Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16122 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16122 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 04488/2024 R.G., proposto da
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI , in persona del Presidente del Consiglio in carica; ex lege domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis ;
-ricorrente-
contro
NOME COGNOME rappresentato difeso dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura allegata in atti, con domiciliazione digitale ex lege ;
-controricorrente-
e nei confronti di
COGNOME COGNOME NOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME NOMECOGNOME COGNOME COGNOME NOMECOGNOME NOME COGNOME COGNOME
-intimati- nonché sul ricorso successivo,
proposto da
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME ; rappresentati e difesi da ll’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura in calce al ricorso, e dall’ Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliati presso il loro studio in Roma, INDIRIZZO con domiciliazione digitale ex lege ;
contro
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI , in persona del Presidente del Consiglio in carica; ex lege domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ope legis ;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della CORTE d’ APPELLO di ROMA n. 6334/2023, depositata il 4 ottobre 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 1° aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con citazione del 28 luglio 2017 gli odierni ricorrenti convennero davanti al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei Ministri, nonché il Codacons, il Ministero della Salute, il Ministero
dell’Istruzione, dell’ Università e della Ricerca e il Ministero dell’Economia e delle Finanze, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione delle direttive europee 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE, in tema di adeguata retribuzione spettante per la frequenza di corsi di specializzazione medica in cui si erano immatricolati negli anni compresi tra il 1983 ed il 1991.
Con sentenza n. 2752/2021, il Tribunale dichiarò il difetto di legittimazione passiva del Codacons e dei Ministeri e rigettò, per intervenuta prescrizione, le domande proposte nei confronti della Presidenza del Consiglio, ad eccezione di quella formulata dal dott. NOME COGNOMEper avere egli interrotto il termine decennale di prescrizione, decorrente dal 27 ottobre 1999, con atto di messa in mora del 12 dicembre 2008 e, successivamente, con l’introduzione del giudizio, il 28 luglio 2017), cui liquidò la somma di Euro 6.713,94, comprensiva di interessi e rivalutazione monetaria, per ciascuno degli anni di durata del corso di specializzazione frequentato, in base all’art. 11 della legge n. 370/1999.
2. Avverso questa sentenza l’Amministrazione statale propo se appello, ribadendo la già eccepita operatività, dal 1° gennaio 2012, del nuovo termine di prescrizione quinquennale ex art. 4, comma 43, legge n. 183/2011, sicché anche la domanda proposta da NOME COGNOME avrebbe dovuto essere rigettata per intervenuta prescrizione, per non avere egli posto in essere atti interruttivi nel quinquennio intercorrente tra il 1° gennaio 2012 e il 31 dicembre 2016 e per essere quindi il termine prescrizionale ineluttabilmente decorso al tempo della notificazione della citazione introduttiva del giudizio.
Si costituì il dott. NOME COGNOME che resisté all’impugnazione, nonché i medici soccombenti in primo grado, che proposero appello incidentale, invocando la reiezione dell’eccezione di prescrizione sollevata dall’amministrazione statale e già accolta, nei loro confronti, dal giudice di primo grado.
Con sentenza 4 ottobre 2023, n.6334, la Corte d’appello di Roma ha rigettato sia l’appello principale proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri nei confronti del dott. NOME COGNOME sia l’appello incidentale proposto dagli altri medici, sul comune assunto che il termine di prescrizione avesse durata decennale e decorrenza dal 27 ottobre 1999.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, sulla base di un unico motivo, cui ha risposto con controricorso NOME COGNOME
Con distinto atto hanno proposto ricorso avverso la medesima sentenza anche NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME sulla base di tre motivi, cui ha risposto, con controricorso, la Presidenza del Consiglio dei Ministri.
La trattazione dei ricorsi è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. pro. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha depositato conclusioni scritte.
Il solo ricorrente NOME COGNOME ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, i ricorsi, proposti avverso la medesima sentenza, vanno riuniti, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ..
Ciò posto in via preliminare, può passarsi all’esame dei ricorsi.
A.1. Con l’unico motivo del ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, che assume natura oggettiva di ricorso principale, la sentenza d’appello viene censurata nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di prescrizione del diritto azionato dal dott. NOME COGNOME
L’amministrazione ricorrente deduce che la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare il termine di prescrizione quinquennale, e
non decennale, giusta la previsione dell’art. 4, comma 43, della legge n. 183/2011.
Afferma che questa norma, prevedendo che il diritto al risarcimento del danno da tardiva attuazione di una direttiva comunitaria si prescriva in cinque anni, ha dettato una regola sì irretroattiva, ma applicabile comunque ai termini già in corso al momento della sua entrata in vigore, ed a partire da tale momento in poi.
Ne trae la conclusione che dal 1° gennaio 2012, data di entrata in vigore della legge n.183/2011, ha iniziato a decorrere un termine prescrizionale di cinque anni, ormai spirato alla data dell’introduzione della lite (28 luglio 2017).
A.1.1. Il motivo è fondato.
A.1.1.a. La fattispecie della prescrizione del diritto al risarcimento del danno causato dallo Stato a causa della tardiva attuazione di una direttiva comunitaria è rimasta a lungo priva di una specifica disciplina legislativa. Nel silenzio della legge la giurisprudenza di questa Corte si orientò a ritenere che a quel diritto dovesse applicarsi il termine di prescrizione decennale. L’adeguamento dell’ordinamento interno a quello comunitario, infatti, deve avvenire per mezzo d’u na legge: ma la scelta del Parlamento di adottare o non adottare una legge, così come lo stabilire quale contenuto darle, sono atti politici. Essi sono perciò liberi nel fine ed insuscettibili di essere qualificati come ‘dolosi’ o ‘colposi’ (Sez. 3, Sentenza n. 4915 del 01/04/2003).
Se ne trasse l ‘implicazione che la mancata o tardiva attuazione d’una direttiva comunitaria non può equipararsi ad un ‘fatto illecito’ ai sensi dell’art. 2043 c od. civ., e che, pertanto, l’obbligazione dello S tato di risarcire il danno causato dalla tardiva attuazione d’una direttiva comunitaria andasse equiparata ‘ all’inadempimento di un’obbligazione ex lege (di natura indennitaria), riconducibile come tale all’area della responsabilità contrattuale ‘ (così Sez. U, Sentenza
n. 9147 del 17/04/2009, la quale compose in tal guisa i precedenti contrasti giurisprudenziali, ed i cui princìpi sono stati costantemente ribaditi dalla giurisprudenza successiva: da ultimo, ex aliis , Sez. 1, Ordinanza n. 17936 del 22/06/2023).
Inquadrato il c.d. ‘illecito comunitario’ nell’area della responsabilità contrattuale, ne discese l’applicazione, al credito vantato da quanti avessero subito danno per effetto dell’inerzia del legislatore, del termine decennale di prescrizione.
A.1.1.b. A disciplinare la materia intervenne in seguito l’art. 4, comma 43, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (legge di stabilità per il 2012), il quale stabilì che ‘ la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’articolo 2947 del codice civile e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato ‘.
L’art. 4, comma 43, della l egge n.183/2011 fu dunque una norma che abbreviò il termine di prescrizione precedentemente ritenuto applicabile.
A.1.1.c. Gli effetti di una legge che abbrevi un termine di prescrizione sono disciplinati dall’art. 252, comma primo, disp. att. cod. civ.. Questa norma, sebbene dettata per disciplinare gli effetti dei nuovi termini di prescrizione introdotti dal codice civile, è stata ritenuta espressione di un principio generale (applicabile a qualunque ipotesi di ius superveniens che abbrevi un termine di prescrizione) sia dalla Corte costituzionale (Corte cost. n.20 del 1994), sia dalle Sezioni Unite di questa Corte di legittimità (Cass., Sez. Un., 7/03/2008, n. 6173).
L’art. 252, comma primo, disp. att. c od. civ., così come interpretato dalle decisioni appena ricordate, detta due regole. La prima regola prevede che quando una nuova legge stabilisce un
termine di prescrizione più breve di quello previsto dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all’esercizio dei diritti sorti anteriormente all’entrata in vigore della nuova legge, con decorrenza dall’entrata in vigore di quest’ultima. La s econda regola prevede che il termine di prescrizione introdotto dalla legge posteriore non si applica, se ha per effetto di prolungare la scadenza del termine previgente già in corso.
L ‘ art. 252 disp. att. cod. civ., in definitiva, fissa il principio per cui dall’entrata in vigore d i una legge abbreviatrice di un termine di prescrizione in corso, si applicherà il minor termine tra quello nuovo e quel che residua del termine originario.
A.1.1.d. La regola dettata dall’art. 252 disp. att. c od. civ. consente dunque di prefigurare quattro ipotesi.
ILa prima eventualità è che il termine di prescrizione sia spirato prima dell’entrata in vigore della nuova legge che lo abbia abbreviato: in tal caso ovviamente non si pone alcuna questione di successione di legge nel tempo, dal momento che la legge posteriore non potrebbe far rivivere diritti già estinti.
IILa seconda eventualità è che la nuova legge stabilisca un termine di prescrizione che, calcolato a decorrere dalla sua entrata in vigore, accorci la durata della prescrizione di cui il creditore avrebbe beneficiato secondo la legge previgente: in tal caso il credito si prescriverà non più nel termine originario, ma nel minor termine previsto dalla nuova norma, che inizierà a decorrere dall’entrata in vigore di quest’ultima.
IIILa terza eventualità è che al momento di entrata in vigore della legge abbreviatrice del previgente termine di prescrizione, mancasse allo spirare di quest’ultimo un arco di tempo minore rispetto al nuovo termine introdotto dallo ius superveniens , calcolato con decorrenza dall’entrata in vigore della nuova legge : in tal caso il credito si prescriverà nel termine originario e resterà insensibile allo ius superveniens .
IVLa quarta eventualità è che, dopo l’entrata in vigore della legge abbreviatrice del termine di prescrizione, ma prima che sia spirato il termine applicabile secondo quanto indicato ai precedenti capi II e III (ovvero il minor termine tra quello nuovo e quello originario residuo), il creditore interrompa la prescrizione: in tal caso si applicherà il nuovo termine, con decorrenza non dall’entrata in vigore della legge di riforma, ma dal compimento dell’atto interruttivo.
A.1.1.e. I princìpi sin qui esposti sono già stati ripetutamente applicati da questa Corte -ed in relazione alle più svariate fattispecie -in molti casi in cui una legge posteriore aveva abbreviato un termine di decadenza o di prescrizione previgente, (cfr. Cass., Sez. Un., 7/03/2008, n. 6173, cit. ; Cass., Sez. Un., 22/07/2015, n. 15352; Cass. 6/07/2023, n. 19173; Cass. 5/06/2023, n. 15651; Cass. 5/11/2021, n. 32165; Cass. 12/08/2021, n. 22820; Cass. 17/06/2021, n. 17430; Cass. 15/11/2022, n. 33553; Cass. 2/02/2022, n. 3166; Cass. 6/06/2019, n. 15315; Cass. 2/10/2018, n. 23893; Cass. 19/03/2010, n. 6705).
A.1.1.f. Essi princìpi devono pertanto applicarsi anche per disciplinare gli effetti della disposizione contenuta nell’art. 4, comma 43, legge 183/2011, come già ritenuto da questa Corte in identiche fattispecie (Cass. 20/12/2023, n. 35571 e Cass. 5/07/2024, n.18408, alle cui ulteriori motivazioni può qui rinviarsi ex art. 118 disp. att. cod. proc. civ.).
Il ricorso proposto della Presidenza del Consiglio dei Ministri deve dunque essere accolto in applicazione dei seguenti princìpi di diritto:
‘ La prescrizione del diritto al risarcimento del danno causato dalla tardiva attuazione d’una direttiva comunitaria è soggetto alla prescrizione quinquennale a partire dal 1° gennaio 2012, a nulla rilevando che il fatto generatore del danno, od il danno stesso si sia verificato in epoca anteriore.
Se, alla data del 1° gennaio 2012, il tempo mancante al compimento della prescrizione, calcolato secondo il termine originario, sia superiore al quinquennio, si applicherà il minor termine di durata quinquennale.
Se, alla data del 1° gennaio 2012, il tempo mancante al compimento della prescrizione, calcolato secondo il termine originario, sia inferiore al quinquennio, continuerà ad applicarsi il previgente termine decennale.
Se, dopo il 1° gennaio 2012, ma prima del maturare della prescrizione, il creditore ne abbia interrotto il corso, a partire dall’atto interruttivo si applicherà il termine quinquennale ‘.
A.1.1.g. La ritenuta erroneità, su questo punto, della sentenza impugnata non ne impone la cassazione con rinvio. Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, è possibile decidere la causa nel merito.
È incontroverso che il dott. NOME COGNOME ha interrotto la prescrizione con raccomandata AR di messa in mora del 12 dicembre 2008, e il giudizio di primo grado è iniziato il 28 luglio 2017.
Alla data di entrata in vigore della legge n.183/2011, pertanto, il tempo mancante alla prescrizione del credito di NOME COGNOME secondo le regole previgenti, era superiore al quinquennio ed era pari quasi ad un settennio.
Dal 1° gennaio 2012 tuttavia quel termine era stato ridotto, ai sensi del combinato disposto dell’art. 4, comma 43, l egge 183/2011, e 252 disp. att. cod. civ., a cinque anni decorrenti dal 1° gennaio 2012.
In applicazione del nuovo termine quinquennale, il credito si sarebbe quindi prescritto il 1° gennaio 2017, sicché esso doveva reputarsi estinto al momento del successivo atto interruttivo della prescrizione costituito dalla notificazione della citazione introduttiva del giudizio, effettuata il 28 luglio 2017.
Decidendo nel merito, va dunque rigettata la domanda proposta da NOME COGNOME
La novità della questione e l’esito alterno dei gradi di merito giustificano l’integrale compensazione delle spese di tutti i gradi del giudizio concernenti il relativo rapporto processuale.
Passando al ricorso successivo (che assume natura oggettiva di ricorso incidentale), va dato atto che alcuni dei ricorrenti indicati in epigrafe con capofila NOME COGNOME (precisamente, lo stesso NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME) hanno fatto pervenire dichiarazioni di rinuncia al ricorso sottoscritte sia da loro personalmente che dai loro difensori;
le rinunce soddisfano i requisiti di cui agli artt. 390, secondo comma, cod. proc. civ., per cui, a norma dell ‘ art. 391 cod. proc. civ., sussistono le condizioni per dichiarare, con riguardo ad essi, l ‘ estinzione del presente giudizio di cassazione;
le spese del medesimo giudizio concernenti i relativi rapporti processuali possono essere compensate nella misura di un terzo; a norma dell’art.390, secondo comma, cod. proc. civ., in assenza dell’accettazione della controparte, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME vanno condannati, in solido, al pagamento, in favore della amministrazione statale controricorrente, dei residui due terzi, liquidati come in dispositivo.
Non hanno dichiarato di rinunciare al ricorso incidentale, che va dunque delibato nel merito nei loro confronti, i ricorrenti NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
C.1. Con il primo motivo del ricorso incidentale, viene denunciata «Violazione e falsa applicazione art. 11, L. 370/99, in relazione all’art. 360, n. 3), cpc. Violazione e falsa applicazione art. 44 Direttiva 93/16/CEE, in relazione all’art. 360, n. 3), cpc. Violazione e falsa applicazione art. 2946 cc., in relazione all’a rt. 360, n. 3), cpc.
Violazione e falsa applicazione art. 2935 c.c., in relazione all’art. 360, n. 3), cpc. Violazione e falsa applicazione art. 132, n. 4), cpc. in relazione all’art. 360, n. 4), cpc. ».
La sentenza d’appello è censurata nella parte in cui ha ritenuto prescritti i diritti azionati dai ricorrenti, sul rilievo che il dies a quo , ai fini della prescrizione decennale di tali diritti, decorrerebbe dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore della legge n. 370/1999.
I ricorrenti, richiamando precedenti giurisprudenziali di merito, sostengono che la direttiva 93/16/CEE non sarebbe stata mai recepita nei confronti dei medici iscrittisi ai corsi di specializzazione tra il 1983 e il 1991, non potendosi ritenere norme di recepimento per costoro né quelle di cui al d.lgs. 257/1991 (i cui destinatari erano gli iscritti ai corsi di specializzazione a partire dall’a.a. 1991/1992), né l’art. 11 della legge n. 370/1999, la quale aveva come destinatari i beneficiari delle sentenze del TAR Lazio passate in giudicato.
Pertanto, in mancanza di attuazione della direttiva, la prescrizione non sarebbe mai iniziata a decorrere.
In ogni caso, il dies a quo della decorrenza della prescrizione decennale sarebbe da individuare nel giorno 20 ottobre 2007, data dell’abrogazione, ad opera dell’art. 62 del Direttiva 2005/36/CE, della direttiva 93/16/CEE, il cui art. 44 stabiliva che rimaneva fermo l’obbligo dei si ngoli Stati di recepire le direttive 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE.
C.2. Con il secondo motivo del ricorso incidentale è riproposta, in via subordinata, la richiesta di rinvio pregiudiziale, ex art. 267, T.F.U.E. , in ordine alla questione dell’individuazione del dies a quo di decorrenza del termine decennale di prescrizione dei diritti azionati, su cui avrebbe omesso di pronunciarsi la sentenza impugnata.
C.3. Con il terzo motivo del ricorso incidentale è riproposta, in via ulteriormente subordinata, l’ istanza di rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea ex art. 267 T.F.U.E. , per investirla della questione se possa reputarsi effettivo un rimedio
giurisdizionale prima che sia definita la natura giuridica dell’azione esperibile, con le conseguenti ricadute sui termini di prescrizione, prima che sia identificato il soggetto legittimato passivamente e prima che sia individuata la giurisdizione interna competente a conoscere la domanda.
C.3.1. I motivi illustrati -da esaminarsi congiuntamente per ragioni di connessione -sono inammissibili a norma dell’art. 360 -bis , n. 1, cod. proc. civ..
C.3.1.a. Al di là dei rilievi sopra formulati in ordine alla sopravvenuta applicabilità, nei termini e secondo i presupposti precisati, del termine quinquennale di prescrizione ex art. 4, comma 43, legge n.183/2011, è ormai ius receptum , nella giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo cui il diritto al risarcimento del danno da inadempimento della direttiva n. 82/76/CEE, riassuntiva delle direttive n. 75/362/CEE e n. 75/363/CEE, sorto in favore dei soggetti che avevano seguito corsi di specializzazione medica iniziati, dopo l’applicabilità del regime eurounitario ed entro l’anno accademico 1990-1991, in condizioni tali che, se detta direttiva fosse stata attuata, avrebbero acquisito i diritti da essa previsti, si prescrive nel termine di dieci anni decorrente dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vi gore dell’art.11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370 ( ex multis , tra le più recenti, Cass. n. 8096 del 2022, Cass. n. 39421 del 2021, Cass. n. 1589 del 2020, Cass. n. 18961 del 2020, Cass. n. 14112 del 2020, Cass. n. 16452 del 2019, Cass., Sez. Un., n. 30649 del 2018; Cass., Sez. Un., n. 18640 del 2022; Cass. n. 32959 del 2022; Cass. n. 24029 del 2023; Cass. n.34212 del 2023; Cass. n.36556 del 2023; Cass.n.6891 del 2024; Cass. n.7984 del 2024; Cass. n.8691 del 2024; Cass. n.8715 del 2024; Cass. n.9168 del 2024).
C.3.1.b. Questo consolidato orientamento trova fondamento nel rilievo secondo il quale «a seguito della tardiva ed incompleta trasposizione nell’ordinamento interno delle direttive n. 75/362/CEE
e n. 82/76/CEE, relative al compenso in favore dei medici ammessi ai corsi di specializzazione universitari – realizzata solo con il d.lgs. 8 agosto 1991, n. 257 – è rimasta inalterata la situazione di inadempienza dello Stato italiano in riferimento ai soggetti che avevano maturato i necessari requisiti nel periodo che va dal 1 gennaio 1983 al termine dell’anno accademico 1990-1991. La lacuna è stata parzialmente colmata con la L. 19 ottobre 1999, n. 370, art. 11, che ha riconosciuto il diritto ad una borsa di studio soltanto in favore dei beneficiari delle sentenze irrevocabili emesse dal giudice amministrativo; ne consegue che tutti gli aventi diritto ad analoga prestazione, ma tuttavia esclusi dal citato art. 11, hanno avuto da quel momento la ragionevole certezza che lo Stato non avrebbe più emanato altri atti di adempimento alla normativa Europea. Nei confronti di costoro, pertanto, la prescrizione decennale della pretesa risarcitoria comincia a decorrere dal 27 ottobre 1999, data di entrata in vigore del menzionato art. 11».
C.3.1.c. In senso contrario, non assume rilevanza l’argomento secondo il quale solo in tempi ampiamente successivi al 1999 la giurisprudenza di questa Corte avrebbe escluso quelle incertezze inibenti la decorrenza della prescrizione in pregiudizio del danneggiato, relative ad aspetti quali: l’individuazione della giurisdizione, se ordinaria o amministrativa; la natura dell’azione esperibile, se contrattuale o aquiliana; il termine di prescrizione; l’individuazione del legittimato passivo della domanda, se solo lo Stato o meno.
Detti argomenti – come già questa Corte ha più volte avuto modo di rimarcare (cfr., ad es., la citata Cass. 09/11/2022, n.32959) sono del tutto infondati e inidonei a indurre a un ripensamento della stabile nomofilachia richiamata.
Giova ricordare, al riguardo, che la questione della giurisdizione non incide affatto sulla consapevolezza della cristallizzazione della lesione e quindi sulla possibilità, per il danneggiato, di interrompere
la sua inerzia e il decorso del termine prescrizionale che, come noto, non ha bisogno di iniziative giurisdizionali ma può ben essere stragiudiziale.
Del pari, non ha alcun rilievo l’individuazione della natura dell’azione esperibile mentre la più ampia durata decennale della stessa, quale ricostruita, fa sì che la sua determinazione non abbia avuto alcun riflesso sulla maturazione della stessa.
Quanto alla legittimazione passiva -premesso che è dello Stato in persona della Presidenza del Consiglio dei Ministri, mentre l’evocazione in giudizio di un diverso organo statuale non si traduce nella mancata instaurazione del rapporto processuale, costituendo una mera irregolarità, sanabile ai sensi dell’art. 4 della legge n. 260 del 1958 (Cass., Sez. Un., 27/11/2018, n. 30649), sicché solo se diretta nei confronti della sola Università l’interruzione della prescrizione risulta inidonea (Cass.25/07/2019, n. 20099) -va osservato che dalla normativa del 1999 doveva ragionevolmente desumersi che il destinatario del credito era individuabile nell’amministrazione statale e non nell’autonomia universitaria.
C.3.1.d. Con riferimento alla remunerazione, giova tornare ad evidenziare che, a séguito dell’intervento con il quale il legislatore dettando l’art. 11 della legge 19 ottobre 1999, n. 370 -ha effettuato una aestimatio del danno, alla precedente obbligazione risarcitoria per mancata attuazione delle direttive si è sostituita un’obbligazione satisfattiva avente natura di debito di valuta, iscritta in una cornice di disciplina comunitaria nella quale non è rinvenibile una definizione di retribuzione adeguata, né sono posti i criteri per la determinazione della stessa, come ribadito anche dalla pronuncia della Corte di giustizia, 24 gennaio 2018, C-616/16 e C617-16 (cfr., ancora, da ultimo, la citata Cass. n. 32959 del 2022, nonché, in modo articolato, Cass.24/01/2020, n. 1641).
C.3.1.e. Quanto sopra si coordina con i rilievi da svolgere in ordine alla disciplina del trattamento economico dei medici
specializzandi di cui all’art. 39 del d.lgs. n. 368 del 1999, applicabile, per effetto di ripetuti differimenti, in favore dei medici iscritti alle scuole di specializzazione a decorrere dall’anno accademico 2006 -2007 e non a quelli iscritti negli anni antecedenti, che, ove a regime secondo la normativa statale di recepimento, restano soggetti alla disciplina di cui al d.lgs. n. 257 del 1991, sia sotto il profilo ordinamentale che economico, giacché, in particolare, la direttiva n. 93/16, rispetto alla quale quella n. 2005/36 nulla sposta, non ha introdotto alcun nuovo e ulteriore obbligo con riguardo alla misura della borsa di studio.
In altre parole, non è individuabile alcun momento in cui si è stabilita una remunerazione adeguata da valutarsi come la sola recettiva della disciplina unionale, tale da poter concludere, anche in tesi, che esclusivamente a far data da allora avrebbe potuto decorrere la prescrizione (cfr., in termini, Cass. 09/11/2022, n. 32959, cit. ).
C.3.1.f. Va pure sottolineata la compatibilità della soluzione adottata con i principi affermati dalla giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti Umani, in particolare laddove afferma e tutela il diritto di accesso al tribunale, sancito dall ‘ art. 6, par. 1 della Convenzione.
Giova osservare, al riguardo, che dalla giurisprudenza sul punto si ricava che, se, da un lato, il diritto di accesso ad un tribunale deve essere «concreto ed effettivo» (COGNOME c. Francia, 4.12.1995; COGNOME c. Croazia, 5.4.2018), nonché offrire alla persona «una chiara e concreta possibilità di opporsi ad un atto che costituisce un’ingerenza nei suoi diritti» (COGNOME c. Francia, cit.; COGNOME c. Portogallo, 10.4.2003; COGNOME c. Bulgaria, 16.7.2013), dall’altro lato le norme che disciplinano le formalità e i termini da rispettare al fine della presentazione di un ricorso o di una domanda di riesame giudiziario sono finalizzate ad assicurare la corretta amministrazione della giustizia e in particolare il rispetto del principio della certezza del
diritto (Canete de Goni c. Spagna, 15.10.2003); pertanto la Corte di Strasburgo ha sottolineato la necessità che i tribunali applichino le norme procedurali evitando sia l’eccessivo formalismo che l’eccessiva flessibilità che vanificherebbe i requisiti procedurali stabiliti dalla legge (COGNOME ad altri c. Turchia, 30.4.2017).
In particolare, con riferimento ai termini di prescrizione, la Corte EDU (Miragall Escolano e altri c. Spagna, 30.4.2000) si è limitata ad affermare che il diritto di instaurare un’azione o di proporre appello deve sorgere a decorrere dal momento in cui le parti hanno potuto effettivamente essere informate di una decisione giudiziaria che impone loro un obbligo o lede potenzialmente i loro legittimi diritti o interessi.
Non appare dunque ipotizzabile, nel caso di specie, la possibilità di una violazione dell’art. 6 della Convenzione, solo se si consideri che la prescrizione del diritto al risarcimento del danno per tardiva attuazione delle direttive comunitarie è fissata in dieci anni, secondo la chiara indicazione fornita dalle Sezioni Unite (Cass., Sez. Un., n. 9147 del 17/04/2009) e che il diritto era esercitabile immediatamente, non necessitando della proposizione preventiva dell’azione davanti al giudice amministrativo, trattandosi di diritto autonomo, scaturente dalla condotta dello Stato italiano (in termini, in motivazione, Cass., Sez. Un., n. 18640 del 2022, cit. ).
C.3.1.g. Quanto alla giurisprudenza della Corte di Giustizia che si è occupata del dies a quo della prescrizione relativa ai medici specializzandi, essa -come già si è osservato in precedenti arresti -ha evidenziato l’insussistenza di un potenziale contrasto tra la soluzione adottata e il principio di effettività tutelato dal diritto europeo, apparendo la soluzione sopra illustrata di certo rispettosa del richiamo a termini di prescrizione «ragionevoli» ed idonea a garantire l’adeguatezza dei mezzi di tutela per un’azione giurisdizionale proposta dai singoli per ottenere la protezione dei diritti conferiti da una direttiva comunitaria. Nella specie, non solo a
partire dal 27 ottobre 1999 nessuna norma dell’ordinamento interno impediva agli odierni ricorrenti di promuovere un giudizio per domandare il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie, ma – deve aggiungersi – nessun dubbio poteva sussistere su quale fosse il soggetto tenuto a rispondere di tale danno(lo Stato), e qualsiasi eventuale incertezza in ordine all’individuazione del giudice munito di giurisdizione a conoscere della relativa domanda non poteva ostare al decorso della prescrizione, dal momento che ogni eventuale errore poteva essere emendato mediante lo strumento del regolamento di giurisdizione (cfr., ancora, sul punto, le citate Cass. n. 18640 del 2022 e n.32959 del 2022).
C.3.1.h. I rilievi che precedono escludono la possibilità di accogliere le richieste di rinvio pregiudicale ex art. 267 T.F.U.E., poiché non vi è alcuna incertezza, sulla questione in esame, che imponga tale rinvio.
Questa Corte ha già rilevato -in particolare, con la già citata Cass., Sez. Un., n. 18640 del 2022 – come, alla luce della giurisprudenza della Corte di Giustizia che si è occupata della decorrenza e del dies a quo della prescrizione in relazione alla posizione dei medici specializzandi, non emerga un potenziale contrasto tra la soluzione adottata e il principio di effettività tutelato dal diritto europeo, in quanto la predetta soluzione appare ampiamente rispettosa del richiamo a termini di prescrizione ‘ragionevoli’, mediante i quali sia garantita l’adeguatezza dei mezzi di tutela a fronte di un ‘ azione giurisdizionale proposta da un singolo per ottenere la protezione dei diritti conferiti da una direttiva comunitaria.
Nella specie, non solo a partire dal 27 ottobre 1999 nessuna norma dell’ordinamento interno impediva agli odierni ricorrenti di promuovere un giudizio per domandare il risarcimento del danno da tardiva attuazione delle direttive comunitarie, ma – deve aggiungersi
-nessuna incertezza poteva sussistere su quale fosse il soggetto tenuto a rispondere di tale danno (lo Stato), né poteva dubitarsi che qualsiasi eventuale incertezza circa l’individuazione del giudice munito di giurisdizione a conoscere della relativa domanda non poteva impedire il decorso della prescrizione, dal momento che qualsiasi eventuale errore poteva essere rimediato mediante lo strumento del regolamento di giurisdizione (cfr., ancora, sul punto, la citata Cass. n.32959 del 2022).
In definitiva, il ricorso proposto dai dottori NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME va dichiarato inammissibile.
Le spese del giudizio di legittimità concernenti i relativi rapporti processuali seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.
Alla condanna dei ricorrenti soccombenti nelle spese processuali deve seguire quella al pagamento da parte loro, in favore delle amministrazioni vittoriose, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ., il cui importo può essere quantificato nella metà delle spese processuali.
Ciò, in ragione della circostanza che le inammissibili censure proposte, infrangendosi su orientamenti nomofilattici consolidati da molto tempo, si sono tradotte in una condotta processuale connotata da mala fede o colpa grave, contraria ai canoni di correttezza, nonché idonea a determinare oggettivamente, attraverso un uso abusivo del mezzo di impugnazione, un ingiustificato sviamento del sistema processuale dai suoi fini istituzionali, ponendosi in posizione incompatibile con un quadro ordinamentale che, da una parte, deve uni versalmente garantire l’accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti (art.6 CEDU) e, dall’altra, deve tenere conto del principio costituzionale della ragionevole durata del processo e della conseguente necessità di strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie, defatigatorie o pretestuose. Tale condotta si
presta, dunque, ad essere sanzionata con la condanna dei soccombenti al pagamento, in favore della controparte, di una somma equitativamente determinata, ai sensi dell’art.96, terzo comma, cod. proc. civ. (Cass. 04/08/2021, n. 22208; Cass. 21/09/2022, n. 27568; Cass. 05/12/2022, n. 35593).
F. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti incidentali, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte, riuniti i ricorsi:
accoglie il ricorso principale proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri; cassa in relazione la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da NOME COGNOME
compensa integralmente le spese di tuti i gradi di giudizio relative al rapporto processuale tra NOME COGNOME e la Presidenza del Consiglio dei Ministri;
dichiara estinto il giudizio di cassazione nei riguardi di NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
compensa le relative spese nella misura di un terzo e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, a rimborsare alla Amministrazione statale controricorrente i residui due terzi, che liquida in Euro 5.200,00, oltre le spese prenotate a debito;
dichiara inammissibile il ricorso incidentale proposto da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME; condanna NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, in solido tra loro, a rimborsare alla Amministrazione statale controricorrente le spese del giudizio di legittimità concernenti i relativi rapporti processuali, che liquida in
Euro 5.700,00, oltre le spese prenotate a debito, nonché a pagare alla Amministrazione statale controricorrente, ex art.96, terzo comma, cod. proc. civ., la somma di Euro 2.300,00, oltre interessi legali dal deposito della presente sentenza al saldo;
a i sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte di NOME COGNOME NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza