Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 32678 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 32678 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 16/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 23727/2023 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE E ASSISTENZA DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato COGNOME che l a rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME con diritto di ricevere le notificazioni presso la PEC dell ‘avvocato COGNOME NOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO BRESCIA n. 165/2023 pubblicata il 19/05/2023. Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 30/10/2024
dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La Corte d’appello di Brescia, con la sentenza n.165/2023 pubblicata il 19 maggio 2023, ha rigettato il gravame proposto dalla Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti (d’ora innanzi: la Cassa) nella controversia con NOME COGNOME.
La controversia ha per oggetto l’accertamento del diritto a percepire la quota retributiva della pensione nella misura risultante dall’applicazione del regime previgente al Regolamento di disciplina del regime previdenziale della Cassa approvato il 14/07/2004, con particolare riferimento alla determinazione della base pensionabile.
Il Tribunale di Brescia accoglieva le domande proposte dal COGNOME.
La Corte d’appello di Brescia ha richiamato i precedenti di questa Corte, sia con riferimento al principio del pro rata ed alle sue implicazioni quanto alla irretroattività dei criteri di calcolo della pensione (Cass. 28253/2018 e Cass. S.U. 18136/2015); sia con riferimento alla applicabilità del termine di prescrizione decennale in luogo di quello quinquennale (Cass. 31527/2022).
Per la cassazione della sentenza della corte territoriale la Cassa ha proposto ricorso, affidato a due motivi. COGNOME resiste con controricorso.
Il consigliere delegato ha proposto la definizione del giudizio ex art.380 bis comma primo cod. proc. civ., ravvisando la manifesta infondatezza dei motivi di ricorso. La Cassa ha chiesto la decisione della causa ex art.380 bis comma secondo cod. proc. civ..
Le parti hanno depositato memorie illustrative.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la Cassa lamenta la violazione dell’art.2 del d.lgs. n. 509/1994, degli artt.1 e 3 comma 12 legge n.335/1995, dell’art.1 comma 763 legge n.296/2006, dell’art.1 comma 488 legge n.147/2013, anche in relazione e combinato disposto all’art.10 comma 87 del Regolamento di disciplina del regime previdenziale approvato con D.m. 14/07/2004, nonché degli artt.2, 3 e 38 Cost., in relazione all’art.360 comma primo n.3 cod. proc. civ.
Con il secondo motivo la Cassa denuncia violazione dell’art. 19 comma 3 legge n.21/1986, dell’art.2948 n.4 cod. civ, dell’art. 47 bis del d.P.R. n. 639/1970, nonché degli artt.3 e 38 Cost., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ. Deduce che la materia delle prestazioni della Cassa dottori commercialisti è disciplinata, quanto alla prescrizione, dalla disposizione speciale dettata dall’art. 19 comma 3 legge n.21/1986, che prevede un termine di prescrizione quinquennale e non decennale. Sostiene, in ogni caso, che la prescrizione breve ex art.2948 n.4 cod. civ. è applicabile anche ai pagamenti che hanno per oggetto somme di denaro né liquide né esigibili.
Il primo motivo è inammissibile ex art.360 bis n.1 cod. proc. civ..
La Corte territoriale ha pronunciato sul gravame proposto dalla Cassa decidendo la questione di diritto della determinazione della quota retributiva della pensione oggetto di causa, oltre che della necessità di rispettare il principio del pro rata per i trattamenti maturati prima del 01/01/2007 in modo conforme alla costante giurisprudenza di questa Corte.
La giurisprudenza di questa Corte è ferma nel ritenere che in subiecta materia la disciplina applicabile sia quella costituita dal regime originario dell’art.3 comma 13 legge n.335/1995, e dunque
che l’autonomia normativa riconosciuta alle Casse previdenziali privatizzate sia soggetta al limite del «rispetto del principio del pro rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti», e non quella applicabile a valle della attenuazione del principio del pro rata per effetto dell’art.1 comma 763 legge n.296/2006 come interpretato dall’art.1 comma 488 legge n.147/2013 (Cass. S.U. 08/09/2015 n. 17742; Cass. Sez. Lav. 03/11/2021 n. 31454).
I suesposti rilievi non sono messi in discussione dalla memoria della ricorrente, che non contiene alcun nuovo elemento di valutazione giuridica in grado di indurre a un ripensamento dell’orientamento di legittimità, ulteriormente confermato anche dopo la proposta di definizione anticipata.
Anche il secondo motivo è inammissibile ex art.360 bis n.1 cod. proc. civ. La corte territoriale ha deciso la questione di diritto in conformità alla costante giurisprudenza di questa Corte, rispetto alla quale nessun elemento di novità risulta prospettato nel motivo medesimo. Le argomentazioni prospettate nel motivo di ricorso sono identiche a quelle già esaminate da questa da questa Corte in altre controversie (Cass. n. 31357/2022, n. 31641/2022, n. 31642/2022, n.449/2023, n.688/2023, n. 4349/2023, n. 4362/2023, n. 4604/2023, n. 6170/2024; da ultimo, Cass. 28/08/2024, n.23257), le cui motivazioni si richiamano in questa sede ai sensi e per gli effetti dell’art.118 disp. att. cod. proc. civ..
Con precipuo riferimento all’art.19 comma 3 legge n.21/1986, è appena il caso di rilevare che la disposizione citata disciplina in termini generali la «prescrizione dei contributi e del diritto alle prestazioni» (così la rubrica), mentre il comma 3 la prescrizione del « diritto alle prestazioni della Cassa».
Nel caso in esame l’obbligazione dedotta in giudizio trova il proprio titolo non nel diritto alla pensione, ma nel diritto alla ripetizione delle somme indebitamente trattenute dalla Cassa,
giusta le disposizioni dettate in via generale dagli artt.2033 e segg.
c.c. Dunque un credito restitutorio, e non un credito da prestazione.
Per tutti questi motivi deve dichiararsi la inammissibilità del ricorso.
Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza, e si liquidano in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Da distrarsi al procuratore che si dichiara antistatario.
Il giudizio viene definito in conformità alla proposta non accettata, ai sensi dell’art.380 bis, ultimo comma, cod. proc. civ.. Deve pertanto applicarsi l’art.96, commi terzo e quarto cod. proc. civ., poiché la prima disposizione prevede una valutazione legale tipica della sussistenza dei presupposti per la condanna al pagamento di una somma equitativamente determinata in favore della Cassa delle Ammende, secondo quanto statuito da questa Corte a Sezioni Unite: «In tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, di cui all’art. 380 bis c.p.c. (come novellato dal d.lgs. n. 149 del 2022), la condanna del ricorrente al pagamento della somma di cui all’art. 96, comma 4, c.p.c. in favore della cassa delle ammende – nel caso in cui egli abbia formulato istanza di decisione (ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 380 bis c.p.c.) e la Corte abbia definito il giudizio in conformità alla proposta – deve essere pronunciata anche qualora nessuno dei soggetti intimati abbia svolto attività difensiva, avendo essa una funzione deterrente e, allo stesso tempo, sanzionatoria rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori». (così Cass. S.U. n. 27195/2023; S.U. n. 27433/2023, Cass. n.27947/2023).
Parte ricorrente va dunque condannata a pagare una somma equitativamente determinata in € 2.500,00 in favore del
contro
ricorrente ed euro 2.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge. Da distrarsi al procuratore che si dichiara antistatario.
Condanna la parte ricorrente a pagare una somma equitativamente determinata in euro 2.500,00 in favore del controricorrente ed euro 2.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 30/10/2024.