Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33875 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33875 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 22/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso n. 10175/2021 r.g. proposto da:
COGNOME NOME e COGNOME NOME, in qualità di unico erede della signora NOME COGNOME rappresentati e difesi, giusta nomina difensiva e procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. NOME COGNOME presso il quale hanno eletto domicilio, in Roma, alla INDIRIZZO
-ricorrenti –
contro
Ministero dell’Economia e delle Finanze , in persona del Ministro pro tempore, dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è domiciliato in Roma, INDIRIZZO
-controricorrente-
avverso la sentenza della Corte di appello di Roma n. 4859/2020, depositata in data 12/10/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/12 /2024 dal Consigliere dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE:
Con atto di citazione in data 1/12/2019 NOME COGNOME e NOME COGNOME convenivano dinanzi al tribunale di Roma il Ministero dell’economia e delle finanze (MEF) per conseguire la condanna al pagamento in loro favore del giusto indennizzo in virtù delle leggi numeri 1066/71, 16/80, 135/85 e 98/94, in conseguenza della perdita di beni loro appartenuti in Libia a seguito del decreto generale di confisca operato nel 1970 dalle autorità di quel paese.
Si costituiva il MEF eccependo l’intervenuta prescrizione decennale, da computarsi dalla data dell’ultimo provvedimento di liquidazione ministeriale del 2/1/1991.
Gli attori, con le memorie di cui all’art. 183 c.p.c., contestavano l’eccezione di prescrizione, evidenziando che la domanda di revisione del 2/8/1985 doveva intendersi quale atto di costituzione in mora, come pure la domanda inoltrata ai sensi della legge n. 98 del 1994, in data 7/6/1994 dal difensore del ricorrente, con cui si chiedeva «la revisione indennizzi precedentemente liquidati».
Con la delibera del 9/5/2003 il MEF aveva rigettato la domanda di revisione.
Con la nota del 16/1/2004 il difensore reiterava la «domanda di revisione di indennizzo».
4. ll tribunale di Roma, con sentenza del 1112 del 2014, rigettava le domande proposte dagli attori in ragione della fondatezza dell’eccezione di prescrizione.
In particolare, ad avviso del tribunale, non era idonea ad interrompere la prescrizione la richiesta di indennizzo pervenuta al MEF il 7/6/1994, con la quale «è stata chiesta un’ulteriore revisione delle stime precedentemente effettuate», in quanto tale istanza era «un mero atto di impulso del procedimento amministrativo di liquidazione, privo del carattere di intimazione e di espressa richiesta formale al debitore, necessario affinché la stessa possa acquisire l’efficacia di cui all’art. 2943, comma 4, c.c.».
In tale istanza, infatti, non si rinveniva «alcuna quantificazione delle somme ancora asseritamente dovuto a titolo di indennizzo», né si fissava «un termine per l’adempimento», ma ci si limitava «a sollecitare in termini estremamente generici una nuova istruttoria per verificare se vi siano le condizioni per procedere alla revisione delle stime recentemente effettuate».
5. La Corte d’appello di Roma, con sentenza n. 4859/2020, depositata il 12/10/2020, rigettava l’appello.
In motivazione si chiariva che il termine decennale di prescrizione decorreva dalla data del 2/1/1991, quando il Ministero aveva proceduto ad integrare l’indennizzo già precedentemente riconosciuto sulla base di una nuova valutazione.
Era pacifico che con atto del 16/1/2004 l’amministrazione era stata formalmente ed espressamente costituita in mora quanto alla debenza della differenza richiesta. L’atto di citazione di primo grado era stato poi notificato in data 1/12/2009.
Tuttavia, come ritenuto dal tribunale, il termine di prescrizione decennale, a decorrere dal 2/1/1991, era già maturato.
La questione era relativa all’efficacia interruttiva della richiesta di indennizzo inoltrata al Ministero del Tesoro in data 7/6/1994; il tribunale l’aveva ritenuta non idonea ad interrompere la prescrizione, qualificandola quale atto di impulso interno al procedimento amministrativo.
La Corte d’appello confermava la decisione del tribunale, in quanto la domanda amministrativa per la liquidazione dell’indennizzo dovuto per i beni perduti all’estero non poteva avere valore di atto di costituzione in mora, ma solo di impulso del procedimento amministrativo di liquidazione fino alla conclusione del quale, peraltro, non vi è certezza in ordine all’esistenza ed all’ammontare del debito».
Tale principio – ad avviso della Corte d’appello – era applicabile a tutte le domande all’interno della procedura amministrativa «e quindi anche a quelle, come nella specie, volte ad una revisione o integrazione delle somme liquidate».
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione gli attori.
Ha resistito con controricorso il MEF.
CONSIDERATO CHE:
Con un unico motivo di impugnazione i ricorrenti deducono la «violazione, ovvero falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma, numeri 3 e 5, c.p.c., della legge 26 gennaio 1980, n. 16, art. 5, come modificato dalla legge 5 aprile 1985, n. 135 e dalla legge 98/94; erronea interpretazione dell’atto depositato in data 7 giugno 1994 della legge 98/94, articoli 1 e 2, nonché degli articoli 1219 e 2943 c.c.».
Ad avviso dei ricorrenti, sarebbe stato più volte enunciato dalla Corte di cassazione il principio per cui l’atto di costituzione in mora di cui all’art. 1219 c.c. non è soggetto a rigore di forme, all’infuori
della scrittura, e quindi non richiede l’uso di formule solenni né l’osservanza di particolari adempimenti, essendo sufficiente che il creditore manifesti chiaramente, con un qualsiasi scritto diretto al debitore e portato comunque a sua conoscenza, la volontà di ottenere il soddisfacimento del proprio diritto.
La domanda presentata al Ministero del Tesoro in data 7/6/1994 conteneva la richiesta di provvedere alla liquidazione degli indennizzi relativi alla vendita dei beni, «anche mediante revisione delle stime recentemente effettuate».
Tale richiesta avrebbe efficacia interruttiva ai sensi dell’art. 1219 c.c.
2. Il motivo è infondato.
2.1. Invero, questa Corte ha già chiarito che, in tema di indennizzi a cittadini e imprese italiane per beni perduti in territori già soggetti alla sovranità italiana di cui alle L. n. 16 del 1980 e L. n. 135 del 1985, il relativo obbligo a carico dello Stato non ha natura risarcitoria, rappresentando il frutto di una volontaria assunzione di impegno per ragioni politiche e solidaristiche, e configurando, pertanto, un debito di valuta, e non di valore (Cass., 2/5/2024, n. 11726; Cass., 19 ottobre 2016, n. 21191, Cass., 16 maggio 2014, n. 10893; Cass., sez. 1, 7 giugno 2007, n. 13359).
2.2. Tale debito non comporta quindi l’applicabilità della rivalutazione monetaria propria delle obbligazioni di valore, senza che rilevi in contrario la previsione, alla L. n. 135 del 1985, art. 4, di un meccanismo di adeguamento attraverso un coefficiente di rivalutazione, avendo la citata norma ricompreso nell’importo così determinato il risarcimento da ritardato adempimento sia per la parte ragguagliata agli interessi moratori maturati alla stessa data, sia per l’eventuale maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2 (cfr.
ex aliis Sez. 1 n. 13359-07; Cass., sez. 1, 16 maggio 2014, n. 10793; da ultimo Sez. 1, n. 4039-16).
Si è anche precisato che l’indennizzo in oggetto configura, pertanto, un debito di valuta, non di valore. Come tale, l’indennizzo non comporta l’applicabilità della rivalutazione monetaria propria delle obbligazioni di valore (Cass., 19 ottobre 2016, n. 21191).
L’art. 4 della successiva L. n. 135 del 1985, con la quale è stato previsto il meccanismo di adeguamento attraverso il coefficiente di rivalutazione dell’1,90, ha compreso nell’importo così determinato il risarcimento da ritardato adempimento, sia per la parte ragguagliata agli interessi moratori maturati alla stessa data, sia per l’eventuale maggior danno ex art. 1224 c.c., comma 2.
Ne consegue che la somma liquidata è già rivalutata mediante l’applicazione del coefficiente unico previsto dalla L. n. 135 del 1985, a decorrere dal 4 maggio 1985, data di entrata in vigore di tale legge (Cass., 19 ottobre 2016, n. 21191).
2.3. Gli interessi moratori e il maggior danno sulla somma sono eventualmente dovuti solo dall’atto di costituzione in mora (Cass., 16 maggio 2014, n. 10793; Cass., 1° marzo 2016, n. 4039), non avendo la legge citata determinato automaticamente il sorgere della relativa obbligazione (v. Sez. 1^ n. 12281-08); e dunque non configurando una fattispecie di mora ex re .
La Corte d’appello ha ritenuto maturata la prescrizione decennale del diritto vantato dagli attori, da computarsi a decorrere dal 2/1/1991, data in cui il Ministero aveva proceduto ad integrare l’indennizzo già precedentemente riconosciuto sulla base di una nuova valutazione, in quanto la lettera del 7/6/1994 non valeva come atto di costituzione in mora, ma semplicemente come atto di impulso del procedimento amministrativo di liquidazione.
Tale affermazione risulta corretta, non potendosi reputare come rituale atto di costituzione in mora nei confronti della pubblica amministrazione, la richiesta di revisione della quantificazione dell’indennizzo dovuto.
Si è, sul punto, affermato da parte di questa Corte che «la Corte di appello si è discostata da tali principi, facendo risalire la decorrenza degli interessi ad un momento anteriore alla proposizione della domanda giudiziale, ancorato ad un asserita costituzione in mora dell’amministrazione, ravvisata peraltro in una mera richiesta endo-procedimentale di revisione della stima del 21/2/1989, successiva alla domanda introduttiva del procedimento amministrativo formulata il 27/6/80» (Cass., 19 marzo 2020, n. 7468, in motivazione; anche Cass., n. 11726 del 2024).
In tale ultima pronuncia (Cass., 19 marzo 2020, n. 7468) si precisa che il coefficiente di rivalutazione dell’1,90, previsto dall’art. 4 della legge n. 135 del 1985 per le richieste presentate dopo il 1950, comprende, nell’importo così determinato, anche il risarcimento da ritardato adempimento spettante al danneggiato fino alla liquidazione amministrativa, e ciò sia per la parte ragguagliata di interessi moratori maturati alla stessa data, sia per l’eventuale maggior danno ex art. 1224, comma 2, c.c.
Di conseguenza, ai fini dell’interruzione della prescrizione decennale è necessaria la costituzione in mora dell’amministrazione, ai cui fini è indispensabile una specifica richiesta, che può essere avanzata anche prima dell’emanazione dei decreti ministeriali conclusivi del procedimento di liquidazione e, in mancanza, deve essere ricondotta alla proposizione della domanda giudiziale, non essendo invece idonea a tal fine la domanda amministrativa di concessione dell’indennizzo, alla quale può attribuirsi solo la valenza di impulso del procedimento amministrativo di liquidazione, fino alla
conclusione del quale, peraltro, non vi è certezza in ordine all’esistenza ed all’ammontare del debito (Cass., 19 marzo 2020, n. 7468).
Anche di recente, si è stabilito (Cass., sez. 2, 8 novembre 2023, n. 31090) che, in tema di indennizzo per i beni confiscati all’estero, di cui alla l. n. 16 del 1980, ove la somma riconosciuta in sede amministrativa venga successivamente maggiorata a seguito di azione giudiziaria intentata dall’interessato, i relativi interessi moratori decorrono dalla data della domanda introduttiva del processo, alla quale retroagiscono gli effetti della sentenza che conferisce alla suddetta somma i caratteri della certezza, liquidità ed esigibilità.
Nella specie, la Corte di appello ha provveduto all’interpretazione della lettera del 7/6/1994, qualificandola come mera richiesta di revisione dell’indennizzo.
Il contenuto della lettera è riportato nel motivo di ricorso per cassazione («intestata come Richiesta di indennizzo, rivolgeva ‘Istanza affinché codesto On. Ministero del Tesoro, in conformità alle citate Leggi, nonché a quelle annesse, connesse e dipendenti, provveda in favore del proprio rappresentato, alla liquidazione degli indennizzi relativi alla perdita dei beni, diritti ed interessi dallo stesso patita, anche mediante revisione delle stime precedentemente effettuate e computati, ove applicabili:1) l’avviamento dell’attività esercitata;2) il coefficiente di rivalutazione, previsto ai sensi della normativa in vigore, dei crediti già indennizzati».
Si tratta di una valutazione pienamente meritale che non può essere censurata in sede di legittimità, ove adeguatamente motivata dalla corte territoriale, come avvenuto nella specie.
Pertanto, correttamente la Corte d’appello ha ritenuto maturata la prescrizione decennale, in quanto non poteva essere
qualificata come atto di costituzione in mora la domanda di revisione dell’indennizzo presentata il 7/6/1994.
Pertanto, tra la data del 2/1/1991, di inizio del termine di prescrizione decennale, sino all’atto di costituzione in mora del 16/1/2004, non risultano ulteriori atti interruttivi della prescrizione.
7. Le spese del giudizio di legittimità vanno poste, per il principio della soccombenza, a carico dei ricorrenti e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare in favore del controricorrente le spese del giudizio di legittimità che si liquidano in complessivi euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito, rimborso forfettario delle spese generali nella misura del 15%, Iva e cpa.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-q uater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 18 dicembre