Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 26236 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 26236 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 08/10/2024
ORDINANZA
sul ricorso 32378-2020 proposto da:
NOME, domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
NOME COGNOME;
– intimata – avverso la sentenza n. 140/2020 della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositata il 30/09/2020 R.G.N. 128/2019;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/09/2024 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/09/2024
CC
RILEVATO CHE
1. con sentenza 30 settembre 2020, la Corte d’appello di Perugia ha rigettato l’appello di NOME COGNOME avverso la sentenza di primo grado -di sua condanna al pagamento, in favore della propria collaboratrice domestica NOME COGNOME, della complessiva somma di € 18.601,07 (operata la compensazione tra la condanna del primo al pagamento delle somme di € 12.847,71 per scatti di anzianità e di € 9.994,93 per T.f.r. in favore della seconda, condannata a propria volta a restituire al primo la somma di € 4.24 1,57, corrispondente alla trattenuta per la quota di contributi a suo carico non operata in busta paga), di inammissibilità della domanda della dipendente di pagamento dei contributi, per difetto di legittimazione attiva -e condannato l’appellante alla ri fusione delle spese del grado; 2. per quanto ancora rileva, la Corte territoriale ha ribadito la negazione della prescrizione dei crediti (per scatti di anzianità biennali non percepiti) della lavoratrice domestica, dipendente dell’appellante dal 3 novembre 1997 al 15 settembre 2014, maturati prima del quinquennio anteriore al primo atto interruttivo (richiesta di pagamento avanzata nel gennaio 2016), per la sua decorrenza dalla cessazione del rapporto, privo di stabilità reale;
3. essa ha inoltre rilevato come il Tribunale -che aveva correttamente ritenuto l’invalidità dell’accordo tra le parti di pagamento mensile del T.f.r., in assenza di sua stipulazione in sede protetta -abbia poi contraddittoriamente qualificato l’omessa t rattenuta datoriale dalla busta paga dei contributi, a carico della lavoratrice, alla stregua di ‘ acconto di quanto scaturente a titolo di differenza retributiva’ (anche) per ‘t.f.r. … per tal motivo’ da defalcare ‘dal relativo montante’ : in tal modo, acco gliendo la tesi dell’appellante; senza che la
lavoratrice soccombente impugnasse tale capo di sentenza (essendosi ella semplicemente ‘limitata a riproporre la tesi dell’insussistenza dell’accordo e il disconoscimento della sottoscrizione in calce al documento prodotto dal COGNOME‘ ), sul quale si era pertanto formato il giudicato. Sicché, ha ritenuto inammissibile, per difetto di interesse, la doglianza del datore appellante per avere il Tribunale reputato invalido l’accordo di pagamento mensile stipulato tra le parti, comprovato dalla sua produzione in giudizio e disconosciuto dalla lavoratrice, senza neppure ammettere la perizia calligrafica richiesta dalla lavoratrice medesima;
con atto notificato il 18 dicembre 2020, NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione con tre motivi, mentre la lavoratrice intimata non ha svolto difese;
il collegio ha riservato la motivazione, ai sensi dell’art. 380 bis 1, secondo comma, ult. parte c.p.c.
CONSIDERATO CHE
1. il ricorrente ha dedotto violazione o falsa applicazione degli artt. 2120, undicesimo comma come mod. dall’art. 1, primo comma legge 297/1982, 2113, secondo e terzo comma c.c. e 112 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente negato la validità e l’efficacia dell’accordo individuale stipulato tra le parti (di pattuizione della liquidazione mensile, da parte del datore in favore della lavoratrice, di un acconto sulla quota di T.f.r. periodicamente maturato, di entità pari alla trattenuta della quota mensile dei contributi a carico della seconda), quale condizione di miglior favore nei suoi confronti in forza del regime di derogabilità delle eventuali anticipazioni del T.f.r., in assenza di tempestiva impugnazione, a pena di decadenza nel termine di sei mesi, di tale accordo da parte della lavoratrice; e per
avere omesso il riconoscimento degli interessi legali e della rivalutazione sull’ammontare dei contributi, a carico della lavoratrice, versati dal datore all’RAGIONE_SOCIALE trimestralmente (primo motivo);
esso è in parte inammissibile e in parte infondato;
il motivo è generico, ai sensi dell’art. 366, primo comma, n.
4 c.p.c., che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 3 luglio 2008, n. 18202; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 23 gennaio 2019, n. 1845; Cass. 18 novembre 2020, n. 26277), per la parte relativa all’omessa confutazione dell’argomentazione decisoria della Corte territoriale, di inammissibilità dell’appello per difetto di interesse, in ordine alla (in)validità e (in)efficacia dell’accordo individuale stipulato tra le parti (al secondo capoverso di pg. 6, in riferimento all’ultimo di pg. 5 e al primo di pg. 6 della sentenza), risolutivo della questione sul punto;
3.1. non sussiste poi il vizio di omessa pronuncia sul riconoscimento degli interessi legali e della rivalutazione sull’ammontare dei contributi a carico della lavoratrice. Come noto, esso ricorre qualora non sia stato assunto il provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, ossia quando il giudice non abbia deciso su alcuni capi della domanda autonomamente apprezzabili o sulle eccezioni proposte, ovvero abbia pronunciato solo nei confronti di alcune parti; il mancato o insufficiente esame delle argomentazioni delle parti integrando invece un vizio di natura diversa, relativo all’attività svolta dal giudice per supportare
l’adozione del provvedimento, ma non di mancanza del momento decisorio (Cass. 18 febbraio 2005, n. 3388; Cass. 3 marzo 2020, n. 5730).
La Corte territoriale ha, infatti, pronunciato sul capo di domanda, avendone negato la spettanza, trattandosi, come illustrato in modo argomentato (per le ragioni esposte all’ultimo capoverso di pg. 6 e al primo periodo di pg. 7 della sentenza), non già di un credito dell’appellante, ma di un pagamento parziale del credito della lavoratrice;
4. il ricorrente ha poi dedotto violazione o falsa applicazione degli artt. 2948 n. 4, 2955 n. 2 e 2956 n. 1, come modificati dalla sentenza della Corte costituzionale n. 63 del 10 ottobre 1963, di illegittimità costituzionale in parte qua , per non avere la Corte territoriale applicato in concreto, anche tenuto conto della sentenza della Corte costituzionale n. 143 del 1969, il principio del metus (in ragione di una corretta lettura della stabilità reale del rapporto di lavoro dal suo concreto atteggiarsi, alla base dell’esistenza o meno di una tale effettiva situazione psicologica), anziché in astratto (sulla sola base della non stabilità reale del rapporto di lavoro domestico), senza neppure pronunciarsi sulla sua ricorrenza nel caso di specie, alla luce delle illustrate modalità di gestione del rapporto di lavoro domestico con la lavoratrice (secondo motivo);
5. esso è infondato;
6. secondo insegnamento giurisprudenziale costituzionale e di legittimità, consolidatosi alla stregua di ‘diritto vivente’, la prescrizione dei diritti retributivi matura in costanza di rapporto (dal momento di loro progressiva insorgenza) o dalla sua cessazione (per quelli originati da essa), sul presupposto della sua ‘stabilità’ o meno (avendosi la prima decorrenza, in suo difetto; la seconda, nella sua sussistenza). Il regime di stabilità
è individuato, come noto, da ‘una disciplina che essa assicuri normalmente del rapporto e fornisca le garanzie di appositi rimedi giurisdizionali contro ogni illegittima risoluzione’ (Corte cost. 20 novembre 1969, n. 143, Considerato in diritto , p.to 1; Cass. S.U. 12 aprile 1976, n. 1268 e succ.)’ (Cass. 5 agosto 2019, n. 20918, in motivaz. sub p.to 4; Cass. 6 settembre 2022, n. 26246, in motivaz. sub p.ti 4 e 5). Per converso, non si configura alcun metus nella condizione psicologica di un’apprensione che costituisca una mera aspettativa di fatto, non giustiziabile per la sua irrilevanza giuridica, in presenza della detta stabilità di rapporto (Cass. S.U. 28 dicembre 2023, n. 36197, nel caso di specie del cittadino verso la pubblica amministrazione, secondo cui la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato -sia nei rapporti a tempo indeterminato, sia in quelli a tempo determinato, e anche in caso successione di contratti a termine -decorre, per i crediti che nascono nel corso del rapporto lavorativo, dal giorno della loro insorgenza e, per quelli che maturano alla cessazione, a partire da tale data, in motivaz. sub p.ti 5 e 11);
il ricorrente ha infine dedotto violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., per erronea statuizione sulle spese della Corte territoriale, qualora non avesse violato le norme denunciate con il ricorso (terzo motivo);
esso è inammissibile, neppure configurando una censura sulla statuizione sulle spese, piuttosto prospettando l’eventuale ricaduta sul capo relativo alle spese del giudizio, per effetto espansivo interno, ai sensi dell’art. 336, primo comma c.p.c. , di una diversa pronuncia favorevole;
il ricorso deve pertanto essere rigettato, senza statuizione sulle spese del giudizio, non avendo la parte vittoriosa svolto
attività difensiva e con il raddoppio del contributo unificato, ove spettante nella ricorrenza dei presupposti processuali (Cass. s.u. 20 settembre 2019, n. 23535).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, il 12 settembre 2024