Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 20778 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 20778 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data pubblicazione: 22/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13940/2022 R.G. proposto da :
COGNOME rappresentato e difeso dall ‘ avvocato COGNOME (CODICE_FISCALE elettivamente domiciliato presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-ricorrente-
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELLA SALUTE, MINISTERO DELL’ ECONOMIA E FINANZE, MINISTERO DELL’ ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA, tutti rappresentati e difesi per legge dall’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (NUMERO_DOCUMENTO , elettivamente domiciliati presso l’indirizzo PEC indicato dal difensore
-controricorrenti- avverso la SENTENZA della CORTE D ‘ APPELLO di ROMA n. 7655/2021 depositata il 18/11/2021.
R.G. 13940/2022
COGNOME
Rep.
C.C. 25/6/2025
C.C. 14/4/2022
MEDICI SPECIALIZZANDI.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/06/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Il dott. NOME COGNOME convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Roma, la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero della salute, il Ministero dell’istruzione e dell’università e il Ministero dell’economia e delle finanze, chiedendo che fosse riconosciuto il suo diritto a percepire un’adeguata remunerazione in relazione alle specializzazioni da lui conseguite in medicina interna e in angiologia medica.
A sostegno della domanda espose di aver svolto attività professionale a tempo pieno per l’intero periodo dei due corsi e di non aver percepito alcuna remunerazione.
Si costituirono in giudizio le Amministrazioni convenute, eccependo preliminarmente il proprio difetto di legittimazione passiva e la prescrizione del diritto e chiedendo, nel merito, il rigetto della domanda.
Il Tribunale rigettò la domanda in accoglimento dell’eccezione di prescrizione.
La sentenza è stata impugnata dall’attore soccombente e la Corte d’appello di Roma, con sentenza del 18 novembre 2021, ha rigettato l’appello e ha condannato l’appellante alla rifusione delle spese del giudizio di secondo grado.
Contro la sentenza della Corte d’appello di Roma propone ricorso il dott. NOME COGNOME atto affidato a due motivi.
Resistono la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero della salute, il Ministero dell’istruzione e dell’università e il Ministero dell’economia e delle finanze con un unico controricorso.
La trattazione è stata fissata ai sensi dell’art. 380 -bis .1 cod. proc. civ. e il Pubblico Ministero non ha depositato conclusioni.
RAGIONI DELLA DECISIONE
La Corte osserva, in via preliminare, che il ricorso, notificato in data 18 maggio 2022, è stato depositato il successivo 8 giugno 2022. Il termine di venti giorni di cui all’art. 369 cod. proc. civ., però, andava a scadere il 7 giugno 2022, che era un martedì. Ne consegue che, essendo avvenuto il deposito tardivamente, il ricorso è improcedibile.
Fermo restando detto esito decisorio, la Corte ritiene di dover ugualmente esaminare, ad abundantiam , il contenuto del ricorso.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 1137, 2935, 2946 e 1947 cod. civ., nonché delle direttive europee 363/75 e 76/82.
Il ricorrente sostiene che la Corte di merito avrebbe errato nel far decorrere il decennio della prescrizione dal 27 ottobre 1999. La prescrizione, infatti, potrebbe decorrere solo dal momento in cui il diritto può essere esercitato, ma poiché, nella specie, una piena attuazione della normativa europea ancora non avrebbe avuto luogo, tale termine ancora non vi sarebbe, sicché il diritto dei ricorrenti non potrebbe considerarsi prescritto.
Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’art. 360, primo comma, n. 3), cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., sul rilievo per cui la condanna alle spese sarebbe ingiustificata, perché la presenza di diversi orientamenti di giurisprudenza avrebbe dovuto consigliarne la compensazione.
Rileva la Corte che il primo motivo di ricorso è inammissibile ai sensi dell’art. 360 -bis , n. 1), del codice di procedura civile.
La sentenza impugnata, infatti, si è conformata all’orientamento di questa Corte, ormai da tempo consolidato, in base al quale, a seguito della tardiva ed incompleta trasposizione
nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari -realizzata solo con il d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257 -è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1° gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990 -1991. La lacuna è stata parzialmente colmata con l’art. 11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa europea. Nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11 (sentenza 17 maggio 2011, n. 10813, più volte confermata in seguito; v., tra le altre, le ordinanze 24 luglio 2023, n. 22181, 25 marzo 2024, n. 7984, e 30 gennaio 2025, n. 2250).
Tale insegnamento ha ricevuto anche l’autorevole avallo delle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza 31 maggio 2022, n. 17619, v. p. 26), le quali hanno confermato che l’esordio della prescrizione (decennale) è da fissare, nei casi come quello odierno, alla data del 27 ottobre 1999.
Da tale giurisprudenza, sempre confermata in seguito, non vi sono ragioni di discostarsi.
Nella specie, la Corte romana ha fatto buon governo di tale principio e, non avendo nel giudizio di merito gli odierni ricorrenti neppure indicato un atto interruttivo della prescrizione compiuto nel decennio che va dal 27 ottobre 1999 al 27 ottobre 2009,
correttamente ha concluso che il diritto fatto valere in giudizio fosse da considerare prescritto.
Il secondo motivo -che, ad essere rigorosi, non sarebbe neppure propriamente tale -è, quando non inammissibile, comunque privo di fondamento.
Ed infatti, deve osservarsi che le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che in tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (sentenza 15 luglio 2005, n. 14989).
Nel caso specifico, poi, la decisione di condanna, essendo fondata sulla consolidata e pluriennale giurisprudenza di legittimità, non ha fatto altro che applicare doverosamente il principio di soccombenza, per cui la censura è manifestamente infondata.
Il ricorso, pertanto, è dichiarato improcedibile.
A tale esito segue la condanna del ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del d.m. 10 marzo 2014, n. 55.
In considerazione, poi, del fatto che il ricorso insiste nell’accoglimento di una tesi che è stata smentita da una giurisprudenza più che decennale e ormai fermissima, il Collegio ritiene di dover disporre a carico del ricorrente, come richiesto nel controricorso, l’ulteriore condanna di cui all’art. 96 del codice di rito.
Sussistono, inoltre, i presupposti processuali di cui all’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo
di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara improcedibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi euro 2.000 più spese eventualmente prenotate a debito, più la somma di euro 1.000 ai sensi dell’art. 96 del codice di rito.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza