Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4279 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4279 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 18/02/2025
O R D I N A N Z A
sul ricorso n. 28759/21 proposto da:
-) Abbate NOME COGNOME COGNOME NOME, COGNOME Bruno, COGNOME Giuseppe, COGNOME NOME, COGNOME NOME , domiciliati all’indirizzo PEC del proprio difensore, difes i dall’Avvocato NOME COGNOME ;
-) Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Università e della ricerca, Ministero della salute, Ministero dell’economia e delle finanze , in persona rispettivamente del Presidente del Consiglio dei ministri e dei singoli ministri pro tempore, domiciliati ex lege all’indirizzo PEC del proprio difensore, difesi ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato ;
– ricorrenti –
contro
– controricorrenti – avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma 29 aprile 2021 n. 3158; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 3 dicembre 2024 dal Consigliere relatore dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Nel 2016 gli odierni ricorrenti, unitamente ad altri soggetti, convennero dinanzi al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero (in allora denominato) dell’Istruzione , il Ministero della Salute ed il Ministero delle finanze, esponendo che:
Oggetto: danno da tardiva attuazione delle direttive 75/362 e 75/363 – prescrizione.
-) dopo avere conseguito la laurea in medicina, si erano iscritti ad una scuola di specializzazione;
-) durante il periodo di specializzazione non avevano percepito alcuna remunerazione o compenso da parte della scuola stessa;
-) le direttive comunitarie n. 75/362/CEE e 75/363/CEE, così come modificate dalla Direttiva 82/76/CEE, avevano imposto agli Stati membri di prevedere che ai frequentanti le scuole di specializzazione fosse corrisposta una adeguata retribuzione;
-) l’Italia aveva dato tardiva e parziale attuazione a tali direttive solo con la legge 8.8.1991 n. 257.
Conclusero pertanto chiedendo la condanna delle amministrazioni convenute al risarcimento del danno sofferto in conseguenza della tardiva attuazione delle suddette direttive.
Con sentenza n. 19264/19 il Tribunale di Roma rigettò tutte le domande perché ritenuto prescritto il diritto.
La sentenza fu appellata dai soccombenti.
Con sentenza 29 aprile 2021 n. 3158 la Corte d’appello di Roma ha rigettato il gravame.
La sentenza d’appello è stata impugnata per Cassazione da NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME con ricorso fondato su cinque motivi.
La Presidenza del consiglio e le altre amministrazioni indicate in epigrafe hanno resistito con controricorso.
L’Avvocatura Generale ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Col primo motivo i ricorrenti prospettano il vizio di omesso esame di un fatto decisivo. Sostengono che l’eccezion e di prescrizione sollevata dalle amministrazioni convenute è stata accolta dalla C orte d’appello senza tener
conto del fatto che tutti gli appellanti, odierni ricorrenti, erano medici dipendenti del servizio sanitario nazionale.
Da questa circostanza di fatto i ricorrenti fanno discendere due conseguenze di diritto, l’una subordinata all’altra:
-) innanzitutto che il loro diritto al risarcimento del danno sarebbe ‘imprescrittibile’;
-) in subordine, che il loro diritto al risarcimento del danno ha iniziato a prescriversi soltanto al momento del pensionamento.
1.1. Il motivo è inammissibile e, comunque, manifestamente infondato. Sotto il primo aspetto si deve rilevare che il motivo deduce erroneamente ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c. il preteso omesso esame di una controeccezione (quella di imprescrittibilità) e, dunque, un vizio che avrebbe dovuto denunciarsi prospettando la violazione dell’art. 112 c.p.c.
1.2. Peraltro, pur volendo così riqualificare il motivo, tale violazione si dovrebbe reputare inesistente, in quanto la Corte romana (sia pure sorprendentemente ignorando il principio di diritto, poi consolidatosi, affermato da Cass. n. 1917 del 2012 sull’esegesi dell’art. 4, comma 43, della l. n. 183 del 2011) ha esaminato la questione implicitamente, richiamando l’orientamento affermatosi dalle note sentenze nn. 10813, 10814, 10815 e 10816 del 2011.
1.3. Infine, anche a prescindere da qualsiasi considerazione su altre questioni pregiudiziali di rito (omessa indicazione degli atti da cui risulta la qualità di dipendenti del servizio sanitario nazionale; omessa indicazione della fase processuale in cui quegli atti sono stati prodotti; omessa indicazione delle norme di diritto che sanciscono la imprescrittibilità del diritto al risarcimento del danno nel caso di specie), il Collegio rileva, comunque, che la fallacia della prospettazione che si assume a torto non considerata emergerebbe sol che si considerasse che:
la Presidenza del Consiglio dei Ministri (unica amministrazione la cui posizione è ancora sub iudice , dal momento che delle altre amministrazioni è stato dichiarato il difetto di legittimazione passiva con statuizione sulla quale si è formato il giudicato) non è il datore di lavoro dei ricorrenti, sicché è arduo comprendere quale rilievo possa mai avere, ai fini dell’ exordium praescriptionis , la circostanza che i ricorrenti siano dipendenti del servizio sanitario nazionale;
b) oggetto del contendere in ogni caso è un danno che si assume patito durante la scuola di specializzazione, e dunque prima della costituzione di qualsiasi rapporto di lavoro.
Col secondo motivo è denunciata la nullità della sentenza per mancanza di motivazione.
Assumono i ricorrenti che l’eccezione di prescrizione sollevata dalle controparti è stata accolta senza alcuna motivazione a riguardo.
2.1. Il motivo è manifestamente infondato, in quanto la Corte di appello ha motivato la propria decisione richiamando i precedenti di questa Corte: è tanto le bastava per adempiere l’obbligo di motivazione, ai sensi dell’articolo 118, primo comma, ultimo periodo, disp. att. c.p.c..
Col terzo motivo i ricorrenti prospettano il vizio di ‘ carenza di motivazione sulla spettanza del risarcimento anche ai medici che avessero iniziato la specializzazione prima del 1983 ‘ .
3.1. Il motivo è inammissibile perché censura una statuizione che vanamente si cercherebbe nella sentenza impugnata.
La C orte d’appello, infatti, ha rigettato il gravame ritenendo prescritto il diritto, sicché non si è occupata – e non doveva occuparsi – di altre questioni ed in particolare di quella posta dal motivo, che rimase assorbita.
Il quarto ed il quinto motivo investono la regolazione delle spese e possono essere trattati congiuntamente.
Con questi motivi si assume che la Corte d’appello avrebbe commesso i seguenti errori:
ha condannato gli appellanti alle spese nonostante la soccombenza reciproca, derivante dal rigetto dell’appello incidentale proposto dalla difesa erariale;
in ogni caso avrebbe dovuto compensare le spese a causa della oggettiva incertezza della res litigiosa ;
ha errato nel condannare tutti gli appellanti in solido; e comunque, se si ritenesse legittima la condanna in solido, ciò avrebbe dovuto di per sé escludere l’applicazione della maggiorazione prevista dall’ art. 4 d.m. 55/14 per l’ipotesi di difesa contro una pluralità di parti.
4.1. La censura sub (a) è manifestamente infondata.
L’Avvocatura dello Stato non ha proposto alcun appello incidentale, ma solo riproposto ex art. 346 c.p.c. l’eccezione di giudicato (riguardante solo NOME COGNOME), non esaminata perché assorbita in primo grado dall’accoglimento dell’ eccezione di prescrizione.
4.2. La censura sub (b) è inammissibile, in quanto al momento dell’introduzione del giudizio (2016) la questione della prescrizione non era affatto ‘dubbia’: essa infatti era stata risolta da questa Corte con le note sentenze nn. 101813, 10814, 10815 e 10816 del 2011, e da allora quei princìpi rimasero sempre ben saldi.
4.3. La censura sub (c) è manifestamente infondata.
Nel caso di cumulo soggettivo il valore della causa si determina dalla domanda di valore più elevato (v., con ampia motivazione, Sez. 3, Ordinanza n. 10367 del 17/04/2024).
Poiché la domanda è stata rigettata, il valore della causa andava stabilito in base al petitum , e con l’atto di citazione gli attori avevano chiesto la condanna
ad una somma ‘ almeno pari’ a lire 21.500.000 per ciascun anno di specializzazione, La domanda di valore più elevato era dunque del valore di euro 44.415,29 , ‘ oltre rivalutazione monetaria e interessi ‘ (punti 3 e 4 di cui a p. 13 della citazione in primo grado) a partire dal 1986, e dunque per trent’anni alla data (2016) di introduzione della lite.
Come a tutti ben noto, rivalutazione ed interessi ai fini della determinazione del valore della causa si sommano al capitale (art. 10, secondo comma, c.p.c.).
Pertanto alla data di inizio del giudizio (2016) il valore della causa era di euro 204.466,98: a tanto infatti ammonta il cumulo di un capitale di euro 44.415,29 maggiorato di 30 anni di interessi e rivalutazione.
Quindi l a Corte d’appello per quanto attiene il quantum della condanna alle spese, lungi dall’avere violato la legge, ha anzi sottostimato l’importo che sarebbe giustamente spettato alla difesa erariale.
4.4. Per quanto attiene, infine, alla condanna degli appellanti in solido, ineccepibile fu la decisione d’appello: la domanda attorea fu infatti rigettata in primo grado perché prescritta; tutti gli appellanti si dolsero di tale
statuizione ; per tutti il giudice d’appello ritenne maturata la prescrizione.
La questione della prescrizione fu dunque unica e comune a tutti: sicché correttamente la Corte capitolina ha fatto applicazione dell’art. 97 c.p.c. (cfr. in fattispecie identiche, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 20916 del 17/10/2016, Rv. 642932 – 01; Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 8832 del 10/04/2018, Rv. 648716 -01; Sez. 3, Sentenza n. 27476 del 30/10/2018, Rv. 651335 -01; Sez. 6 3, Ordinanza n. 9063 del 02/04/2019, Rv. 653446 -01; Sez. 1, Ordinanza n. 1650 del 19/01/2022, Rv. 663943 – 02).
Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, ai
sensi dell’art. 385, comma 1, c.p.c., e sono liquidate nel dispositivo.
La manifesta infondatezza del ricorso; la palese insostenibilità delle tesi giuridiche ivi sostenute; la totale pretermissione in esso di qualsiasi accenno alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, foss’anche al solo fine di
contestarne gli approdi, giustificano la condanna dei ricorrenti ai sensi dell’art. 96, terzo comma, c.p.c..
P.q.m.
(-) rigetta il ricorso;
(-) condanna COGNOME NOME COGNOME, COGNOME NOME, COGNOME Bruno, COGNOME Giuseppe, NOME COGNOME, COGNOME, in solido, alla rifusione in favore della Presidenza del consiglio dei ministri delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di euro 9.850, oltre spese prenotate a debito;
(-) condanna COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOME, COGNOME Bruno, COGNOME Giuseppe, NOME COGNOME, COGNOME NOME, in solido, al pagamento in favore della Presidenza del consiglio dei ministri della somma di euro 3.000 ex art. 96, comma terzo, c.p.c.;
(-) ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione civile della