Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 7538 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 7538 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/03/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 5823/2024 R.G. proposto da :
NOMECOGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO presso lo studio dell’avv . COGNOME (CODICE_FISCALE, che li rappresenta e difende per procure allegate al ricorso; -ricorrenti-
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELLA SALUTE, MINISTERO DELL ‘ ECONOMIA E DELLE FINANZE, MINISTERO DELL ‘ ISTRUZIONE, DELL ‘ UNIVERSITÀ E DELLA RICERCA, elettivamente domiciliati in Roma, INDIRIZZO
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e difende ex lege ;
-controricorrenti- avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 5318/2023, depositata il 24/07/2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 7 gennaio 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Gli odierni ricorrenti -medici che avevano conseguito la specializzazione tra il 1983 e il 1992 -convennero in giudizio le amministrazioni statali odierne controricorrenti per sentirle condannare alla corresponsione della somma di € 11.103,82 (o, in subordine, € 6.713,94), a titolo di remunerazione per l’attività svolta (secondo la previsione di cui alle direttive 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, successivamente coordinate dalla direttiva 93/16/CEE) ovvero di risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive suddette.
Il Tribunale di Roma rigettò la domanda, accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dalle amministrazioni convenute.
La sentenza fu poi confermata dalla Corte d’appello capitolina, che rigettò anche l’eccezione di giudicato proposta da NOME COGNOME affermatosi destinatario di una precedente sentenza di secondo grado favorevole (la n. 1076 del 2016), assoggettata a ricorso per cassazione ma solo da (o nei confronti di) altre parti titolari di rapporti giuridici scindibili.
Hanno proposto ricorso per cassazione i medici indicati in epigrafe. Le amministrazioni statali hanno depositato controricorso, nel quale hanno invocato la condanna dei ricorrenti ex art. 96 c.p.c.
Parte ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso, NOME COGNOME deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 39 e 112 c.p.c., nonché dell’art. 2909 c.c., in relazione ai nn. 3 e 4 dell’art. 360 c.p.c., per avere la Corte d’appello omesso di dichiarare la litispendenza rispetto al processo deciso dalla Corte d’appello di Roma con la sentenza n. 1076/2016.
Il motivo è inammissibile per violazione del l’art. 366 , primo comma, n. 6, c.p.c.
Nella sentenza in questa sede impugnata, i giudici della Corte d’appello di Roma decisero nel merito la domanda del COGNOME, sul presupposto che non fosse stato documentato , da quest’ultimo, il dedotto giudicato. Nel proprio ricorso per cassazione, NOME COGNOME si limita ad asserire che la sentenza del 2016 ‘ si trova nel fascicolo di parte di secondo grado ‘ (pag. 9) , senza alcuna ulteriore ‘localizzazione’ e senza puntualizzare in quale snodo del giudizio d’appello essa era stata prodotta e con quali deduzioni ed argomentazioni, non essendo neppure specificato se la produzione rivestisse i necessari requisiti, richiesti dall’ art. 124 disp. att. c.p.c. (v. Cass., n. 6868/2022).
In tale situazione non è possibile procedere all’esame della prospettazione del motivo, non risultando dimostrato nemmeno quale fosse stato l’oggetto della dedotta produzione ed ancora prima che cosa si fosse argomentato sulla base di essa. Tale carenza è esiziale sia per la dedotta questione di giudicato, sia per quella della eventuale litispendenza.
Il motivo risulta, al di là della carenza ai sensi dell’art. 366 n. 6 c.p.c. anche del tutto generico.
Merita, peraltro, aggiungere che, qualora la parte avesse effettivamente depositato un documento idoneo a comprovare l’esistenza del precedente giudicato , avrebbe dovuto sottoporre a
revocazione l’affermazione contenuta nella sentenza di secondo grado -che invece la suddetta documentazione negava.
3. Il secondo motivo di ricorso deduce la violazione e falsa applicazione ‘delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento di direttive comunitarie nonché degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE, dell’art. 10 Cost.; del l’art. 19, comma 1, seconda parte, del Trattato sull’Unione Europea; dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, cd. Carta di Nizza (approvata il 7 dicembre 2000); delle Dir. CEE 82/76, 75/363 e 93/16, delle sentenze della Corte di Giustizia Europea 25 febbraio 1999 (procedimento C-131/97) e del 3 ottobre 2000; Violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU; degli artt. 1, 10, 11 e 12 delle Preleggi c.c. e degli artt. 2934, 2935 e 2938 c.c., dell’art. 6 del Decr eto Legislativo 8 agosto 1991, n. 257 (…), nonché dell’art. 11 della Legge n. 370/99 in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.’, per aver fissato il dies a quo della prescrizione nella data di entrata in vigore della l. n. 370 del 1999 (27/10/1999), vale a dire nel momento in cui l’inadempimento dello Stato italiano all’obbligo di attuazione della fonte comunitaria poteva essere apprezzato come definitivo. A dire dei ricorrenti, ‘solo dal 17 maggio 2011 (sentenza 10813/2011) lo Stato, attraverso l’elaborazi one giurisprudenziale, ha messo a disposizione dei soggetti lesi dal suo inadempimento un sufficientemente certo e perciò effettivo rimedio giurisdizionale e può, quindi, iniziare a decorrere la prescrizione decennale’ (pag. 17 del ricorso per cassazione).
I ricorrenti hanno sollecitato, inoltre, il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, cui dovrebbe essere posto il quesito ‘se alla stregua del diritto dell’Unione, un rimedio giurisdizionale possa considerarsi effettivo prima che sia definita la natura giuridica dell’azione esperibile, con le conseguenti ricadute sui termini di prescrizione, prima che sia identificato il soggetto legittimato passivamente e
prima che sia individuata la giurisdizione interna competente a conoscere la domanda’ (pag. 21 del ricorso per cassazione).
4. Il motivo è inammissibile ex art. 360bis , n. 1, c.p.c., in ossequio alla consolidata giurisprudenza di questa Corte (inaugurata dalle sentenze ‘gemelle’ nn. 10813, 10814, 10815 e 10816 del 2011) , alla cui stregua ‘ il diritto al risarcimento del danno da tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno – realizzata solo con il d.lgs. n. 257 del 1991 – delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari, si prescrive, per coloro i quali avrebbero potuto fruire del compenso nel periodo compreso tra il 1° gennaio 1983 e la conclusione dell’anno accademico 1990-1991, nel termine decennale decorrente dalla data di entrata in vigore (27 ottobre 1999) della legge n. 370 del 1999, il cui art. 11 ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore di quanti, tra costoro, risultavano beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo ‘ ( Cass., n. 1589/2020; Cass., n. 16452/2019; Cass., n. 13758/2018; Cass., n. 23199/2016; Cass., n. 6606/2014). Nella motivazione della recente Cass., n. 29334/2024 si legge: ‘ né potrebbe sostenersi che il leading case del 2011 abbia preso in considerazione un termine prudenziale in ottica di conformità comunitaria, in ragione di quanto allora esaminabile, e tale da essere comunque sufficiente a respingere, in quel tempo, l’eccezione di prescrizione, e che, invece, solo successivamente al 1999 la giurisprudenza di questa Corte ha escluso quelle incertezze inibenti la decorrenza della prescrizione in pregiudizio del danneggiato, relative ad aspetti quali: l’individuazione della giurisdizione, se ordinaria o amministrativa; la natura dell’azione esperibile, se contrattuale o aquiliana; il termine di prescrizione; l’individuazione del legittimato passivo della domanda, se solo lo Stato o meno. Detti argomenti ─ come già questa Corte ha più volte avuto modo di rimarcare (v. tra le tante Cass. 31/03/2021, n. 8843)
─ sono del tutto infondati e inidonei a indurre a un ripensamento della stabile nomofilachia richiamata e, infatti, per un verso confermata in tempi ben susseguenti al 2011, per altro verso tale da non potersi più riferire solo al rigetto dell’eccezione di prescrizione allora effettuato secondo quanto obiettato dal patrocinio oggi ricorrente. È appena il caso di osservare che la questione della giurisdizione non incide affatto sulla consapevolezza della cristallizzazione della lesione e quindi sulla possibilità, per il danneggiato, di interrompere la sua inerzia e il decorso dell’estinzione prescrizionale che, come noto, non ha bisogno di iniziative giurisdizionali ma può ben essere stragiudiziale. Per lo stesso motivo non ha alcun rilievo l’individuazione della natura dell’azione esperibile mentre la più ampia durata decennale della stessa, quale ricostruita, fa sì che la sua determinazione non abbia avuto alcun riflesso sulla maturazione della stessa. Quanto alla legittimazione passiva ─ premesso che è dell o Stato in persona della Presidenza del Consiglio dei ministri, mentre l’evocazione in giudizio di un diverso organo statuale, qui in ogni caso contestuale alla prima, non si traduce nella mancata instaurazione del rapporto processuale, costituendo una mera irregolarità, sanabile ai sensi dell’art. 4 della legge n. 260 del 1958 (Cass. Sez. U. 27/11/2018, n. 30649), sicché solo se diretta nei confronti della sola Università l’interruzione della prescrizione risulta inidonea (Cass., 25/07/2019, n. 20099) ─ ne lla fattispecie non emerge, né è dedotta, un’eventuale attività interruttiva nei confronti dell’ente universitario o altri soggetti, fermo restando che dalla stessa normativa del 1999 doveva ragionevolmente desumersi che il destinatario del credito era individuabile nell’amministrazione statale e non nell’autonomia universitaria ‘.
Quanto alla richiesta di rimessione della questione pregiudiziale alla Corte di giustizia, occorre ribadire che, ‘ in tema di risarcimento del danno derivante da tardiva ed incompleta attuazione delle
direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE concernenti il compenso spettante ai medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari, è manifestamente infondata la richiesta di rimessione alla Corte di giustizia dell’Unione europea della questione se il termine di prescrizione del diritto al risarcimento debba decorrere non dall’entrata in vigore della l. n. 370 del 1999 (vale a dire, dal 19 ottobre 1999), ma dalla successiva data in cui la giurisprudenza di legittimità ha individuato con certezza il soggetto passivamente legittimato ed il giudice interno munito di giurisdizione in ordine alla relativa domanda; infatti, anche prima di tale data non vi erano dubbi sulla legittimazione passiva dello Stato e, comunque, qualsiasi controversia in materia di giurisdizione poteva essere risolta mediante lo strumento del regolamento di giurisdizione ‘ (Cass., n. 39421/2021); e ancora, che ‘l ‘impossibilità di far valere il diritto alla quale l’art. 2935 c.c. attribuisce la rilevanza di fatto impeditivo della decorrenza della prescrizione – è solo quella che deriva da cause giuridiche che ostacolino l’esercizio del diritto stesso, essendo irrilevanti le incertezze giurisprudenziali circa le modalità di esercizio o la qualificazione dell’azione, le quali non precludono l’esercizio immediato del diritto, ma rappresentano un mero impedimento di fatto (nella specie, la S.C. ha escluso che, ai fini della decorrenza del termine decennale di prescrizione dell’azione di risarcimento del danno derivante da tardiva ed incompleta attuazione delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE concernenti il compenso spettante ai medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari, assumano rilievo le incertezze giurisprudenziali in ordine al soggetto passivamente legittimato, alla natura della responsabilità dello Stato ed al giudice interno munito di giurisdizione)’ (Cass., n. 13343/2022). Si legge ancora, nella motivazione della già citata Cass., n. 29334/2024, che ‘ non solo a partire dal 27 ottobre 1999 nessuna norma dell’ordinament o interno impediva agli odierni ricorrenti di promuovere un giudizio per domandare il risarcimento
del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie; deve ora aggiungersi che nessun dubbio poteva sussistere su quale fosse il soggetto tenuto a rispondere di tale danno (lo Stato), e che qualsiasi eventuale incertezza circa l’individuazione del g iudice munito di giurisdizione a conoscere della relativa domanda non poteva impedire il decorso della prescrizione, dal momento che qualsiasi eventuale errore poteva essere rimediato mediante lo strumento del regolamento di giurisdizione ‘.
Resta solo da aggiungere che la fissazione del dies a quo al 27 ottobre 1999 è stata confermata anche dalle Sezioni unite di questa Corte nella sentenza n. 17619 del 2022, ove anche si è puntualizzato che ‘ neppure alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia che si è occupata del dies a quo della prescrizione in relazione alla posizione dei medici specializzandi, ed in particolare dalle sentenze CGUE, 19 maggio 2011, C-452/09, Iaia e CGUE, 24 marzo 2009, C445/06, NOME COGNOME, emerge un potenziale contrasto tra la soluzione adottata e il principio di effettività tutelato dal diritto europeo, in quanto essa appare ampiamente rispettosa del richiamo a termini di prescrizione “ragionevoli”, mediante i quali sia garantita l’adeguatezza dei mezzi di tutela a fronte di un’azione giurisdizionale proposta da un singolo per ottenere la tutela dei diritti conferiti da una direttiva comunitaria (…)’.
Conclusivamente, il ricorso dev’essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, in applicazione dell’art. 4, secondo comma, d.m. n. 55/2014 (a mente del quale ‘quando in una causa l’avvocato assiste più soggetti aventi la stessa posizione processuale, il compenso unico può essere aumentato per ogni soggetto oltre il primo nella misura del 30 per cento, fino a un massimo di dieci soggetti, e del 10 per cento per ogni soggetto oltre i primi dieci, fino a un massimo di trenta’). Pertanto, prendendo come riferimento lo scaglione di valore da € 52.000,01 a € 260.000,00, e individuando
quale parametro di riferimento l’importo minimo di € 2.940,00 (tenuto conto che l’Avvocatura dello Stato non ha depositato memoria), si dovranno applicare dieci incrementi del 30% e undici ulteriori incrementi del 10% (essendo i ricorrenti complessivamente ventidue ), così giungendo a un totale di € 14. 994,00.
7. Sussistono i presupposti per la condanna dei ricorrenti ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c., rispetto ai quali si può richiamare testualmente la motivazione resa, al riguardo, da Cass., n. 18394/2024 (relativa a un ricorso promosso per gli uffici del medesimo procuratore, e vertente su identico motivo relativo alla prescrizione), alla cui stregua, ‘ al momento della proposizione del giudizio di legittimità (2022) questa Corte da 11 anni, nella sua massima espressione (le Sezioni Unite) veniva ripetendo i princìpi cui puntualmente si attenne la sentenza qui impugnata. Non sarà superfluo aggiungere che il difensore degli odierni ricorrenti, al momento in cui propose il presente ricorso, era già risultato soccombente in ricorsi proposti in fattispecie identiche e fondati su motivi analoghi, in ben quarantacinque giudizi. Il ricorso fu dunque proposto con evidente colpa grave a fronte dell’art. 360 -bis n. 1 c.p.c., se non con mala fede, e ciò giustifica l’accoglimento della domanda di condanna ex art. 96, terzo comma, c.p.c. ‘. L’importo del risarcimento si stima ex art. 1226 c.c. in € 7.000,00, approssimativamente pari alla metà dell’importo liquidato a titolo di spese di soccombenza.
A tale ultima condanna consegue quella ex art. 96, quarto comma, c.p.c. (ad un importo che si quantifica in € 2.500,00), essendo stato instaurato il presente processo di legittimità dopo il 28 febbraio 2023 (data di entrata in vigore del comma in discorso, inserito dall’art. 3, comma 6, d.lgs. n. 149/2022).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese processuali in favore delle controricorrenti, che si liquidano in € 14.994,00, oltre alle spese prenotate a debito;
condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore delle controricorrenti , della somma di € 7.000,00 ex art. 96, terzo comma, c.p.c.;
condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della Cassa delle ammende, di € 2.500,00.
Ai sensi dell’art. 13 , comma 1quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento al competente ufficio di merito, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 gennaio 2025.