Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 12482 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 12482 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 11/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 9828-2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
Retribuzione
pubblico impiego
R.G.N. 9828/2024
COGNOME
Rep.
Ud. 15/04/2025
CC
avverso la sentenza n. 1745/2023 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 16/10/2023 R.G.N. 837/2022;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 15/04/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
Rilevato che:
1. con ricorso al Tribunale del lavoro di Bari il sig. NOME COGNOME premesso di essere dipendente dell’Inps per mobilità volontaria da altra pubblica amministrazione presso cui godeva di un trattamento retributivo più elevato rispetto a quello erogato dall’Istituto previdenziale di destinazione, deduceva che: i) in base alla normativa all’epoca vigente (art. 30 del d.lgs. n. 165 del 2001) egli godeva di un assegno ad personam (denominato ‘assegno di garanzia’) riassorbibile in presenza di incrementi r etributivi fissati dai successivi c.c.n.l. di comparto; ii) in data 11 ottobre 2007 l’Inps e le organizzazioni sindacali avevano firmato un verbale di intesa sulla base del quale era stata sospesa, per un anno dalla sottoscrizione del verbale, la procedura di riassorbimento del citato assegno ad personam , relativamente agli incrementi retributivi sanciti dal c.c.n.l. 2006/2009, biennio economico 2006/2007; iii) inoltre, nel menzionato accordo era stato convenuto che, trascorso l’anno dalla firma, qualora no n fosse intervenuto un ‘accordo risolutivo’ di definizione dei criteri e delle modalità che
regolano i diversi istituti della mobilità del personale ai sensi degli artt. 38 e 39 c.c.n.l., l’Inps avrebbe provveduto «all’immediato recupero delle somme non riassorbite durante il periodo di sospensione e a riattivare le procedure di riassorbimento»; iv ) nonostante l’esito negativo delle trattative, l’Inps non aveva provveduto a richiedere, a partire dal mese di ottobre 2008, la restituzione delle somme non riassorbite, mentre aveva trattenuto gli importi dell’assegno ad personam non riassorbibile ai soli lavoratori che medio tempore erano andati in quiescenza; v) solo in data 8 febbraio 2019, a distanza di più di 10 anni, l’Inps aveva inviato una nota con la quale comunicava che a decorrere dal mese di marzo 2019 avrebbe proceduto al recupero rateale degli importi dell’assegno ad personam di cui era stato sospeso il riassorbimento; vi) le somme non erano recuperabili per intervenuta prescrizione;
sulla scorta delle sintetizzate allegazioni, il COGNOME chiedeva:
i) in via preliminare, nel merito, che fosse dichiarata la prescrizione del diritto di Inps a richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate all’odierno ricorrente per tutte le ragioni come espresse in narrativa; ii) in via principale, che fosse dichiarata l ‘ illegittimità della trattenuta relativa alle somme non riassorbite dell’assegno di garanzia , così come operata da Inps nella busta paga di marzo 2019 (e nelle buste paga successive) con condanna di Inps alla restituzione dell’importo indebitamente trattenuto nella
suddetta busta paga relativa alla mensilità di marzo 2019 (e nelle buste paga successive);
c on sentenza dell’11 gennaio 2022 il Tribunale di Bari accoglieva integralmente il ricorso, con condanna dell’I nps al pagamento delle spese di lite;
a fondamento della decisione il Tribunale così motivava: i) fermo restando che la prescrizione del diritto a ottenere la restituzione di somme versate e non dovute è decennale, a norma dell’art 2945 c.c. la prescrizione decorre da quando il diritto può essere fatto valere; ii ) l’Inps aveva avuto la possibilità giuridica di procedere a recupero delle somme corrisposte al dipendente sin dall’11 ottobre 2008, cioè decorso l’anno dall’accordo dell’11 ottobre 2007; iii ) l’Istituto aveva dedotto che la prescrizione avrebbe dovuto decorrere dal febbraio 2009, in quanto l’accordo avente scadenza nell’ottobre 2008 sarebbe stato prorogato; iv) tuttavia, tale circostanza non era provata, perché l’Inps aveva prodotto un documento senza data e senza sottoscrizione e, dunque, inutilizzabile e in ogni caso inidoneo a fornire la prova dell’avvenuta proroga ;
l ‘I nps interponeva gravame dinanzi alla Corte d’ appello di Bari che, con sentenza n. 1745/2023 pubblicata il 16.10.2023, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarava la prescrizione del diritto dell’Inps di richiedere la restituzione delle somme indebitamente versate a Colella, a titolo di recupero degli incrementi retributivi non riassorbiti sanciti dal c.c.n.l. 2006/2009, biennio economico 2006/2007
e condannava l’Inps alla restituzione dell’importo indebitamente trattenuto a partire dal mese di marzo del 2019, con esclusione del solo recupero dell’incremento relativo al mese di febbraio del 2009;
l ‘I nps ricorre infine per cassazione affidando le proprie difese ad un unico motivo assistito da memoria, cui si oppone con controricorso, illustrato da memoria, il lavoratore.
Considerato che:
con l’unico motivo si denuncia (art. 360 n. 3 c.p.c.) violazione/falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro ovvero, in particolare, degli artt. 1362 c.c. e segg., anche con riferimento al verbale d’intesa 11/10/07 INPS/OO.SS., nonché degli artt. 3 8 e 39 CCNL 2006-2009 ed al CCNL 2016-2018 nonché degli artt. 2033, 2935, 2944 e 2946 c.c., in relazione alla violazione dei principi di cui all’art.111 Cost. e, in particolare, del comma 7 in una lettura inte grata con l’art. 6 CEDU;
in sintesi, l’I nps afferma che, se è vero che l’accordo sindacale dell’11/10/07 prevedeva la sospensione solo di un anno della procedura di riassorbimento in attesa di un accordo sindacale in sede nazionale (prefigurato dagli artt. 38-39 CCNL 2006/2009) che poi non aveva avuto luogo (con vana attesa fino al primo CCNL successivo 2016/2018), si evincerebbe, comunque, dalle buste paga prodotte «la sussistenza nei fatti di un accordo sindacale di proroga della sospensione della procedura di riassorbimento fino a febbraio 2009», tant’è che I nps con comportamento concludente
aveva continuato a riaccreditare le somme da riassorbire sino al febbraio 2009 nelle buste paga dei lavoratori interessati, i quali con comportamento altrettanto concludente nulla avevano eccepito; ne seguirebbe, secondo Inps, che il dies a quo di decorrenza della prescrizione andrebbe ancorato al 1 marzo 2009, sicché tempestiva era la comunicazione di recupero del 18/2/19 valida come interruzione della prescrizione; aggiunge il ricorrente che il termine di un anno indicato nel verbale di intesa 11/10/07 sarebbe ordinatorio e non perentorio consentendo di attivare il recupero anche dopo se le trattative sindacali nazionali avessero richiesto, com’è avvenuto, tempistiche più dilatate (salvo sfumare definitivamente col CCNL 2016/2018);
il motivo è inammissibile, alla luce dei rilievi già espressi da questa Corte (cfr. Cass., Sez. L, n. 3636 del 7/2/2023) e qui richiamati, avendo il giudice del merito partitamente vagliato ciascuna delle circostanze di cui l’odierno ricorrente si duole con il ricorso;
né vale invocare un’interpretazione sistematica dell’accordo sindacale 11/10/07 al fine di intendere il termine di un anno, ivi previsto, come termine mobile procrastinabile ad libitum fino al momento dell’intesa sindacale nazionale (poi sfumata col CCNL 206/2018) sul tema della mobilità inter-enti;
secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale di questo giudice di legittimità, l’interpretazione dei contratti e degli atti negoziali in genere, in quanto accertamento della
comune volontà delle parti in essi espressa, costituisce attività propria ed esclusiva del giudice di merito, dovendo il sindacato in proposito riservato al giudice di legittimità limitarsi alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale (nonché, secondo la giurisprudenza anteriore alla modifica dell’art. 360 c.p.c., n. 5, al controllo della coerenza e logicità della motivazione: censura nella specie neanche proposta, avendo l’Inps , come sopra rilevato, denunciato soltanto la violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale);
deve, pertanto, escludersi che il ricorrente in cassazione possa di fatto, sotto le spoglie di una denuncia per violazione di legge (artt. 1362 c.c. e ss.), contrapporre una diversa e più favorevole soluzione ermeneutica e chiedere al giudice di legittimità di procedere ad una nuova interpretazione dell’atto negoziale (cfr. Cass S.U. 1914/2016); pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati e dei principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo di ricorso che si fondi sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche o del vizio di motivazione e si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione diversa (Cass. 10554/2010 25728/2013);
si è, infine, ulteriormente precisato che per sottrarsi al sindacato di legittimità, l’interpretazione data dal giudice di merito a un contratto non deve essere l’unica possibile, o la migliore in astratto, ma una delle possibili e plausibili interpretazioni; sicché, quando di una clausola contrattuale sono possibili due o più interpretazioni, non è consentito, alla parte che aveva proposto quella poi disattesa dal giudice di merito, dolersi in sede di legittimità del fatto che sia stata privilegiata l’altra (sentenze 2.8.2022, n. 23982; 20 novembre 2009, n. 24539; 18 novembre 2013, n. 25861, e 4 marzo 2014, n. 5016);
l ‘interpretazione fornita dai giudici di secondo grado è nella specie sicuramente aderente al dato letterale e pienamente coerente con la ratio dell’accordo sindacale che voleva consentire, entro lo spatium deliberandi annuale, di pervenire a un accordo sul riassorbimento, la cui mancata sottoscrizione avrebbe consentito l’azione di recupero, poi inspiegabilmente dilatatasi nei tempi per autonomo opinamento dell’I nps; q uest’ultimo, poi, non può neppure sollecitare in sede di legittimità una valutazione del comportamento concludente tenuto dalle parti perché la critica, così articolata, impinge chiaramente nel merito;
in definitiva, nel complesso, parte ricorrente rivolge critiche le quali postulano una rivalutazione dei fatti di causa, così come accertati nel giudizio di merito;
va, pertanto, nel caso in esame, data attuazione al costante orientamento di questa Corte, che reputa
“…inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca, apparentemente, una violazione di norme di legge mirando, in realtà, alla rivalutazione dei fatti operata dal giudice di merito, così da realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito” ( ex plurimis , cfr. Cass. n.18721 del 2018; Cass. n. 8758 del 2017);
conclusivamente, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore del controricorrente, che liquida in Euro 200,00 per esborsi, Euro 1.500,00 a titolo di compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento e accessori di legge.
Ai sensi dell ‘ art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall ‘ art.1, comma 17 della I. n.228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente, dell ‘ ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, all ‘ Adunanza camerale della Sezione IV della Corte Suprema di Cassazione del 15/4/2025.
La Presidente
(NOME COGNOME