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Prescrizione lavoro carcerario: la decorrenza

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19005/2024, ha stabilito che la prescrizione dei crediti retributivi per il lavoro svolto in carcere non decorre dalla cessazione di ogni singolo incarico, ma dal momento in cui cessa l’intero rapporto di lavoro carcerario. La decisione si fonda sulla natura unitaria del rapporto e sulla condizione di soggezione (‘metus’) del detenuto, che non gli permette di esercitare liberamente i propri diritti durante la detenzione. Viene così rigettato il ricorso del Ministero della Giustizia, che sosteneva la decorrenza della prescrizione dalle singole interruzioni lavorative.

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Pubblicato il 4 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Prescrizione Lavoro Carcerario: La Cassazione Fissa la Decorrenza alla Fine della Detenzione

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 19005 del 2024, ha affrontato un tema cruciale per i diritti dei lavoratori detenuti: la prescrizione del lavoro carcerario. La Corte ha stabilito che il termine per richiedere differenze retributive non inizia a decorrere alla fine di ogni singolo incarico, ma solo al momento della cessazione definitiva del rapporto di lavoro, che spesso coincide con la fine della detenzione. Questa decisione si basa sulla particolare condizione di ‘metus’ (soggezione) del detenuto.

I Fatti di Causa

Due ex detenuti avevano svolto attività lavorativa per l’amministrazione penitenziaria durante il loro periodo di reclusione in diverse case circondariali. Una volta liberi, avevano citato in giudizio il Ministero della Giustizia per ottenere l’adeguamento della retribuzione (‘mercede’) percepita, ritenuta inferiore a quanto dovuto. Il Ministero si era difeso eccependo la prescrizione dei crediti, sostenendo che il termine quinquennale dovesse essere calcolato dalla fine di ogni singolo contratto di lavoro a termine.
Sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano dato ragione ai lavoratori, considerando il rapporto di lavoro carcerario come un unico vincolo che si protrae per tutto il periodo di detenzione, sospendendo così la decorrenza della prescrizione.

La Questione della Prescrizione nel Lavoro Carcerario

Il nodo centrale della controversia era stabilire se i vari periodi di lavoro svolti dal detenuto, spesso intervallati da periodi di inattività, dovessero essere considerati come tanti rapporti di lavoro autonomi e distinti, oppure come un unico rapporto di lavoro continuativo.

Secondo la tesi del Ministero, ogni interruzione segnava la fine di un contratto e l’inizio della decorrenza della prescrizione per i crediti maturati in quel periodo.

Secondo i lavoratori, invece, la loro condizione di soggezione all’interno del carcere impediva un libero e sereno esercizio del diritto di agire in giudizio contro il datore di lavoro (l’amministrazione penitenziaria), giustificando lo spostamento della decorrenza della prescrizione alla fine della detenzione stessa.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso del Ministero, confermando le sentenze dei gradi precedenti e offrendo un’analisi approfondita della natura del lavoro penitenziario.

L’Evoluzione del Lavoro in Carcere: Da Pena a Rieducazione

La Corte ha ripercorso l’evoluzione storica e normativa del lavoro carcerario, evidenziando come esso si sia trasformato da elemento puramente punitivo e afflittivo a strumento fondamentale per il trattamento rieducativo e il reinserimento sociale del detenuto, in linea con l’art. 27 della Costituzione. Sebbene non sia più formalmente ‘obbligatorio’, il lavoro rimane una componente essenziale del percorso trattamentale, la cui mancanza può influire negativamente sulla valutazione della condotta del detenuto.

La Natura Unitaria del Rapporto e il ‘Metus’

Il punto chiave della sentenza risiede nell’identificazione di una condizione di ‘metus’ che caratterizza il detenuto-lavoratore. Questo ‘metus’ non è il timore di un licenziamento ritorsivo, tipico del lavoro ‘libero’, ma una più generale e pervasiva condizione di soggezione alle determinazioni dell’istituto penitenziario.

La scarsità di posti di lavoro, l’assenza di graduatorie trasparenti, le esigenze di rotazione e la discrezionalità dell’amministrazione nell’assegnare gli incarichi creano una situazione in cui il detenuto non ha alcun potere di controllo o scelta. Questa dipendenza totale dall’amministrazione per l’accesso e il mantenimento del lavoro genera uno stato psicologico che scoraggia l’azione legale per la tutela dei propri diritti retributivi durante la detenzione. Pertanto, i diversi incarichi lavorativi non sono visti come contratti autonomi, ma come fasi di un unico rapporto di lavoro che perdura finché esiste il legame con l’istituto penitenziario.

Perché le Interruzioni non Contano ai Fini della Prescrizione

Di conseguenza, le interruzioni tra un incarico e l’altro non sono considerate cessazioni del rapporto, ma mere sospensioni. Il rapporto di lavoro è sostanzialmente unico e si conclude solo quando viene meno la sua ragione d’essere (ad esempio, con la fine della pena) o per altre circostanze oggettive (età, inidoneità fisica). È solo da quel momento che il lavoratore, riacquistata la piena libertà, può agire senza timori, e quindi è solo da quel momento che la prescrizione può iniziare a decorrere.

Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante consolidamento dei diritti dei detenuti lavoratori. Stabilendo che la prescrizione decorre solo dalla cessazione del rapporto unico di lavoro carcerario, la Corte garantisce una tutela più efficace dei crediti retributivi. Questa interpretazione riconosce la peculiarità e la debolezza della posizione del lavoratore in stato di detenzione, allineando la giurisprudenza al principio costituzionale della funzione rieducativa della pena, che passa anche attraverso la garanzia di un lavoro equamente retribuito e pienamente tutelato nei suoi diritti.

Da quando decorre la prescrizione per i crediti retributivi del lavoro carcerario?
Secondo la sentenza, la prescrizione non decorre dalla cessazione dei singoli incarichi lavorativi, ma dal momento in cui cessa definitivamente il rapporto di lavoro, inteso come unico e continuativo per tutta la durata della detenzione lavorativa.

Perché il rapporto di lavoro svolto in carcere è considerato unitario anche se ci sono interruzioni?
È considerato unitario perché le interruzioni non sono viste come cessazioni contrattuali, ma come sospensioni all’interno di un unico contesto di detenzione. La relazione lavorativa è legata alla funzione rieducativa della pena e alla condizione di soggezione del detenuto all’amministrazione, che gestisce l’assegnazione del lavoro in modo continuativo ma non necessariamente costante.

Cosa intende la Cassazione per ‘metus’ nel contesto del lavoro carcerario?
Il ‘metus’ non è la paura di una ritorsione diretta da parte del datore di lavoro, ma una condizione di soggezione psicologica derivante dalla dipendenza totale del detenuto dalle decisioni dell’amministrazione penitenziaria per l’accesso e il mantenimento del posto di lavoro. Questa condizione scoraggia l’esercizio dei propri diritti durante la detenzione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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