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Prescrizione lavoro domestico: quando decorre?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 26236/2024, ha rigettato il ricorso di un datore di lavoro, confermando che la prescrizione nel lavoro domestico per i crediti retributivi decorre dalla cessazione del rapporto. La Corte ha ribadito che la mancanza di stabilità reale in questo tipo di contratto giustifica il posticipo del termine, a tutela del lavoratore che potrebbe temere ritorsioni.

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Pubblicato il 22 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Prescrizione Lavoro Domestico: La Cassazione Conferma la Decorrenza dalla Fine del Rapporto

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha riaffermato un principio cruciale per la tutela dei diritti dei lavoratori domestici. Al centro della questione vi è la prescrizione nel lavoro domestico, ovvero il termine entro cui un collaboratore può far valere i propri crediti retributivi. La Suprema Corte ha stabilito che, data la natura del rapporto, il conteggio dei cinque anni per la prescrizione non inizia durante il rapporto di lavoro, ma solo alla sua conclusione. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla richiesta di una collaboratrice domestica nei confronti del suo ex datore di lavoro. La lavoratrice lamentava il mancato pagamento di scatti di anzianità e del Trattamento di Fine Rapporto (T.f.r.) per un lungo periodo lavorativo, dal 1997 al 2014.

Il datore di lavoro si era opposto, eccependo in primo luogo la prescrizione di parte dei crediti, in quanto maturati più di cinque anni prima della richiesta di pagamento. I giudici di primo grado e la Corte d’Appello di Perugia avevano però dato ragione alla lavoratrice, condannando il datore di lavoro al pagamento delle somme dovute. La tesi dei giudici di merito era chiara: nel lavoro domestico, il termine di prescrizione inizia a decorrere solo dalla cessazione del rapporto.

Insoddisfatto della decisione, il datore di lavoro ha proposto ricorso in Cassazione, sollevando diverse questioni, tra cui, principalmente, una presunta errata applicazione delle norme sulla prescrizione.

La Questione della Prescrizione nel Lavoro Domestico

Il fulcro del ricorso verteva sulla decorrenza della prescrizione quinquennale dei crediti di lavoro. Secondo il datore di lavoro, la Corte d’Appello avrebbe dovuto applicare la prescrizione anche ai crediti sorti in costanza di rapporto, senza attendere la sua fine.

La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato questa tesi, basandosi su un consolidato orientamento giurisprudenziale, rafforzato da diverse sentenze della Corte Costituzionale. Il principio è il seguente: la prescrizione dei crediti retributivi decorre in costanza di rapporto solo se il lavoratore è protetto da un regime di “stabilità reale”, cioè da una normativa che lo tuteli efficacemente contro i licenziamenti illegittimi.

Quando questa stabilità manca, come nel caso del rapporto di lavoro domestico, si presume che il lavoratore si trovi in una condizione di soggezione psicologica (metus) nei confronti del datore di lavoro. Questo timore potrebbe indurlo a non rivendicare i propri diritti per paura di essere licenziato. Per questo motivo, la legge, così come interpretata dalla giurisprudenza, tutela il lavoratore facendo partire il “cronometro” della prescrizione solo dal momento in cui il rapporto di lavoro cessa e tale timore viene meno.

Le Motivazioni della Decisione

La Suprema Corte ha dettagliatamente motivato il rigetto del ricorso. In primo luogo, ha ribadito che il rapporto di lavoro domestico è intrinsecamente privo delle garanzie di stabilità che caratterizzano altri tipi di impiego. Pertanto, è corretto applicare il principio secondo cui la prescrizione decorre dalla cessazione del rapporto.

I giudici hanno specificato che non è necessario accertare caso per caso l’effettiva esistenza di una situazione di timore nel lavoratore. La mancanza di stabilità è una caratteristica oggettiva del tipo di contratto, sufficiente a giustificare il differimento della decorrenza della prescrizione. La Corte ha quindi definito infondata la tesi del ricorrente, che chiedeva un’applicazione delle norme sulla prescrizione basata su una valutazione astratta e non concreta della natura del rapporto.

Oltre alla questione principale, la Cassazione ha dichiarato inammissibili o infondati anche gli altri motivi di ricorso presentati dal datore di lavoro, relativi, tra l’altro, alla validità di un presunto accordo per il pagamento mensile del T.f.r. e alla richiesta di interessi e rivalutazione su somme a carico della lavoratrice. Anche in questi casi, le censure sono state respinte per ragioni procedurali o perché non coglievano la corretta ratio della decisione impugnata.

Conclusioni

L’ordinanza in commento consolida un orientamento fondamentale per la protezione dei diritti economici dei lavoratori domestici. La decisione chiarisce che la prescrizione nel lavoro domestico non corre finché il rapporto è in essere. Questo significa che colf, badanti e altri collaboratori domestici possono rivendicare le differenze retributive non pagate (come stipendi, scatti di anzianità, T.f.r.) entro cinque anni dalla data di fine del rapporto, senza il rischio di vedersi opporre l’estinzione del diritto per i crediti più risalenti nel tempo. Per i datori di lavoro, questa pronuncia rappresenta un monito a gestire correttamente il rapporto fin dall’inizio, adempiendo a tutti gli obblighi retributivi e contributivi per evitare contenziosi futuri.

Quando inizia a decorrere la prescrizione per i crediti retributivi di un lavoratore domestico?
Secondo la Corte di Cassazione, la prescrizione quinquennale per i crediti di lavoro del collaboratore domestico inizia a decorrere solo dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.

Perché la prescrizione nel lavoro domestico ha una decorrenza diversa rispetto ad altri rapporti di lavoro?
La decorrenza è diversa perché il rapporto di lavoro domestico è considerato privo di un regime di “stabilità reale”. Questa assenza di garanzie contro il licenziamento pone il lavoratore in una condizione di potenziale timore (metus), che potrebbe dissuaderlo dal rivendicare i propri diritti in costanza di rapporto. Per tutelarlo, il termine si sposta alla fine del contratto.

La Corte ha valutato se la lavoratrice avesse effettivamente paura del suo datore di lavoro?
No, la Corte ha chiarito che non è necessaria una valutazione della situazione psicologica concreta del lavoratore. La decorrenza della prescrizione dalla fine del rapporto si applica oggettivamente in tutti i casi in cui manchi la stabilità reale, come appunto nel lavoro domestico, a prescindere dal timore effettivo provato dal singolo dipendente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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