Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 31240 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 31240 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 06/12/2024
L a Corte d’Appello di Catanzaro, in accoglimento dell’appello principale proposto dalla Regione Calabria avverso la sentenza del Tribunale di Catanzaro, ha respinto la domanda proposta da NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME (quali eredi di NOME COGNOME), avente ad oggetto l’accertamento del diritto de ll’originario ricorrente al computo nella base di calcolo dell’incentivo all’esodo ( a lui dovuto in ragione dell’adesione all’ipotesi di risoluzione consensuale del rapporto ex art. 7, legge regionale Calabria n. 8/2005) anche del rateo di tredicesima mensilità; ha rigettato l’appello incidentale, riguardante la compensazione delle spese di lite.
La Corte territoriale, ritenuta la natura retributiva dell’indennità in questione, ha afferma to l’ applicabilità al relativo credito del termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, n. 5) cod. civ.
Considerato il lasso di tempo intercorso tra la stipula della risoluzione consensuale del rapporto, intervenuta in data 22.9.2005, e la prima diffida (con valore interruttivo del termine di prescrizione) del 29.11.2013, la Corte territoriale ha dichiarato l’intervenuta prescrizione de i crediti.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da memoria.
La Regione Calabria ha resistito con controricorso.
DIRITTO
1.Con il primo motivo il ricorso deduce, ai sensi de ll’art. 360, n. 4, cod. proc. civ. ed in relazione all’art. 112 cod. proc. civ., la nullità della sentenza e del procedimento derivante dall’omessa pronuncia sull’eccezione di inammissibilità
dell’atto di appello della Regione Calabria in punto di prescrizione per la mancata contestazione di tutte le rationes decidendi.
Evidenzia che l’inammissibilità dell’appello è stata eccepita nella memoria depositata in data 19.9.2016 e lamenta che su tale eccezione la sentenza impugnata non si è pronunciata.
Con il secondo motivo il ricorso denuncia, ai sensi del l’art. 360, n. 4, c od. proc. civ., la nullità della sentenza e del procedimento e l’omesso rilievo del giudicato interno formatosi sulla sentenza di primo grado per la mancata contestazione di tutte le rationes decidendi poste a fondamento della decisione.
Evidenzia che il Tribunale ha rigettato l’eccezione di prescrizione a fronte della dipendenza dei diritti azionati da un contratto liberamente stipulato tra le parti e della natura assistenziale e non retributiva dell’indennizzo ex art. 7, legge regionale Calabria n. 8/2005 e che gli appellanti non avevano mosso alcuna censura alla prima ratio decidendi.
Con il terzo motivo il ricorso denuncia, ai sensi de ll’art. 360, n. 3, c od. proc. civ., la violazione e falsa applicazione dell’ art. 7, legge regionale Calabria n. 8/2005 in relazione all’art. 2948 n. 5 cod. civ. e all’art. 2946 cod. civ.
Addebita alla Corte territoriale di avere erroneamente affermato la natura retributiva dell’incentivo all’esodo, dovendosi invece ritenere che lo stesso abbia natura di obbligazione contrattuale assoggettata al termine di prescrizione decennale, in quanto non costituisce una ‘retribuzione differita’, viene corrisposto una tantum e non trova causa nella legge, essendo originato da un accordo di risoluzione consensuale e, dunque, da un’intesa transattiv a.
Aggiunge che l’incentivo all’esodo ha carattere assistenziale, e non retributivo o previdenziale; argomenta che il fine perseguito dal legislatore regionale era quello dell’erogazione sostitutiva del reddito di lavoro per quei dipendenti regionali che avessero convenuto la risoluzione consensuale del rapporto, al fine di realizzare gli obiettivi del contenimento della spesa corrente e dell’accelerazione del processo riorganizzativo dell’Amministrazione.
Evidenzia che la sentenza della Corte costituzionale n. 271/2011 si è limitata a considerare la retribuzione percepita dal lavoratore quale mero parametro ai fini della liquidazione, che l’incentivo è erogabile indistintamente a tutti i
dipendenti, è corrisposto a prescindere da una controprestazione in aggiunta all’indennità di fine servizio, mentre gli arresti della Sezione Tributaria della Suprema Corte si sono limitati ad assimilare solo a fini fiscali l’incentivo all’esodo al trattamento di fine rapporto.
4. Il primo motivo di ricorso è inammissibile.
L’eccezione di inammissibilità dell’appello è stata implicitamente disattesa dalla Corte territoriale, che si è pronunciata nel merito.
Inoltre il vizio di omessa pronuncia non è configurabile qualora l’eccezione sia solo di natura processuale (v. per tutte Cass. n. 10422/2019).
5. Il secondo motivo è infondato.
Dalla sentenza impugnata risulta, infatti, che nell’atto di appello la Regione Calabria ha censurato la sentenza di primo grado per avere erroneamente ritenuto che il termine di prescrizione fosse quello ordinario decennale; la proposizione di tale doglianza di per sé esclude che sulla questione del termine di prescrizione si sia formato il giudicato.
Questa Corte ha infatti evidenziato (Cass. n. 24358/2018) che il giudicato interno si forma solo su capi autonomi della sentenza, che risolvano questioni aventi una propria individualità e autonomia, tali da integrare una decisione del tutto indipendente (Cass. n. 17935 del 2007; Cass. n. 23747 del 2008), non anche su quelli relativi ad affermazioni che costituiscano mera premessa logica della statuizione in concreto adottata (Cass. n. 22863 del 2008); si è inoltre precisato che costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; la suddetta autonomia non solo manca nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verte in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (Cass. n. 23747 del 2008; Cass. n. 22863 del 2007; Cass. n. 27196 del 2006).
La violazione del giudicato interno si può verificare soltanto quando la sentenza di primo grado si sia pronunziata espressamente su una questione del tutto distinta dalle altre e tale specifica pronunzia non può considerarsi
implicitamente impugnata allorché il gravame sia proposto in riferimento a diverse statuizioni, rispetto alle quali la questione stessa non costituisca un antecedente logico e giuridico, così da ritenersi in esse necessariamente implicata, ma sia soltanto ulteriore ed eventuale e, comunque, assolutamente distinta (Cass. n. 28739 del 2008).
Questa Corte ha inoltre chiarito che la locuzione giurisprudenziale “minima unità suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato interno” individua la sequenza logica costituita dal fatto, dalla norma e dall’effetto giuridico, con la conseguenza che la censura motivata anche in ordine ad uno solo di tali elementi riapre la cognizione sull’intera statuizione, perché, impedendo la formazione del giudicato interno, impone al giudice di verificare la norma applicabile e la sua corretta interpretazione (Cass. n. 16853/2018 e negli stessi termini Cass. n. 24783/2018 e Cass. n. 12202/2017).
Ciò premesso, qualora la domanda sia stata rigettata in primo grado in applicazione del termine di prescrizione correlato alla sua qualificazione giuridica, se il giudice d’appello procede d’ufficio ad una diversa qualificazione della domanda, alla quale è riferibile un differente termine prescrizionale, non opera il giudicato interno sul termine di prescrizione individuato dal primo giudice in correlazione alla qualificazione originaria della domanda (v. Cass. n. 5819/2022).
D’altr a parte , la sola affermazione della natura contrattuale dell’obbligazione non è sufficiente a fondare l’applicazione del termine decennale di prescrizione nel caso in cui il regime prescrizionale sia differenziato in relazione alle diverse obbligazioni scaturenti dal contratto, come quelle che trovano titolo nel rapporto di lavoro.
La statuizione secondo cui l’incentivo trova la sua fonte nel contratto non ha carattere autonomo, in quanto costituisce una mera argomentazione; deve, pertanto, escludersi che sulla prescrizione si sia formato il giudicato e che l’appello principale, con cui la Regione Calabria ha censurato la statuizione della sentenza di primo grado in ordine al carattere decennale del termine, abbia interamente devoluto alla Corte territoriale la cognizione su tale questione.
6. Il terzo motivo è infondato, in conformità a precedente di questa Corte, qui richiamato ai sensi dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. (Cass. n. 17460/2024).
Al di là del principio generale reiteratamente enunciato da questa Corte (Cass. Sez. L, Sentenza n. 14821 del 27/06/2007; Cass. Sez. 5, Sentenza n. 13777 del 31/05/2013; Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5545 del 26/02/2019), a mente del quale le somme corrisposte dal datore di lavoro, in aggiunta alle spettanze di fine rapporto, come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente (cosiddetti incentivi all’esodo) non hanno natura liberale né eccezionale, ma costituiscono reddito di lavoro dipendente, essendo predeterminate al fine di sollecitare e remunerare, mediante una vera e propria controprestazione, il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto, questa Corte ha avuto modo, anche recentemente, di operare una ricostruzione della natura dell’incentivo ex art. 7, legge regionale Calabria n. 8/2005 e del termine di prescrizione ad esso applicabile.
In quelle sedi (Cass. Sez. L, Ordinanza n. 4151 del 2024 ma anche Cass. Sez. L, Ordinanza n. 5188 del 2024) si è in particolare osservato, richiamando altri precedenti, che, poiché nella fattispecie in esame la cessazione dal servizio viene preceduta da un accordo intercorso tra le parti del rapporto di lavoro, trova applicazione il principio già enunciato da questa Corte (Cass. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 487 del 2021 e le precedenti Cass. Sez. L, Sentenza n. 17736 del 2007; Cass. Sez. L, Sentenza n. 6663 del 2002), secondo cui allorquando un accordo transattivo sia stato preceduto dalla manifestazione di volontà del datore di lavoro di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro con un proprio dipendente e dalla richiesta, da parte di quest’ultimo, di una somma di denaro quale condizione per addivenire alla risoluzione consensuale del rapporto, alla corresponsione di una somma di denaro, erogata in esecuzione di quell’accordo, deve essere riconosciuta natura retributiva.
Da tale inquadramento discende la riconducibilità dell’indennità in questione alla fase conclusiva del rapporto e la conseguente applicazione del termine di prescrizione di cui all’art. 2948, n. 5), c.c., trattandosi di un’azione di inesatto adempimento del debito gravante sul datore di lavoro, azione che è appunto
assoggettata al termine quinquennale di prescrizione di cui alla previsione testé citata (Cass. Sez. L – Sentenza n. 25270 del 09/12/2016).
A tali principi la decisione impugnata risulta pienamente conforme, da ciò derivando l’infondatezza del motivo di ricorso .
I principi ivi richiamati non si pongono in contrasto con la recente sentenza n. 6229/2024 delle Sezioni Unite di questa Corte; tale pronuncia non ha infatti affermato il carattere non retributivo dell’incentivo all’esodo , né ha messo in dubbio che lo stesso rientri fra le somme corrisposte in ragione della cessazione del rapporto, ma ai fini della determinazione dell’indennità di fine rapporto spettante al coniuge titolare dell’assegno divorzile e non passato a nuove nozze, si è limitata ad evidenziare che l’incentivo all’esodo non è assimilabile alle erogazioni determinate in proporzione alla durata del rapporto di lavoro.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell’art.13, comma 1 quater, del d.P.R. n.115 del 2002, dell’obbligo, per i ricorrenti, di versare l’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per l’impugnazione integralmente rigettata, se dovuto.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a rifondere alla controricorrente le spese del giudizio di legittimità , che liquida in € 200,00 per esborsi ed in € 4.500,00 per competenze professionali, oltre spese generali in misura del 15% ed accessori di legge;
ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro della Corte