Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 18536 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 18536 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 07/07/2025
Oggetto
Responsabilità civile p.a. -Mancata attuazione direttive comunitarie -Medici specializzandi
NOME COGNOME
Presidente –
Oggetto
NOME COGNOME
Consigliere –
R.G.N. 9934/2024
NOME COGNOME
Consigliere Rel. –
NOME COGNOME
Consigliere –
COGNOME
NOME COGNOME
Consigliere –
CC – 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 9934/2024 R.G. proposto da COGNOME NOME COGNOME rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME domiciliato digitalmente ex lege ;
-ricorrente –
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Ministero dell’Economia e delle Finanze;
-intimati – nonché sul ricorso successivamente proposto da
NOME COGNOME NOME e COGNOME NOME, n.q. di eredi del
dott. NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME; COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME GiovanniCOGNOME NOMECOGNOME NOME e COGNOME NOME, n.q. di eredi del dott. NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME PieroCOGNOME COGNOME FabrizioCOGNOME NOMECOGNOME NOME; COGNOME NOMECOGNOME FrancoCOGNOME NOMECOGNOME Dario; tutti rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME domiciliati digitalmente ex lege ;
-ricorrenti –
contro
Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero della Salute, Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e Ministero dell’Economia e delle Finanze;
-intimati – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma n. 8409/2023, depositata il 29 dicembre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Numerosi medici o loro aventi causa, tra i quali gli odierni ricorrenti o loro danti causa, convennero in giudizio davanti al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei ministri, il M.I.U.R., il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendone la condanna, in solido, al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione delle direttive europee 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, in tema di adeguata retribuzione spettante per la frequenza di corsi di specializzazione iniziati in anni antecedenti all’anno accademico 1991/92.
Con sentenza n. 10165 del 2019 il Tribunale rigettò le domande,
ritenendo prescritte la pretese creditorie.
Con la sentenza in epigrafe la Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame interposto tra gli altri dagli odierni ricorrenti, ritenendo che correttamente il primo giudice avesse affermato l’intervenuta prescrizione del diritto azionato .
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto separati ricorsi, entrambi affidati ad un solo motivo:
─ NOME COGNOME per ministero degli Avv.ti NOME NOME COGNOME
─ NOME COGNOME e gli altri medici, o loro eredi, indicati in epigrafe, difesi dall’Avv. COGNOME
Le Amministrazioni intimate sono rimaste tali.
In data 9 gennaio 2025 il Consigliere delegato ha formulato proposta di definizione anticipata con pronuncia di inammissibilità, ai sensi dell’art. 380 -bis c.p.c., comunicata in data 15 gennaio 2025 ai difensori delle parti, sulla base della seguente motivazione:
« rilevato che:
con la sentenza impugnata la Corte di merito ha confermato il rigetto, per intervenuta prescrizione dei diritti azionati, delle domande di coloro tra gli odierni ricorrenti medici specializzati che, iscritti ai corsi di specializzazione prima dell’a.a. 1991/1992, avevano lamentato di non avere percepito alcuna remunerazione e avevano chiesto la condanna, in solido, delle Amministrazioni resistenti, al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione delle direttive europee 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, in tema di adeguata retribuzione spettante per la frequenza di corsi di specializzazione;
considerato che:
l’unico motivo del ricorso principale (Avv.ti COGNOME e l’unico motivo del ricorso successivo (Avv. COGNOME investono la sentenza impugnata, sotto vari connessi e convergenti profili, nella parte in cui
ha ritenuto che il dies a quo del termine decennale di prescrizione decorre dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della legge 19 ottobre 1999, n. 370;
tali motivi si appalesano inammissibili ex art. 360bis n. 1 cod. proc. civ.;
la Corte di merito ha, infatti, deciso tale questione in modo conforme alla più che consolidata giurisprudenza di questa Corte e l’esame dei motivi ─ tutti sovrapponibili ai vari profili di censura già reiteratamente esaminati e confutati dalla gran mole di pronunce già intervenuta in argomento ─ non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa (v. e pluribus Cass. nn. 10813, 10814, 10815, 10816 del 2011; Cass. 20/03/2014, n. 6606; Cass. 15/11/2016, n. 23199: indirizzo sempre confermato, da ormai innumerevoli successivi arresti, come, ad esempio, tra i più recenti, Cass. Sez. U. n. 30649 del 2018; Id. n. 18640 del 2022; Cass. nn. 32957-32960 del 2022; n. 29132 del 2022; n. 8096 del 2022; n. 39421 del 2021; n. 1589 del 2020; n. 18961 del 2020; n. 14112 del 2020; n. 16452 del 2019; n. 4581 del 2022) ».
In data 21 febbraio 2025 i difensori del ricorrente principale, NOME COGNOME hanno depositato istanza per la decisione del ricorso.
È stata dunque fissata, per entrambi i ricorsi, la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 -bis.1 cod. proc. civ..
Non sono state depositate conclusioni dal Pubblico Ministero.
Tutti i ricorrenti hanno depositato memori e, quelli difesi dall’Avv. COGNOME solo per evidenziare che non hanno presentato istanza per la decisione del ricorso e per chiedere, di conseguenza, la definizione del giudizio nei loro confronti con declaratoria di estinzione del giudizio con compensazione delle spese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La sentenza impugnata è stata resa anche nei confronti di altri
dirigenti medici nei cui confronti il ricorso non è stato notificato.
Tuttavia, trattandosi di litisconsorti facoltativi ed essendo applicabile, in conseguenza, l’art. 332 cod. proc. civ., non occorre far luogo all’ordine di notificazione dell’impugnazione ai sensi di tale norma, essendo ormai l’impugnazione per essi preclusa.
L’istanza di decisione è stata presentata, come detto, dai soli difensori di NOME COGNOME
Essa non produce alcun effetto nei confronti degli altri ricorrenti, che non hanno proposto analoga istanza, trattandosi di litisconsorti facoltativi la cui posizione resta processualmente distinta sebbene trattata in unico contesto procedimentale ai sensi dell’art. 335 cod. civ..
Per essi, dunque, occorre provvedere, ai sensi dell’art. 391 c.p.c., alla declaratoria di estinzione del giudizio, come previsto dal secondo comma dell’art. 380 -bis c.p.c..
Nulla va disposto in ordine alle spese, non avendo gli intimati svolto difese nel giudizio di cassazione.
Deve escludersi possa provvedersi al raddoppio del contributo unificato atteso che tale misura si applica ai soli casi -tipici -del rigetto dell’impugnazione o della sua declaratoria d’inammissibilità o improcedibilità (Cass. n. 6888 del 2015) e, trattandosi di misura eccezionale, lato sensu sanzionatoria, essa è di stretta interpretazione (Cass. n. 19562 del 2015) e, come tale, non suscettibile di interpretazione estensiva o analogica.
Procedendo, dunque, allo scrutinio dell’unico motivo del ricorso proposto dal COGNOME va detto che, con esso, questi denuncia « violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno da omesso e/o tardivo e/o parziale recepimento di direttive comunitarie oltreché degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE, degli artt. 10 Cost., 1, 10, 11, 12 delle Preleggi, degli artt. 2934, 2935, 2938 c.c. , dell’art. 6 d.lgs. 8.8.1991 n. 257 e
dell’art. 11 L. 370/199 9».
Lamenta che la motivazione del Giudice di appello, secondo cui il termine prescrizionale decorrerebbe dal 27/10/1999, ovvero dalla data di entrata in vigore della legge n. 370 del 1999, sia illogica e manifestamente infondata, oltreché in contrasto con i principi di certezza del diritto e in violazione dei principi sanciti dagli artt. 2934 e 2935 cod. civ., in quanto il termine per far valere il diritto risarcitorio oggetto del presente giudizio non poteva dirsi spirato a quella data.
Ripercorse le pronunce in materia della giurisprudenza europea e nazionale e gli interventi del legislatore ed evidenziato che la certezza della violazione per omesso recepimento è provata dalla sentenza di condanna della Corte di Giustizia (CGUE 07/07/1987, causa C-49/86, COGNOME ) e dal ‘ ravvedimento operoso ‘ promesso dal legislatore con d.lgs. n. 368 del 1999 ma attuato solo con il d.P.C.M. 7 marzo 2007, sostiene che il vantato diritto risarcitorio non si è prescritto sia per chi ha frequentato una scuola di specializzazione tra il 1978 e il 1993 (senza ricevere alcun compenso), sia per chi si è iscritto tra il 1994 e il 2006 (ricevendo una borsa di studio parziale) in quanto nei casi sopra indicati lo Stato italiano non ha adempiuto all’obbligo di recepire le direttive comunitarie, configurando detto comportamento un illecito permanente.
Richiama la sentenza COGNOME della Corte di Giustizia Europea (Corte giustizia 25/07/1991, causa C-208/90, COGNOME ), secondo cui la prescrizione non può decorrere finché una direttiva non è stata correttamente trasposta, e la sentenza COGNOME (Corte giustizia 19/05/2011, causa C-452/09, Iaia ) che, nel richiamare la sentenza COGNOME , ha dichiarato compatibile con il diritto comunitario, nell’interesse della certezza del diritto, la fissazione di termini di ricorso interni ragionevoli a pena di decadenza, ma solo nella misura in cui il termine non sia tale da rendere praticamente impossibile o
eccessivamente difficile l’esercizio del diritto .
Rileva che la tardiva e incompleta trasposizione delle direttive ha generato uno stato di incertezza per i medici, impedendo loro di esercitare tempestivamente i propri diritti e che pertanto ─ diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di merito ─ la prescrizione non può decorrere fino alla corretta trasposizione delle direttive.
Cita la sentenza n. 696/08 del 4/7/07-7/6/2008 della Corte di appello di Genova, che ha ritenuto come in assenza di una norma giuridica che riconosca in maniera inequivoca il diritto all’adeguata remunerazione dei medici specializzandi non possa decorrere il termine di prescrizione.
Osserva che, anche alla luce della sentenza della Corte di giustizia 03/03/2020, in causa C-590/20, la legge n. 370 del 1999 non può essere considerata ‘ norma nazionale di trasposizione ‘, con l’implicazione che, per il personale medico iscritto ai corsi di specializzazione ante 1993, il relativo termine di prescrizione non è incominciato a decorrere, per omessa attuazione, da parte dello Stato Italiano, della citata normativa comunitaria.
Chiede, in subordine, sia disposto il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia per chiarire il dies a quo della prescrizione, considerando l’incertezza giuridica derivante dalla mancata trasposizione delle direttive.
Il motivo è inammissibile, ai sensi dell’art. 360bis , n. 1, cod. proc. civ., dovendosi pienamene condividere la proposta di definizione anticipata in tal senso formulata dal Consigliere delegato.
Il motivo prospetta, infatti, una questione di diritto (quella della decorrenza della prescrizione del credito pararisarcitorio derivante dalla tardiva e incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari) già
da oltre un decennio risolta da questa Corte con principi fermi e costantemente ribaditi in ormai innumerevoli precedenti.
La Corte territoriale ha invero motivato sulla ragione assorbente richiamandosi a tale consolidato indirizzo con cui è stato chiarito in modo univoco e ripetuto che tale diritto si prescrive nel termine decennale decorrente dalla data di entrata in vigore (27 ottobre 1999) della legge 19 ottobre 1999, n. 370, il cui art. 11 ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore di quanti, tra costoro, risultavano beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo, rendendo definitivo l’inadempimento soggettivo residuo (cfr. Cass. 17/05/2011, nn. 10813, 10814, 10815 e 10816, Cass., 31/08/2011, n. 17868, 20/03/2014, n. 6606, Cass., 15/11/2016, n. 23199; indirizzo sempre confermato, da ormai innumerevoli successivi arresti, come, ad esempio, per segnalarne solo alcuni tra i più recenti, Cass. Sez. U. n. 30649 del 2018; Sez. U. n. 17619 del 2022; Sez. U. n. 18640 del 2022; Cass. nn. 32957-32960 del 2022; n. 29132 del 2022; n. 8096 del 2022; n. 39421 del 2021; n. 1589 del 2020; n. 18961 del 2020; n. 14112 del 2020; n. 16452 del 2019; n. 13758 del 2018).
Tale indirizzo, giova rammentare, si è consolidato sulla base del rilievo secondo il quale « a seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257 -è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1° gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991. La lacuna è stata parzialmente colmata con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice
amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa Europea. Nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11 ».
Né potrebbe sostenersi che il leading case del 2011 abbia preso in considerazione un termine prudenziale in ottica di conformità comunitaria, in ragione di quanto allora esaminabile, e tale da essere comunque sufficiente a respingere, in quel tempo, l’eccezione di prescrizione, e che, invece, solo successivamente al 1999 la giurisprudenza di questa Corte ha escluso quelle incertezze inibenti la decorrenza della prescrizione in pregiudizio del danneggiato, relative ad aspetti quali: l’individuazione della giurisdizione, se ordinaria o amministrativa; la natura dell’azione esperibile, se contrattuale o aquiliana; il termine di prescrizione ; l’individuazione del legittimato passivo della domanda, se solo lo Stato o meno.
Detti argomenti ─ come già questa Corte ha più volte avuto modo di rimarcare ─ sono del tutto infondati e inidonei a indurre a un ripensamento della stabile nomofilachia richiamata e, infatti, per un verso confermata in tempi ben susseguenti al 2011, per altro verso tale da non potersi più riferire solo al rigetto dell’eccezione di prescrizione allora effettuato.
È appena il caso di osservare che la questione della giurisdizione non incide affatto sulla consapevolezza della cristallizzazione della lesione e quindi sulla possibilità, per il danneggiato, di interrompere la sua inerzia e il decorso dell’estinzione prescrizionale che, come noto, non ha bisogno di iniziative giurisdizionali ma può ben essere stragiudiziale.
Per lo stesso motivo non ha alcun rilievo l’individuazione della
natura dell’azione esperibile mentre la più ampia durata decennale della stessa, quale ricostruita, fa sì che la sua determinazione non abbia avuto alcun riflesso sulla maturazione della stessa.
Quanto alla legittimazione passiva ─ premesso che è dello Stato in persona della Presidenza del consiglio dei Ministri, mentre l’evocazione in giudizio di un diverso organo statuale, qui in ogni caso contestuale alla prima, non si traduce nella mancata instaurazione del rapporto processuale, costituendo una mera irregolarità, sanabile ai sensi dell’art. 4 della legge n. 260 del 1958 (Cass., Sez. U., 27/11/2018, n. 30649), sicché solo se diretta nei confronti della sola Università l’interruzione della prescrizione risulta inidonea (Cass., 25/07/2019, n. 20099) ─ nella fattispecie non emerge, né è dedotta, un’eventuale attività interruttiva nei confronti dell’ente universitario o altri soggetti, fermo restando che dalla stessa normativa del 1999 doveva ragionevolmente desumersi che il destinatario del credito era individuabile nell’amministrazione statale e non nell’autonomia universitaria.
È opportuno ribadire, quanto alla remunerazione, che a séguito dell’intervento con il quale il legislatore – dettando l’art. 11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370 – ha effettuato una aestimatio del danno, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione satisfattiva avente natura di debito di valuta, iscritta in una cornice di disciplina comunitaria nella quale non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, né sono posti i criteri per la determinazione della stessa, come ribadito ferma, pure in chiave CEDU, la non irrisorietà della quantificazione nazionale – anche dalla pronuncia, evocata in ricorso, della Corte di giustizia, 24 gennaio 2018, C-616/16 e C-617-16 (Cass. 24/01/2020, n. 1641, cui si rimanda per una più ampia ricostruzione giurisprudenziale).
Questa pronuncia per un verso ribadisce che non vi è mai stata
alcuna indicazione unionale sulla quantificazione della «adeguata remunerazione», per altro verso non affronta il tema qui discusso della decorrenza prescrizionale.
Quanto sopra è in linea con ciò che si deve dire per la disciplina del trattamento economico dei medici specializzandi di cui all’art. 39 del d.lgs. n. 368 del 1999, applicabile, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle scuole di specializzazione a decorrere dall’anno accademico 2006-2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che, ove a regime secondo la normativa statale di recepimento, restano soggetti alla disciplina di cui al d.lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacché, in particolare, la direttiva n. 93/16, rispetto alla quale quella n. 2005/36 nulla sposta, non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio (Cass., 14/03/2018, n. 6355, e le moltissime successive conformi, quale, solo a titolo esemplificativo, Cass., 24/05/2019, n. 14168).
Ciò per dire che non è individuabile alcun momento in cui si è stabilita una remunerazione adeguata da valutarsi come la sola recettiva della disciplina unionale, tale da poter concludere, anche in tesi, che esclusivamente a far data da allora avrebbe potuto decorrere la prescrizione.
Non vi è alcuna violazione della normativa sovranazionale, e alcuna irragionevolezza o disparità di trattamento posto che l’incremento previsto nell’esercizio della discrezionalità legislativa per i corsi di specializzazione collocati in tempi successivi, non escludendo l’adeguatezza della remunerazione precedente, è stato espressione di una scelta che rientra nelle opzioni legislative di regolare diversamente situazioni successive nel tempo (cfr. Cass. 19/02/2019, n. 4809; 18/02/2021, n. 4307).
La pure richiamata sentenza della Corte di giustizia 03/03/2020, in causa C-590/20 attiene a diversa e non interferente questione.
Con essa la Corte di giustizia ha dichiarato che l’art. 2, par. 1, lett. c), l’art. 3, par. 1-2 e l’allegato della dir. 75/363/CEE, come modificata dalla dir. 82/76/CEE, devono essere interpretati nel senso che qualsiasi formazione a tempo pieno o ridotto come medico specialista, iniziata prima della entrata in vigore, il 29 gennaio 1982, della direttiva del 1982 e proseguita dopo che sia scaduto in data 1° gennaio 1983 il termine di adeguamento, deve – per il periodo della formazione e con decorrenza dal 10 gennaio 1983 – essere oggetto di una remunerazione adeguata, a condizione che la formazione riguardi una specializzazione comune a tutti gli Stati, o a due o più di essi, e menzionata negli art. 5 o 7 della Dir. 75/363/CEE: principio, questo, che evidentemente nessun argomento offre ai fini di una diversa individuazione della decorrenza del termine prescrizionale del diritto in questa sede azionato.
Non può, infine, giovare il richiamo a pronunce di merito che non si conformano all’univoco indirizzo della S.C., sulla base di argomenti che, come s’è visto, risultano però da questa esaminati e confutati o comunque con essa incompatibili.
Non è pensabile, invero, che l’art. 360bis num. 1 cod. proc. civ. abbia come presupposto che i precedenti della Corte di cassazione -e ciò ancorché si tratti di un solo precedente, ma non è questo, come detto, il caso in esame – si debbano considerare rilevanti ai fini della sua applicazione solo a condizione che abbiano riscosso ‘successo’ univoco nella giurisprudenza di merito e non invece se non abbiano dispiegato efficacia persuasiva in modo univoco, cioè se abbiano incontrato ‘resistenze’ nella giur isprudenza di merito: invero, se nel dibattito insorto nella giurisprudenza di merito sono emersi argomenti per superare i precedenti della Corte, il ricorrente in Cassazione li dovrà prospettare sempre per postulare il superamento dei medesimi; se, invece, nella giurisprudenza di merito i precedenti siano stati contraddetti in spregio della nomofilachia sulla base di argomenti già
discussi e disattesi dai precedenti di legittimità, il ricorrente non potrà pretendere di formulare il suo ricorso semplicemente adducendo tale situazione, che, pur non essendo il nostro ordinamento improntato al regime c.d. dello stare decisis , si pone – senza argomenti – in manifesto contrasto con la funzione nomofilattica attribuita alla Corte di cassazione (cfr., in motivazione, Cass. n. 19231 del 29/09/2015 e, negli stessi termini, sempre in motivazione, Cass. n. 11317 del 29/04/2025; n. 14618 del 25/05/2023; n. 14478 del 24/05/2023; n. 12815 dell’11/05/2023; n. 3284 del 02/02/2023 ; n. 31320 del 24/10/2022; n. 28130 del 27/09/2022; nn. 4580-4582 del 11/02/2022).
Né infine la questione posta -riguardante, giova ripetere, la data di decorrenza della prescrizione -può ritenersi incisa dal l’art. 4, comma 43, legge n. 183 del 2011 (a mente del quale « La prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’articolo 2947 del codice civile e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato »);
tale norma, infatti, può a date condizioni incidere sul termine applicabile, ma non certo sulla relativa decorrenza;
al riguardo questa Corte ha chiarito che, in ossequio al disposto dell’art. 252 disp. att. c.c., il diritto al risarcimento del danno da tardiva attuazione di una direttiva comunitaria, a seguito dell’entrata in vigore dell’art. 4, comma 43, della l. n. 183 del 2011, è soggetto alla prescrizione quinquennale qualora, alla data del 1° gennaio 2012, il termine decennale precedentemente vigente avesse una durata residua maggiore di cinque anni (a nulla rilevando che il fatto generatore del danno o il danno stesso si fosse verificato in epoca anteriore), applicandosi invece, in caso di durata inferiore, il termine
decennale, fermo restando che, ove il corso della prescrizione sia stato validamente interrotto in epoca successiva alla suddetta data, a partire dall’atto interruttivo si applica il nuovo termine quinquennale (Cass. n. 35571 del 20/12/2023, Rv. 669779; v. anche Cass. Sentenza n. 6912 del 14/03/2024, Rv. 670435).
Il ricorso deve dunque essere dichiarato inammissibile.
Non avendo le parti intimate svolto difese nella presente sede, non v’è luogo a provvedere sulle spese.
9 . Ai sensi del terzo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. « la Corte … quando definisce il giudizio in conformità alla proposta applica il terzo e il quarto comma dell’articolo 96 ».
9.1. La genericità del rinvio alle dette disposizioni induce a ritenere che se ne debbano anche osservare i relativi presupposti, con la conseguenza che, per l’applicazione del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., non sarà sufficiente la sola decisione in conformità alla proposta ma sarà necessaria anche l’esistenza di una pronuncia sulle spese, nella specie, come detto, mancante per la mancata esplicazione di difesa in questa sede da parte degli intimati.
9.2. Da tale presupposto, però, può e deve prescindersi per l’applicazione del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ..
Nonostante anche quest’ultima previsione sia in premessa anco -rata alla ricorrenza dei casi di cui al primo, secondo e terzo comma dello stesso art. 96 e, dunque, supponga che la controparte sia costituita, nel caso in esame (ossia quello della decisione conforme alla proposta ex art. 380bis , terzo comma, c.p.c.) appare consentito prescinderne, dal momento che a quei presupposti si sostituisce quello previsto dallo stesso terzo comma dell’art. 380 -bis : vale a dire la definizione del giudizio in conformità alla proposta.
Ove si verifichi tale evenienza il terzo comma dell’art. 380 -bis prevede, infatti, senza mediazione di alcun’altra verifica, l’« applicazione » dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ.,
utilizzando una locuzione che chiaramente evoca direttamente l’azione performativa che detta norma demanda al giudice, piuttosto che la fatti-specie legale da essa presupposta.
Del resto, una diversa interpretazione priverebbe la previsione di cui all’art. 380 -bis , terzo comma, in gran parte se non del tutto di significato, almeno nella parte in cui richiama il quarto comma dell’art. 96, essendo evidente che, anche se quel richiamo mancasse, la Corte, chiamata a pronunciarsi a seguito di istanza di definizione ex art. 380bis , secondo comma, potrebbe comunque pronunciare, « nei casi previsti dal primo, secondo e terzo comma », condanna al pagamento in favore della cassa delle ammende.
L’art. 380 -bis , terzo comma, recupera dunque, in parte qua , un ben distinguibile spazio prescrittivo autonomo, coerente con l’obiettivo della novella, solo ove per la condanna prevista dal richiamato quarto comma dell’art. 96 si prescinda dai casi ivi previsti, in presenza del diverso e autosufficiente presupposto, che a quelli si sostituisce, della decisione conforme alla proposta.
Varrà aggiungere che in favore di tale esegesi militano, da un lato, la ratio della disposizione in esame che, diretta a disincentivare la richiesta di definizione ordinaria a fronte di una proposta di definizione accelerata, prescinde dalla costituzione dell’intimato e non può certo ritenersi meno avvertita nel caso in cui tale costituzione manchi (con il rischio, ad opinare diversamente, di un depotenziamento dell’istituto); dall’altro, il rilievo che quella prevista dal quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. è sanzione disposta a favore della collettività e non già della parte vittoriosa, come è invece nel caso dell’art. 96, terzo comma (v. in senso conforme, tra le pronunce massimate, Cass. Sez. U. 22/09/2023, n. 27195, Rv. 668850 -01; Cass. 04/10/2023, n. 27947, Rv. 669107; 28/02/2024, n. 5243, Rv. 670413).
10. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per
il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
P.Q.M.
Dichiara estinto il giudizio di legittimità sul ricorso incidentale proposto da NOME COGNOME e dagli altri ricorrenti difesi dall’Avv. NOME COGNOME
Dichiara inammissibile il ricorso principale proposto da NOME COGNOME.
Condanna il predetto ricorrente principale al pagamento in favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 500,00.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P .R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente principale, NOME COGNOME dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1 -bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza