Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 15310 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 15310 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 24191-2024 proposto da:
COGNOME NOME, rappresentato e difeso dall’avv.to NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
MINISTERO della GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore ;
– intimato- avverso la sentenza n. 2313/2024 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 21.6.2024 R.G.N. 3203/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 05/06/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
Oggetto
Lavoro
carcerario
–
Mercede
–
Adeguamento
– Prescrizione
R.G.N. 24191/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 05/06/2025
CC
FATTI DI CAUSA
La Corte di Appello di Roma, in riforma della sentenza di primo grado resa dal Tribunale della stessa città, rigettava la domanda proposta dal detenuto NOME COGNOME qui ricorrente in cassazione, di condanna del Ministero della Giustizia al pagamento delle differenze specificamente indicate in ricorso, rispetto a quanto ricevuto a titolo di mercede.
A fondamento della pretesa NOME COGNOME esponeva: a) di essere stato detenuto in vari istituti penitenziari ininterrottamente dal settembre 1997 con fine pena previsto per il 6.3.2044; b) di aver prestato la propria attività lavorativa in favore dell’Amministrazione penitenziaria, per quanto rileva nel presente giudizio, nell’arco temporale dal settembre 1997 al marzo 2002; c) di aver svolto mansioni lavorative riconducibili al lavoratore Cat. A , del c.c.n.l. ‘Turismo Pubblici esercizi’ , ma di aver ricevuto per le attività lavorative espletate solo i 2/3 di quanto a lui spettante in applicazione della contrattazione collettiva vigente nel 1992. Sulla base di dette premesse, ritenute inadeguate le somme ricevute in pagamento per l’attività lavorativa svolta , agiva per il pagamento delle differenze.
La sentenza di appello rigettava la domanda ritenendo fondata l’eccezione di prescrizione sollevata dal Ministero della Giustizia.
Propone ricorso per cassazione con un motivo il detenuto, depositando altresì memoria.
Resta intimato il Ministero della Giustizia.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l’unico motivo di ricorso per cassazione NOME COGNOME lamenta la violazione degli artt. 15, comma 2, e 20, commi 1 e 3, della l. n. 354 del 1975, nonché dell’art. 2697, comma 2, c.c.,
degli artt. 112, 115 e 132 n. 4 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 e 4 , c.p.c.
1.1. Sostiene il ricorrente in cassazione che la sentenza di appello nell’affermare la prescrizione dei crediti ha violato i seguenti principi costituenti diritto vivente nella giurisprudenza di legittimità: a) è onere del datore, il Ministero della Giustizia, allegare le specifiche interruzioni del rapporto di lavoro inter partes; b) in assenza di prova delle interruzioni del rapporto lavorativo, questo deve ritenersi unitario; c) in ragione della mancanza di stabilità reale e stante la condizione di metus in cui versa il detenuto, il corso della prescrizione non corre in corso di rapporto. A sostegno di quanto innanzi richiama Cass. n. 17484/2024, Cass. n. 17476/2024, Cass. n. 22076/2024 e Cass. n. 2092/2024.
1.2. Rileva che la sentenza della Corte territoriale è erronea nella parte in cui, invece, afferma che da ogni rapporto di lavoro instaurato con l’amministrazione della giustizia sorge un autonomo diritto a conseguire i relativi crediti, con la conseguenza che, alla cessazione di ciascun rapporto, inizia il decorso del termine di prescrizione dei crediti del detenuto lavoratore.
1.3. Il motivo è fondato e va accolto sulla scorta di quanto questa Corte, nell’esaminare nel d ettaglio la questione della prescrizione dei crediti retributivi dei detenuti, ha recentemente affermato e chiarito in Cass. n. 5510/2025, rv. 673871-01, ulteriormente puntualizzando agli approdi cui in precedenza era giunta anche nei precedenti richiamati nel motivo.
1.4. Ritiene il Collegio di riportarsi integralmente, anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., alle motivazioni puntualmente svolte nella pronunzia innanzi ricordata Cass. n. 5510/2025, rv. 673871-01, riaffermando, per quanto qui rileva che: in tema di
lavoro svolto dai detenuti in regime carcerario, la prescrizione dei relativi crediti retributivi inizia a decorrere non già dalla cessazione dello stato detentivo, bensì dalla fine del rapporto di lavoro, il quale va considerato unico, non essendo configurabili interruzioni intermedie nei periodi in cui il detenuto è in attesa della ‘chiamata al lavoro’ , con la conseguenza che, per far valere tale prescrizione, la P.A. ha l’onere di allegare e dimostrare il momento in cui detto rapporto è definitivamente terminato, che può coincidere o con la cessazione dello stato di detenzione o con il precedente verificarsi di altre situazioni obiettivamente incompatibili con la prosecuzione del rapporto di lavoro, come ad esempio, l’età, lo stato di salute o l’inidoneità al lavoro dell’interessato.
1.5. In accoglimento del motivo la sentenza impugnata va quindi cassata, essendo ancora in corso lo stato di detenzione (cfr. pag. 2 della sentenza di appello che indica quale fine pena il 2044) e non risultando dalla pronunzia qui gravata l’allegazione (prima che la prova) di altre situazioni obiettivamente incompatibili (nei termini di cui innanzi) con la prosecuzione del rapporto lavorativo (inidoneità al lavoro, malattia, etc.).
Tanto premesso, non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., con la condanna del Ministero della giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di € 7.608,91 (somma al pagamento della quale era già stato condannato in primo grado), oltre al maggiore importo tra interessi legali e rivalutazione, dalla maturazione al saldo.
La regolamentazione delle spese di tutti i gradi di giudizio -che vengono liquidate come in dispositivo -segue la
soccombenza, con distrazione in favore del difensore che ha reso la prescritta dichiarazione.
3. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, della somma di € 7.608,91, oltre al maggiore importo tra interessi legali e rivalutazione, dalla maturazione al saldo;
condanna, altresì, il Ministero della giustizia al pagamento, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio di primo grado, che liquida in euro 2.500,00 oltre accessori di legge; delle spese del giudizio di secondo grado che liquida in euro 3.000,00 oltre accessori di legge; delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 2.500,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% e accessori di legge; spese tutte da attribuire all’Avv. NOME COGNOME, antistatario.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto che non sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di cassazione il 5 giugno 2025.
La PRESIDENTE
NOME COGNOME