Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4151 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L   Num. 4151  Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 15/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 17509/2018 R.G.
proposto  da  COGNOME  NOME,  rappresentato  e  difeso dall’AVV_NOTAIO,  ed  elett.  domiciliato  in  Roma, presso l o studio dell’AVV_NOTAIO, INDIRIZZO.
– ricorrente –
contro
REGIONE  CALABRIA,  in  persona  del Presidente pro tempore , elettivamente domiciliata in RomaINDIRIZZO, presso lo studio dell’AVV_NOTAIO ,  rappresentata e difen sa dall’AVV_NOTAIO.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1740/2017, depositata il 5.12.2017 della  Corte  d’Appello  di Catanzaro,  RG  NUMERO_DOCUMENTO  del 2015;
udita  la  relazione  svolta  nella  camera  di  consiglio  del 20.12.2023 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
La  C orte  d’ A ppello  di  Catanzaro  ha  rigettato  l’appello proposto da NOME COGNOME nei confronti della Regione Calabria  avverso  la  sentenza  con  la  quale  il  Tribunale  di Catanzaro aveva dichiarato estinto per prescrizione quinquennale il diritto al computo del tredicesimo rateo nella base di calcolo dell’indennità supplementare dovutagli a titolo di incentivo all’esodo anticipato.
Il lavoratore aveva adito il Tribunale chiedendo, in ragione dell’accordo di risoluzione del rapporto stipulato ai sensi della legge reg. n. 8 del 2015, il riconoscimento e la corresponsione delle spettanze di cui all’art. 7 della leg ge della Regione Calabria n.  8  del  2005,  con  l’applicazione nella  base  di  calcolo  della tredicesima  mensilità,  in  ragione  della  sentenza  della  Corte costituzionale n. 271 del 2011, oltre interessi e rivalutazione.
La Corte d’Appello ha affermato che nella specie trovava applicazione  il  termine  di  prescrizione  quinquennale ex art. 2948, n. 5, cod. civ.
Contro la sentenza della C orte d’ Appello il lavoratore ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi, assistiti da memoria.
La Regione Calabria si è difesa con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 ,  cod.  civ .  in  relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.
Il ricorrente ricorda il contenuto precettivo dell’ art. 2948, cod. civ. rubricato ‘prescrizione di cinque anni’ e prospetta che il  caso  di  specie  non  rientra  nelle  ipotesi  previste  da  detta norma.
L’incentivo all’esodo richiesto dal ricorrente ha natura di corrispettivo per la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro e  rientra,  pertanto,  nelle  ipotesi  applicative  del  regime  di prescrizione ordinaria decennale.
Il  credito vantato da esso lavoratore scaturisce non già dal rapporto di lavoro, ma dal contratto di risoluzione anticipata dello  stesso  ed  è,  pertanto,  finalizzato  a  mutare  il  titolo  e  a estinguere le pregresse posizioni soggettive, costituendone al loro  posto  altre,  autonome  e  distinte,  sottratte  al  termine prescrizionale proprio e soggette a quello ordinario decennale.
2. Il motivo non è fondato.
Va premesso che questa Corte ha già avuto modo di affermare ( ex aliis , Cass., n. 2318 del 2022, n. 12198 del 2020, n. 1748 del 2017) nel concetto di «retribuzione lorda» previsto dall’articolo 7 della legge Regione Calabria nr. 2 marzo 2005 n. 8, nell’unica interpretazione possibile (come evidenziato anche dalla Corte costituzionale nel dichiarare illegittima, con sentenza nr. 271/2001, la norma di interpretazione autentica di cui all’ articolo 44 della legge della Regione Calabria 13 giugno 2008, n. 15, che disponeva in senso contrario) deve essere inclusa la 13^ mensilità.
Nella specie, la cessazione dal servizio è stata preceduta da un accordo intercorso tra le parti del rapporto di lavoro e trova, quindi, applicazione il principio già enunciato da questa Corte nell’esaminare analoga fattispecie, relativa all’applicazione dell’art. 7 della legge reg. Calabria n. 8 del 2005 e  al  termine  di  prescrizione  (Cass.,  n.    487  del  2021,  che
richiama Cass. n. 17736 del 2007, n. 6663 del 2002), secondo cui: “Allorquando un accordo transattivo sia stato preceduto dalla manifestazione di volontà del datore di lavoro di risolvere unilateralmente il rapporto di lavoro con un proprio dipendente e dalla richiesta, da parte di quest’ultimo, di una somma di denaro quale condizione per addivenire alla risoluzione consensuale del rapporto, alla corresponsione di una somma di denaro, erogata in esecuzione di quell’accordo, deve essere riconosciuta natura retributiva”.
Pertanto, con riguardo alla fattispecie in esame disciplinata  dalla  legge  reg.  in  esame ,  la  Corte  d’Appello  ha affermato  correttamente  che  l’indennità,  era  strettamente collegata alla fase conclusiva del rapporto e ricadeva nell’ambito applicativo di cui all’art. 2948, cod. civ., n. 5.
Va  inoltre  considerato  che  nella  specie  viene  in  rilievo un’azione  di  inesatto  adempimento  del  debito  gravante  sul datore di lavoro, azione assoggettata al termine quinquennale di  prescrizione  di  cui  all’art.  2948,  n.  5,  cod.  civ.,  (Cass.,  n. 25270 del 2016).
Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 3 Cost., in relazione all’art. 360 , n. 3,  cod.  proc.  civ.  Violazione  del  principio  della  certezza  del diritto.
La  sentenza  di  appello  violerebbe  l’art.  3 ,  Cost.  poiché porrebbe in atto una illegittima immotivata disparità di trattamento tra ex dipendenti regionali che avevano beneficiato dell’esodo anticipato, avendo sempre riconosciuto la  prescrizione  decennale  del  diritto  all’indennità  di  esodo tranne nel caso di specie, ove il  lavoratore ha avuto negato il riconoscimento  del  proprio  diritto  alle  spettanze  di  cui  alla tredicesima  mensilità  sull’indennità  di  esodo  unicamente  a
causa  della erronea  applicazione  al caso  di specie della prescrizione quinquennale.
Nel merito, il lavoratore ribadisce la fondatezza della sua richiesta.
Il motivo è inammissibile, atteso che è irrilevante la circostanza  che  altri  lavoratori,  pur  versando  in  situazione analoga da quella dell’odierno ricorrente, abbiano visto un esito diverse in appello con sentenze non impugnate dalla Regione.
Ed infatti, come già affermato da questa Corte, è da escludersi che dall’eventuale attribuzione ingiustificata di un beneficio a determinati lavoratori possa derivare per i lavoratori pretermessi il diritto ad ottenere io stesso beneficio o il risarcimento del danno, rimanendo inapplicabili in tal caso anche le clausole generali di correttezza e buona fede, le quali, come tramite per il controllo sulla ragionevolezza degli atti di autonomia negoziale, possono operare soltanto all’interno del rapporto di lavoro in relazione ai valori espressi nel rapporto medesimo e nella contrattazione collettiva, e non possono, invece, spiegare la loro efficacia in relazione a comportamenti esterni, adottati dal datore di lavoro nell’ambito di rapporti di lavoro diversi (Cass., n. 14322 del 2016).
Il ricorso deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità seguono  la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
La  Corte  rigetta  il  ricorso.  Condanna  il  ricorrente  al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro  3.000,00  per  compensi  professionali,  euro  200,00  per esborsi,  spese  generali  nella  misura  del  15%  e  accessori  di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento,  da  parte  del  ricorrente  dell’ulteriore  importo  a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13, se dovuto.
Così  deciso  in  Roma,  nella  camera  di  consiglio  del  20