Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 17058 Anno 2025
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Civile Ord. Sez. L Num. 17058 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 25/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso 29071-2021 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
REGIONE LAZIO, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1627/2021 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/05/2021 R.G.N. 3495/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 22/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con sentenza del 3 maggio 2021, la Corte d’Appello di Roma confermava la decisione resa dal Tribunale di Roma e rigettava per intervenuta prescrizione dei diritti azionati la domanda
Oggetto
ALTRE IPOTESI PUBBLICO IMPIEGO
R.G.N. 29071/2021
COGNOME
Rep.
Ud. 22/05/2025
CC
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proposta da NOME COGNOME nei confronti della Regione Lazio, alle cui dipendenze il COGNOME aveva prestato servizio, dopo un periodo di comando da COGNOME (poi RAGIONE_SOCIALE e poi RAGIONE_SOCIALE) dal 2 gennaio 1973, con immissione nei ruoli dell’Ente comunicatagli in data 22.2.1978 con decorrenza dal 1973 e completamento della procedura di inquadramento, inclusiva del riconoscimento dell’anzianità pregressa, in data 1.12.1983, domanda avente ad oggetto la ricostruzione giuridica ed economica della carriera conseguente all’e rroneo inquadramento nel 6^ anziché nel 7^ livello funzionale e la condanna dell’Ente al pagamento delle differenze spettanti.
La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto – una volta individuato il dies a quo del termine decennale di prescrizione del diritto alla superiore qualifica, azionato con il ricorso dell’ottobre 2016, nell’1.12.1983, data della delibera della Giunta che segna la definitiva attribuzione al COGNOME del 6^ livello funzionale in luogo del 7^, per aver disatteso la tesi che opponeva, ai fini della decorrenza della prescrizione, la diversa data del ‘momento della conoscenza dell’errato inquadramento’ collocato ‘per ammissione di controparte con gli attestati di servizio 17.11.2003 e 5.1.2004’ e sancita l’irrilevanza dell’atto formale di inquadramento da parte del Cotral del 14.4.2008 cui il COGNOME attribuisce efficacia di atto di rinuncia alla prescrizione ex art. 2937 c.c. da parte di Cotral, estranea al rapporto – prescritto il diritto alla superiore qualifica e parimenti intervenuta la prescrizione quinquennale del diritto alle differenze retributive, puntualmente eccepita dalla Regione datrice, per essere decorsi oltre cinque anni tra l’ultimo atto interruttivo, dato dal tentativo di conciliazione del 2009, dovendosi considerare tardiva e pertanto inammissibile ex art. 437 c.p.c. la produzione in appello della lettera di
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interruzione della prescrizione del 25.2.2014 e il deposito del ricorso giudiziale nell’ottobre 2016, risultando infondato l’assunto della decorrenza della prescrizione a partire dall’atto formale di inquadramento del Cotral del 14.4.2008.
Per la cassazione di tale decisione ricorre il COGNOME affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la Regione Lazio.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente, nel denunciare la violazione e falsa applicazione degli artt. 2103 e 2937 c.c., imputa alla Corte territoriale di aver erroneamente ritenuto irrilevante il riconoscimento da parte del Cotral del diritto del ricorrente al superiore inquadramento intervenuto il 14.4.2008 per difetto della necessaria legittimazione in ordine al rapporto di lavoro e relative obbligazioni operando il riconoscimento retroattivamente con riguardo ad epoca, l’1.1.1978, in cui il ricorrente, in quanto in posizione di comando presso la Regione Lazio era ancora alle dipendenze del Cotral.
Con il secondo motivo, denunciando la violazione e falsa applicazione degli artt. 2938 c.c. e 437 c.p.c. il ricorrente lamenta la non conformità a diritto della statuizione relativa alla tardività della produzione della documentazione attestante l’interruzione della prescrizione dei vantati crediti retributivi da ritenersi viceversa ammissibile, avendo la pronunzia del primo giudice, il quale d’ufficio e quindi irritualmente avrebbe rilevato l’intervenuta prescrizione quinquennale dei crediti non eccepita dalla Regione Lazio, mutato il quadro fattuale legittimando così la produzione successiva a garanzia del contraddittorio.
Con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2697, comma 2, c.c., il ricorrente imputa alla Corte territoriale il malgoverno delle
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regole sull’onere della prova, avendo accollato al ricorrente, pur a fronte dell’ammissione da parte della Regione Lazio dell’avvenuta conoscenza dell’errato inquadramento da parte del ricorrente solo nel 2003, la dimostrazione della sussistenza di una ‘causa giuridica impeditiva dell’esercizio del diritto’, quando invece l’onere di provare la decorrenza della prescrizione si pone a carico della parte che la eccepisce.
Nel quarto motivo la violazione e falsa applicazione dell’art. 92, comma 2, c.p.c. è prospettata con riferimento all’aver la Corte territoriale statuito in ordine alla spese di lite ponendole a carico dell’odierno ricorrente, senza tener conto della novità della questione sulla quale non constavano precedenti e della peculiarità della stessa avendo il ricorrente agito, sia pur tardivamente, ma per reazione ad un errore di inquadramento foriero di danno per la sua carriera, errore che l’originario datore, sempre a distanza di anni, aveva inteso comunque riconoscergli al fine di rendergli giustizia, ragioni che legittimavano la compensazione delle spese.
Il primo motivo si rivela infondato avendo la Corte territoriale correttamente escluso – con riferimento ad una operazione di inquadramento conseguente al trasferimento presso il datore di lavoro cessionario (Regione Lazio) e la costituzione del rapporto di lavoro alle dipendenze di questi condotta sulla base di specifiche tabelle di equiparazione e delle mansioni già svolte in favore del medesimo in posizione di comando – la rilevanza della revisione dell’inquadramento operata, per di più a distanza di venticinque anni, dal datore di lavoro cedente, dedotta a valere ai fini della ricostruzione della carriera presso il datore cessionario e di estensione al medesimo degli effetti della pretesa rinuncia alla prescrizione.
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Il secondo motivo risulta, di contro, inammissibile, non dando il ricorrente conto dell’affermato rilievo d’ufficio dell’eccezione di prescrizione quinquennale dei vantati crediti retributivi, circostanza viceversa smentita dalla Corte territoriale che ne afferma la proposizione da parte della Regione Lazio, del resto insita nell’eccepita prescrizione decennale del diritto alla superiore qualifica che ne costituiva il necessario presupposto.
Parimenti inammissibile deve dirsi il terzo motivo alla cui base vi è il travisamento del decisum della Corte territoriale, non potendosi leggere il pronunciamento della Corte nel senso dell’aver questa accollato al ricorrente la prova della sussistenza di una ‘causa giuridica impeditiva dell’esercizio del diritto’ quando la Corte, nel disattendere la tesi per cui il dies a quo della prescrizione doveva individuarsi nella data di intervenuta conoscenza da parte del ricorrente dell’esatto inquadramento, ha c osì motivato ‘non configurando la tardiva conoscenza che il lavoratore abbia acquisito dell’inadempimento dell’ente alcuna causa giuridica impeditiva dell’esercizio del diritto’ sancendo, quindi, l’irrilevanza della circostanza dedotta quale causa impeditiva.
Ancora inammissibile si appalesa il quarto motivo per essere l’apprezzamento delle ragioni legittimanti, ai fini della statuizione sulle spese di lite, la loro compensazione in luogo di una attribuzione fondata sul criterio della soccombenza è rimessa alla discrezionalità del giudice del merito e, come tale, insindacabile in questa sede.
Il ricorso va dunque rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 200,00 per esborsi ed euro 4.000,00 per compensi oltre alle spese generali al 15% ed altri accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo un ificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte Suprema di cassazione il 22 maggio 2025.
La Presidente
(NOME COGNOME