra il diritto alla pensione in sé, che è irrinunciabile e imprescrittibile, e i singoli diritti patrimoniali che ne derivano.

I fatti di causa

Il caso nasce dalla domanda di una pensionata, titolare di una pensione in regime di pro-rata estero, volta a ottenere la ricostituzione del suo trattamento pensionistico. Nello specifico, la richiesta verteva sull’applicazione di un incremento a cifra fissa previsto da una legge del 1975 (art. 10, L. 160/75). Tuttavia, tale beneficio era stato soppresso da una legge successiva a partire dal 30 aprile 1984. La domanda amministrativa all’ente previdenziale era stata presentata solo nel 2013, quasi trent’anni dopo l’abolizione del beneficio.

Sia il tribunale di primo grado che la Corte d’Appello avevano respinto la domanda, ritenendo il diritto ormai estinto per prescrizione, essendo trascorsi ben più dei dieci anni previsti dalla legge. L’erede della pensionata ha quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il diritto alla perequazione fosse parte integrante del diritto alla pensione e, come tale, imprescrittibile.

La questione della prescrizione e la perequazione della pensione

Il cuore della controversia risiede nella natura del diritto richiesto. Il ricorrente sosteneva che, essendo la perequazione un meccanismo essenziale per mantenere il valore della pensione, dovesse essere considerato un diritto indisponibile e quindi non soggetto a prescrizione, come il diritto alla pensione stesso. L’ente previdenziale, al contrario, ha sempre sostenuto la natura patrimoniale e autonoma dei singoli ratei e delle maggiorazioni, soggetti quindi all’ordinaria prescrizione decennale.

La Corte di Cassazione è stata chiamata a stabilire se il diritto a un vecchio incremento economico, non richiesto per decenni, potesse ancora essere esercitato o se il tempo trascorso ne avesse causato l’estinzione.

Le motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando le sentenze dei gradi precedenti e consolidando il proprio orientamento in materia. Gli Ermellini hanno chiarito che, sebbene il diritto alla pensione sia imprescrittibile, i singoli diritti a percepire gli specifici ratei o le maggiorazioni economiche ad essi collegate sono soggetti alla prescrizione decennale.

La Corte ha specificato che il diritto alla perequazione previsto dalla legge del 1975 è un diritto a contenuto patrimoniale che matura periodicamente. Tale diritto, soppresso nell’aprile del 1984, non può essere riconosciuto se la domanda viene presentata dopo il decorso di dieci anni da quella data. Il principio dell’imprescrittibilità del diritto alla pensione non si estende automaticamente a ogni singola pretesa economica ad esso collegata. L’oggetto della contesa, infatti, non era il diritto a ricevere una pensione, ma il diritto a ottenere specifici incrementi su singoli ratei passati, una pretesa di natura puramente economica e, come tale, soggetta ai normali termini di prescrizione.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza ha importanti implicazioni pratiche. Ribadisce che i pensionati devono agire tempestivamente per rivendicare eventuali arretrati o ricalcoli a cui ritengono di aver diritto. Attendere oltre dieci anni dalla data in cui il diritto poteva essere fatto valere comporta la sua estinzione definitiva. La decisione serve come monito: la distinzione tra lo ‘status’ di pensionato (imprescrittibile) e le singole prestazioni economiche che ne derivano (prescrittibili) è netta. È quindi fondamentale monitorare la propria posizione previdenziale e presentare eventuali domande di adeguamento entro i termini di legge per non perdere diritti economici acquisiti.

Il diritto a un aumento sulla pensione previsto da una vecchia legge si prescrive?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, il diritto a ottenere specifiche maggiorazioni economiche sulla pensione, come gli incrementi per la perequazione, è soggetto alla prescrizione decennale. Se non viene esercitato entro dieci anni dal momento in cui sorge, il diritto si estingue.

Qual è la differenza tra il diritto alla pensione e il diritto ai singoli ratei?
Il diritto alla pensione è il diritto fondamentale e indisponibile a ricevere una prestazione previdenziale, e come tale non si prescrive mai. I singoli ratei, invece, sono le singole prestazioni economiche mensili o gli arretrati specifici; il diritto a riscuoterli si prescrive nel termine di dieci anni.

Cosa succede se si presenta una domanda per un beneficio pensionistico abrogato da più di dieci anni?
La domanda viene rigettata. La Corte ha stabilito che se un beneficio è stato soppresso e la richiesta per ottenerlo viene presentata dopo che sono trascorsi dieci anni dalla data di soppressione (o dal momento in cui poteva essere richiesto), il diritto a tale beneficio è considerato prescritto.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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