Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 4820 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 4820 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 6144/2024 proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME MC COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME rappresentati e difesi dall’avv.to NOME COGNOME (EMAIL;
– ricorrenti –
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO DELLA SALUTE, MINISTERO DELL’ECONOMIA E FINANZE, MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA, in persona dei rispettivi legali rapp.ti pro-tempore , rappresentati e difesi dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO (EMAIL;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 5441/2023 della CORTE D’APPELLO DI ROMA, depositata il 1/8/2023;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 7/1/2025 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
ritenuto che,
con sentenza resa in data 1/7/2023, la Corte d’appello di Roma ha rigettato l’appello proposto dai ricorrenti indicati in epigrafe avverso la sentenza con la quale il giudice di primo grado ha accertato l’intervenuta prescrizione del diritto esercitato dai ridetti ricorrenti (medici iscritti e frequentanti corsi di specializzazione tra il 1979 e il 1993) ai fini della condanna della Presidenza del Consiglio dei Ministri, del Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia e delle Finanze, al risarcimento dei danni subiti in ragione della tardiva e incompleta trasposizione nell’ordinamento italiano delle direttive comunitarie concernenti il riconoscimento del compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitaria per l’attività dagli stessi prestata in tale ambito;
a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha sottolineato come del tutto correttamente il primo giudice avesse accertato l’intervenuta prescrizione del diritto azionato dai ricorrenti, avuto riguardo alla decorrenza della prescrizione a far data dall’entrata
in vigore della legge n. 370/1999, in conformità all’insegnamento della giurisprudenza di legittimità consolidatosi da tempo;
avverso la sentenza d’appello, i ricorrente indicati in epigrafe propongono ricorso per cassazione sulla base di un unico motivo d’impugnazione;
la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, il Ministero della Salute e il Ministero dell’Economia e delle Finanze resistono con controricorso, cui ha fatto seguito il deposito di memoria;
considerato che,
con l’unico motivo d’impugnazione proposto, i ricorrenti censurano la sentenza d’appello per violazione e falsa applicazione delle norme e dei principi in materia di risarcimento del danno derivante da omesso e/o tardivo recepimento di direttive comunitarie nonché degli artt. 5 e 189 del Trattato CEE, dell’art. 10 Cost.; dell’art. 19, comma 1, seconda parte, del Trattato sull’Unione Europea; dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione, c.d. Carta di Nizza (approvata il 7 dicembre 2000); delle Dir. CEE 82/76, 75/363 e 93/16, delle sentenze della Corte di Giustizia Europea 25 febbraio 1999 (procedimento C131/97) e del 3 ottobre 2000; violazione e falsa applicazione dell’art. 1 del Protocollo n. 1 alla CEDU; degli artt. 1, 10, 11 e 12 delle Preleggi c.c. e degli artt. 2934, 2935 e 2938 c.c., dell’art. 6 del Decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257 (in Gazz. Uff., 16 agosto, n. 191), nonché dell’art. 11 della Legge n. 370/99 (in relazione al n. 3 dell’art. 360 c.p.c.), per avere la corte territoriale erroneamente individuato la data del 27 ottobre 1999 quale dies a quo della prescrizione del diritto azionato in giudizio dagli odierni ricorrenti per le specifiche ragioni indicate in ricorso;
il ricorso è inammissibile;
al riguardo, varrà evidenziare come, ai sensi dell’art. 360-bis n. 1 c.p.c., il ricorso è inammissibile quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;
in particolare, in tema di giudizio di legittimità, anche un solo precedente, se univoco, chiaro e condivisibile, integra l’orientamento della giurisprudenza della Suprema Corte di cui all’art. 360-bis, n. 1, c.p.c., con conseguente dichiarazione di inammissibilità del relativo ricorso per cassazione che non ne contenga valide critiche (Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 4366 del 22/02/2018, Rv. 648036 – 02);
nel caso di specie, la sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione della nomofilachia inaugurata con la decisione n. 10813/2011 di questa Corte, avendo dichiarato prescritto il diritto azionato, dopo avere accertato l’insussistenza di atti interruttivi del termine di prescrizione, anteriori rispetto a quello di introduzione del giudizio;
tra le diverse argomentazioni illustrate, i ricorrenti hanno evidenziato la questione del se un rimedio giurisdizionale possa essere considerato effettivo prima che sia definita la natura giuridica dell’azione esperibile, con le conseguenti ricadute sul termine di prescrizione, prima che sia identificato il soggetto passivamente legittimato e prima che sia individuata la giurisdizione interna competente a conoscere la domanda, sottolineando come tale questione dovrebbe essere sottoposta al vaglio della Corte di Giustizia dell’UE, perché i principi di cui alla decisione n. 10813/2011 non meriterebbero di essere considerati di generale applicazione, come emergerebbe dal § 10.2. della medesima pronuncia che rilevava che la conclusione accolta avrebbe evitato di investire la Corte di Giustizia ‘di
una esegesi dell’ordinamento internazionale interna al nostro ordinamento’;
in altri termini, secondo quanto prospettato dai ricorrenti, questa Corte, pur avendo lucidamente individuato il nocciolo essenziale della questione, avrebbe arrestato il proprio ragionamento, ritenendo la data del 27 ottobre 1999 già sufficiente a rigettare, nella fattispecie allora in esame, l’eccezione di prescrizione, mentre, invece, la situazione di incertezza si sarebbe protratta (quanto meno) fino al 2011, cioè fino all’adozione della legge 12 novembre 2011, n. 183, art. 4, comma 43 -secondo cui la prescrizione del diritto al risarcimento del danno da mancato recepimento di direttive comunitarie soggiace alla disciplina dell’art. 2947 c.c., e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato -con cui lo Stato italiano avrebbe messo a disposizione dei soggetti danneggiati dal suo inadempimento un sufficientemente certo e perciò effettivo rimedio giurisdizionale idoneo a far decorrere il termine di prescrizione;
al riguardo, osserva questo Collegio come la ragione assorbente su cui è basato il rigetto delle domande originariamente formulate dagli odierni ricorrenti si richiami, correttamente applicandolo, all’ormai consolidato indirizzo di questa Corte, il quale ha chiarito che il diritto al risarcimento del danno da tardiva e incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari, si prescrive nel termine decennale, decorrente dalla data di entrata in vigore (27 ottobre 1999) della legge 19 ottobre 1999, n. 370, il cui art. 11, ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore di quanti, tra costoro, risultavano beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice
amministrativo, rendendo definitivo l’inadempimento soggettivo residuo (Cass. 17/05/2011, nn. 10813, 10814, 10815 e 10816; Cass. 31/08/2011, n. 17868; Cass. 20/03/2014, n. 6606; Cass. 15/11/2016, n. 23199; Cass. 31/05/2018, n. 13758 e successive conformi);
la descritta condotta statale ha definitivamente palesato l’adempimento soggettivamente parziale dello Stato per gli specializzandi che hanno iniziato i corsi anteriormente all’anno accademico 1991-1992, sicché, al di là del perdurare degli effetti di tale inadempimento per gli altri (non destinatari della disciplina in parola), la ragionevole cristallizzazione derivante dall’opzione esercitata, rispetto all’astratta possibilità di un ripensamento normativo, onerava della reazione i pretermessi, innescando la decorrenza estintiva prescrizionale;
per le medesime ragioni, non può rilevare la diversa quantificazione della remunerazione, e il suo differente regime discrezionalmente determinati dallo Stato con il D.Lgs. n. 368 del 1999, attuato dall’anno accademico 2006-2007 (Cass. 14/03/2018, n. 6355);
le difese dei ricorrenti sostengono che la pronuncia n. 10813 del 2011 aveva preso in considerazione un termine prudenziale in ottica di conformità comunitaria, in ragione di quanto allora esaminabile, e tale da essere comunque sufficiente a respingere, in quel tempo, l’eccezione di prescrizione, e che, invece, solo successivamente al 1999 la giurisprudenza di questa Corte avrebbe escluso quelle incertezze inibenti la decorrenza della prescrizione in pregiudizio del danneggiato: l’individuazione della giurisdizione, se ordinaria o amministrativa, la natura dell’azione esperibile, se contrattuale o aquiliana, il termine di prescrizione, la sua decorrenza, la determinazione della legittimazione passiva (se solo lo Stato o meno);
detti argomenti – come già questa Corte ha più volte avuto modo di rimarcare (cfr. tra le decisioni più recenti, ex plurimis , Cass. 31/03/2021, n. 8843) – sono del tutto infondati e, comunque, inidonei a produrre un ripensamento dello stabile orientamento nomofilattico richiamato, per un verso, confermato successivamente al 2011, e, per altro verso, tale da non potersi più riferire solo al rigetto dell’eccezione di prescrizione, secondo quanto obiettato dai ricorrenti, perché: 1) la questione della giurisdizione non incide sulla consapevolezza della cristallizzazione della lesione e quindi sulla possibilità, per il danneggiato, di interrompere la sua inerzia e il decorso dell’estinzione prescrizionale che non necessita di iniziative giurisdizionali, ben potendo avvenire stragiudizialmente; 2) la qualificazione, in termini aquiliani ovvero da inadempimento dell’obbligazione, della responsabilità non ha spiegato effetti sulla determinazione del dies a quo del termine di prescrizione; 3) la legittimazione passiva – stante che è dello Stato in persona della Presidenza del Consiglio dei Ministri, mentre l’evocazione in giudizio di un diverso organo statuale non si traduce nella mancata instaurazione del rapporto processuale, costituendo una mera irregolarità, sanabile ai sensi della legge n. 260 del 1958, art. 4 (Cass., Sez. Un., 27/11/2018, n. 30649), sicché solo se diretta esclusivamente nei confronti della Università l’interruzione della prescrizione risulta inidonea (Cass. 25/07/2019, n. 20099) – nella fattispecie non emerge, né è dedotta, un’eventuale attività interruttiva nei confronti dell’ente universitario o di altri soggetti, fermo restando che dalla stessa normativa del 1999 doveva ragionevolmente desumersi che il destinatario del credito era individuabile nell’amministrazione statale e non nell’autonomia universitaria;
la richiesta di sottoposizione alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea della questione pregiudiziale non appare meritevole di
accoglimento, per le ragioni già illustrate, condivise da altre decisioni di questa Corte (cfr. Cass. 13/12/2021, n. 39421) e che sono sintetizzabili come segue: non solo a partire dal 27 ottobre 1999 nessuna norma dell’ordinamento interno impediva agli odierni ricorrenti di promuovere un giudizio per domandare il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie; nessun dubbio poteva sussistere su quale fosse il soggetto tenuto a rispondere di tale danno (lo Stato) e qualsiasi eventuale incertezza circa l’individuazione del giudice munito di giurisdizione a conoscere della relativa domanda non poteva impedire il decorso della prescrizione, dal momento che qualsiasi eventuale errore poteva essere rimediato mediante lo strumento del regolamento di giurisdizione;
rispetto a tale consolidato insegnamento della giurisprudenza di legittimità, gli odierni ricorrenti hanno sostanzialmente omesso di confrontarsi in termini diretti, limitandosi ad esprimere unicamente il proprio dissenso attraverso il richiamo di precedenti giurisprudenziali di merito non adeguatamente argomentati, o di fonti normative da ritenersi non decisive o pertinenti, con il conseguente riconoscimento dell’inammissibilità delle censure sin qui esaminate;
varrà peraltro aggiungere come l’individuazione del dies a quo della prescrizione in esame a partire dal 27 ottobre 1999 (mai posto in discussione nelle occasioni in cui le Sezioni Unite, dopo le sentenze ‘gemelle’ nn. 10813, 10814, 10815 e 10816 del 2011, sono state investite di altre questioni concernenti le controversie cui appartiene quella presente, per due volte determinandosi a porre quesiti comunitari alla CGUE sotto altri profili) risulta esser stato ribadito expressis verbis dalle Sezioni Unite di questa Corte in Sez. U, Sentenza n. 17619 del 31/05/2022 e in Sez. U, Sentenza n. 18640 del 9/06/2022;
sulla base di tali premesse, dev’essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso;
le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo nel rispetto dei criteri di cui all’art. 4, co. 2, del d.m. n. 55/2014;
sussistono i presupposti -in considerazione del carattere largamente consolidato nel tempo della giurisprudenza confermata in questa sede – per la condanna dei ricorrenti al risarcimento dei danni ai sensi dell’art. 96, co. 3, c.p.c.;
si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore dei controricorrenti, delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi euro 20.283,10, oltre al rimborso delle spese prenotate a debito, nonché al pagamento della somma di euro 10.000,00 ai sensi dell’ art. 96, co. 3 c.p.c.
Dichiara la sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-quater, dell’art. 13 del d.p.r. n. 115/2002.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione