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Prescrizione lavoro pubblico: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 14559/2024, ha stabilito che la prescrizione dei crediti retributivi nel lavoro pubblico decorre anche in costanza di rapporto. A differenza del settore privato, nel pubblico impiego non si applica la sospensione del termine, poiché la stabilità del rapporto è considerata intrinseca e non sussiste un ‘metus’ (timore) giuridicamente rilevante che possa impedire al lavoratore di far valere i propri diritti.

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Pubblicato il 19 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Prescrizione nel lavoro pubblico: il termine decorre sempre

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di prescrizione nel lavoro pubblico. A differenza di quanto accade nel settore privato, per i dipendenti pubblici i termini per rivendicare i propri crediti retributivi decorrono anche durante lo svolgimento del rapporto di lavoro, senza alcuna sospensione. La decisione chiarisce che la stabilità del posto di lavoro pubblico, anche se contrattualizzato, esclude quel ‘timore’ che nel settore privato giustifica la sospensione dei termini.

I Fatti del Caso

La vicenda trae origine dal ricorso di alcuni lavoratori che avevano prestato servizio per una Provincia attraverso una serie di contratti di collaborazione coordinata e continuativa. Il tribunale di primo grado aveva riconosciuto la natura subordinata di tali rapporti, condannando l’ente pubblico al pagamento delle differenze retributive.

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva parzialmente riformato la sentenza, accogliendo l’eccezione di prescrizione sollevata dalla Provincia. Secondo i giudici di secondo grado, i crediti dei lavoratori erano in parte estinti perché il termine di prescrizione quinquennale, previsto dall’art. 2948 n. 4 c.c., era decorso ‘tempo per tempo’ durante lo svolgimento dei rapporti, e non solo dalla loro cessazione. I lavoratori hanno quindi proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il loro stato di precarietà avrebbe dovuto giustificare la sospensione della prescrizione, come avviene nel lavoro privato non assistito da garanzie di stabilità.

La questione della prescrizione nel lavoro pubblico

Il cuore della controversia verte sulla decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro nel pubblico impiego. I ricorrenti sostenevano che la loro posizione, caratterizzata da contratti successivi senza garanzia di rinnovo, li ponesse in una condizione di ‘metus’ (timore) verso il datore di lavoro pubblico, tale da impedire la rivendicazione dei propri diritti. Tale condizione, a loro avviso, avrebbe dovuto comportare la sospensione del decorso della prescrizione fino alla cessazione definitiva del rapporto, in analogia con la giurisprudenza consolidata per il lavoro privato privo di stabilità reale.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha rigettato il ricorso, confermando l’orientamento consolidato in materia. Gli Ermellini hanno chiarito che il regime della prescrizione nel lavoro pubblico segue regole diverse da quelle del settore privato.

Le motivazioni

La Corte ha fondato la sua decisione su alcuni punti cardine:

1. Stabilità intrinseca del rapporto pubblico: Secondo la giurisprudenza costante, anche costituzionale, il rapporto di lavoro pubblico, seppur contrattualizzato, è assistito da un regime di stabilità intrinseca. L’azione del datore di lavoro pubblico è vincolata ai principi costituzionali di legalità, imparzialità e buon andamento (artt. 97 e 98 Cost.), a differenza del datore di lavoro privato, la cui azione è governata dall’art. 41 Cost. sulla libertà di iniziativa economica. Questo implica che il lavoratore pubblico dispone di tutele e rimedi giurisdizionali specifici contro atti illegittimi, rendendo non configurabile una situazione di soggezione psicologica tale da giustificare la sospensione della prescrizione.

2. Irrilevanza del ‘metus’: Di conseguenza, il timore della mancata rinnovazione di un contratto a termine non costituisce un ‘metus’ giuridicamente rilevante. Si tratta, secondo la Corte, di una mera aspettativa di fatto e non di un diritto soggettivo tutelabile. La condizione di soggezione che giustifica la sospensione della prescrizione nel settore privato non è quindi estensibile al pubblico impiego.

3. Applicazione estensiva: Questo principio, già affermato per i rapporti a tempo indeterminato e per la successione di contratti a termine, si applica anche ai rapporti formalmente qualificati come autonomi ma di fatto subordinati, come nel caso di specie. Una volta accertata la natura subordinata, il rapporto viene ricondotto alla fattispecie del lavoro subordinato a tempo determinato nel pubblico impiego, per il quale vale la regola della decorrenza della prescrizione in costanza di rapporto.

Le conclusioni

L’ordinanza consolida un principio di diritto di grande importanza pratica per tutti i lavoratori del settore pubblico. La decisione riafferma la netta distinzione tra impiego pubblico e privato in tema di prescrizione dei crediti retributivi. I dipendenti pubblici, anche con contratti a termine, devono essere consapevoli che il diritto a rivendicare le proprie spettanze economiche deve essere esercitato entro i termini di legge (solitamente cinque anni), che decorrono dal momento in cui il diritto stesso sorge, e non dalla fine del rapporto. Attendere la cessazione del contratto per agire in giudizio comporta il rischio concreto di vedere le proprie pretese respinte per intervenuta prescrizione.

Nel lavoro pubblico, la prescrizione dei crediti retributivi decorre durante il rapporto di lavoro?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato decorre sempre in costanza di rapporto, sia per i contratti a tempo indeterminato che per quelli a tempo determinato, a partire dal momento in cui il diritto sorge.

Perché la Corte di Cassazione distingue tra lavoro pubblico e privato riguardo la decorrenza della prescrizione?
La distinzione si basa sulla diversa natura della stabilità del rapporto. Nel pubblico impiego, il rapporto è considerato intrinsecamente stabile e protetto da tutele specifiche contro atti illegittimi, il che esclude la presenza di un ‘metus’ (timore) giuridicamente rilevante. Nel privato, la sospensione della prescrizione è giustificata proprio dalla mancanza di tale stabilità e dal timore del licenziamento.

Il timore (metus) del lavoratore di non vedersi rinnovare il contratto a termine sospende la prescrizione nel pubblico impiego?
No. La Corte ha stabilito che il timore del mancato rinnovo del contratto a termine nel pubblico impiego non è un ‘metus’ giuridicamente rilevante, ma una mera ‘apprensione’ basata su un’aspettativa di fatto. Pertanto, non è una condizione idonea a sospendere il decorso della prescrizione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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