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Prescrizione incentivo esodo: quando è quinquennale?

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 31240/2024, ha stabilito che la prescrizione per l’incentivo all’esodo è quinquennale, non decennale. Il caso riguardava la richiesta degli eredi di un lavoratore contro un ente regionale. La Corte ha qualificato l’incentivo come retribuzione corrisposta in occasione della fine del rapporto, soggetta quindi al termine breve previsto dall’art. 2948, n. 5) c.c., respingendo il ricorso.

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Pubblicato il 10 ottobre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Prescrizione incentivo esodo: la Cassazione conferma il termine di 5 anni

La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha ribadito un principio cruciale in materia di diritto del lavoro: la prescrizione dell’incentivo all’esodo è quinquennale e non decennale. Questa decisione chiarisce la natura giuridica di tali somme e le tempistiche per richiederne il corretto pagamento, fornendo una guida sicura per lavoratori e datori di lavoro. L’ordinanza analizza il caso degli eredi di un dipendente pubblico che avevano agito in giudizio per ricalcolare l’incentivo percepito dal loro congiunto.

I Fatti del Caso

La vicenda nasce dalla domanda degli eredi di un lavoratore, dipendente di un’amministrazione regionale, che aveva aderito a un piano di risoluzione consensuale del rapporto di lavoro nel 2005. Gli eredi sostenevano che nel calcolo dell’incentivo all’esodo non fosse stato correttamente incluso il rateo della tredicesima mensilità. L’amministrazione regionale si era difesa eccependo l’intervenuta prescrizione del diritto.

Il Tribunale di primo grado aveva dato ragione ai ricorrenti, ma la Corte d’Appello aveva ribaltato la decisione. Secondo i giudici di secondo grado, il diritto si era prescritto, in quanto era applicabile il termine breve di cinque anni, tipico dei crediti di lavoro, e non quello ordinario di dieci anni. La prima richiesta formale di pagamento, infatti, era stata inviata nel 2013, oltre otto anni dopo la cessazione del rapporto.

La questione della prescrizione dell’incentivo all’esodo

I ricorrenti hanno portato il caso in Cassazione, sostenendo principalmente due argomenti:
1. Natura contrattuale dell’incentivo: A loro avviso, l’incentivo non era una retribuzione, ma una somma di natura contrattuale, quasi transattiva, concordata tra le parti per risolvere il rapporto. Come tale, doveva essere soggetta alla prescrizione ordinaria decennale (art. 2946 c.c.).
2. Giudicato interno: Sostenevano che la sentenza di primo grado, nel definire la natura non retributiva dell’incentivo, non fosse stata specificamente contestata in appello, e che quindi su quel punto si fosse formato un giudicato interno non più discutibile.

La Corte di Cassazione ha rigettato entrambi i motivi, confermando la decisione della Corte d’Appello.

La Natura Retributiva dell’Incentivo all’Esodo

Il punto centrale della decisione è la qualificazione giuridica dell’incentivo. La Cassazione, in linea con il suo consolidato orientamento, ha affermato che le somme corrisposte dal datore di lavoro come incentivo alle dimissioni anticipate non hanno natura liberale o eccezionale.

Esse costituiscono a tutti gli effetti un reddito di lavoro dipendente. Sono, infatti, una vera e propria controprestazione che il datore di lavoro offre per ottenere il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del contratto. Di conseguenza, queste somme sono strettamente legate alla cessazione del rapporto di lavoro e rientrano a pieno titolo tra le “indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro” menzionate dall’art. 2948, n. 5) del codice civile.

Le motivazioni

La Corte ha spiegato che la prescrizione dell’incentivo all’esodo deve essere quinquennale proprio per questa sua natura. Non si tratta di un’obbligazione generica derivante da un contratto qualsiasi, ma di un debito che trova la sua causa specifica nel rapporto di lavoro e nella sua conclusione. Anche se l’incentivo nasce da un accordo, questo si inserisce nella dinamica del rapporto di lavoro e ne segue le regole, inclusa quella sulla prescrizione breve.

Inoltre, la Corte ha chiarito che non si era formato alcun giudicato interno. L’appello dell’amministrazione regionale, contestando l’applicazione del termine decennale, aveva automaticamente riaperto la discussione sulla qualificazione giuridica del credito, poiché la scelta del termine di prescrizione dipende proprio da tale qualificazione. La critica all’effetto giuridico (la prescrizione decennale) implica necessariamente una critica alla sua premessa logica (la natura non retributiva del credito).

Le conclusioni

In conclusione, la Suprema Corte ha stabilito che la pretesa di ricalcolo dell’incentivo all’esodo è soggetta al termine di prescrizione di cinque anni. Questo principio si applica a tutte le somme che, pur concordate tra le parti, sono corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro come corrispettivo per il consenso del lavoratore. La decisione offre un importante riferimento per la gestione delle controversie relative agli incentivi all’esodo, confermando un orientamento che mira a garantire certezza e stabilità nei rapporti giuridici derivanti dal contratto di lavoro.

Qual è il termine di prescrizione per un credito relativo a un incentivo all’esodo?
Il termine di prescrizione è di cinque anni, come stabilito dall’art. 2948, n. 5) del codice civile, poiché l’incentivo è considerato un’indennità corrisposta in occasione della cessazione del rapporto di lavoro.

Perché l’incentivo all’esodo è considerato retribuzione e non un’obbligazione contrattuale generica?
Perché, secondo la giurisprudenza costante della Cassazione, esso costituisce una vera e propria controprestazione offerta dal datore di lavoro per ottenere il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto. La sua causa è quindi direttamente collegata al rapporto di lavoro stesso.

Cosa succede se in appello non viene contestata specificamente la natura del credito, ma solo il termine di prescrizione applicato?
Secondo la Corte, contestare il termine di prescrizione implica necessariamente contestare la qualificazione giuridica del credito da cui quel termine deriva. Pertanto, l’impugnazione riapre l’intera questione e impedisce la formazione di un giudicato interno sulla natura del credito.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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