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Prescrizione illecito disciplinare: da quando decorre?

Un dentista, sanzionato con la sospensione per aver diffamato una collega, ha presentato ricorso in Cassazione. La Corte ha accolto il motivo sulla prescrizione dell’illecito disciplinare, stabilendo che il termine quinquennale decorre dal momento in cui l’infrazione è stata commessa, e non da quando l’organo disciplinare ne è venuto a conoscenza. Di conseguenza, la decisione è stata annullata con rinvio per una nuova valutazione.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Civile, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Prescrizione Illecito Disciplinare: La Cassazione fissa il Dies a Quo

L’ordinanza in commento affronta un tema cruciale per tutti i professionisti sanitari: la prescrizione dell’illecito disciplinare. La Corte di Cassazione, con una decisione netta, ha ribadito un principio fondamentale sul momento esatto da cui far decorrere il termine quinquennale, annullando una sanzione disciplinare per errata applicazione della legge. Questa sentenza offre importanti spunti di riflessione sulla differenza tra la data di commissione del fatto e quella della sua conoscenza da parte dell’Ordine professionale.

I Fatti di Causa

Un odontoiatra veniva sanzionato dal proprio Ordine provinciale con la sospensione dall’esercizio della professione per quattro mesi. La sanzione scaturiva da una serie di accuse, ritenute infondate e lesive del decoro professionale, che il sanitario aveva mosso ripetutamente contro una collega. Le accuse, che includevano l’uso non autorizzato di un timbro con firma falsa e la falsificazione di verbali assembleari di un’associazione di categoria, erano state formulate in più occasioni tra il 2009 e il 2015.

La decisione dell’Ordine veniva confermata dalla Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie (CCEPS). L’odontoiatra, ritenendo la decisione ingiusta, proponeva ricorso per Cassazione basato su diversi motivi, tra cui la competenza dell’organo disciplinare, la violazione del diritto di difesa e, soprattutto, l’avvenuta prescrizione dell’azione disciplinare.

L’analisi dei motivi di ricorso

La Corte ha esaminato i vari motivi di ricorso con esiti diversi.

Sulla competenza dell’Ordine Professionale

Il ricorrente sosteneva che i fatti, essendo avvenuti all’interno di un’associazione privata di dentisti, non rientrassero nella competenza dell’Ordine. La Corte ha rigettato questa tesi, affermando che le condotte disdicevoli al decoro professionale sono sanzionabili anche se tenute al di fuori dell’attività clinica, specialmente quando coinvolgono rapporti tra colleghi iscritti allo stesso albo.

Sulla violazione del diritto di difesa

Il secondo motivo, relativo al presunto mancato accoglimento di una richiesta di rinvio dell’udienza per motivi di salute, è stato dichiarato inammissibile. La Corte ha rilevato una carenza processuale: il ricorrente non aveva né riprodotto il contenuto specifico della sua istanza né indicato con precisione dove trovarla negli atti di causa, rendendo impossibile per la Corte verificarne la fondatezza.

La prescrizione dell’illecito disciplinare secondo la Cassazione

Il cuore della decisione risiede nel terzo motivo di ricorso, che è stato accolto. La CCEPS aveva erroneamente ritenuto che il termine di prescrizione di cinque anni iniziasse a decorrere non dalla data dei fatti, ma dal momento in cui l’organo disciplinare ne era venuto a conoscenza (ad esempio, tramite un esposto) o dalla data dell’ultimo atto di una condotta reiterata.

La Suprema Corte ha censurato questa interpretazione, riaffermando il suo consolidato orientamento. Il dies a quo, ovvero il giorno da cui parte il calcolo della prescrizione, è quello della commissione dell’illecito. L’esposto presentato dalla parte offesa non interrompe la prescrizione, in quanto è un mero atto di denuncia volto a portare i fatti a conoscenza dell’organo competente.

Le motivazioni

La Corte ha motivato la sua decisione richiamando principi consolidati in materia di prescrizione dell’illecito disciplinare. Ha chiarito che, secondo la normativa vigente (DPR n. 221/1950), l’azione disciplinare è soggetta a un termine di prescrizione di cinque anni che decorre dalla commissione del fatto. Confondere questo momento con quello della conoscenza da parte dell’ente disciplinare costituirebbe un errore di diritto. La Corte ha specificato che l’unico atto idoneo a interrompere tale decorso è l’avvio formale del procedimento disciplinare o, se presente, l’inizio di un procedimento penale per i medesimi fatti. Dato che le condotte contestate risalivano in gran parte agli anni 2009-2010 e il procedimento disciplinare era stato avviato solo nel 2016, la prescrizione era con ogni probabilità maturata. La decisione della CCEPS, basata su un presupposto giuridico errato, doveva quindi essere annullata.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso limitatamente al motivo sulla prescrizione. Ha cassato la decisione impugnata e ha rinviato la causa alla CCEPS, in diversa composizione, affinché riesamini il caso applicando il corretto principio di diritto. Il giudice del rinvio dovrà quindi ricalcolare i termini di prescrizione partendo dalla data di ogni singola condotta contestata per verificare se l’azione disciplinare sia stata o meno esercitata tempestivamente. Questa sentenza rafforza la garanzia di certezza del diritto per i professionisti, stabilendo chiaramente che la prescrizione non può essere posticipata in base alla data di presentazione di un esposto.

Da quando inizia a decorrere la prescrizione per un illecito disciplinare sanitario?
Secondo la Corte di Cassazione, il termine quinquennale di prescrizione decorre dalla data in cui l’illecito è stato commesso, non dalla data in cui l’organo disciplinare ne ha avuto conoscenza.

Le liti all’interno di un’associazione professionale possono dar luogo a sanzioni disciplinari da parte dell’Ordine?
Sì. La Corte ha stabilito che le condotte che ledono il decoro e la dignità professionale sono rilevanti ai fini disciplinari anche se avvengono al di fuori dell’esercizio clinico, come all’interno di un’associazione di categoria, poiché i doveri di colleganza e correttezza si estendono anche a tali contesti.

Perché il motivo di ricorso sulla violazione del diritto di difesa è stato dichiarato inammissibile?
È stato dichiarato inammissibile perché il ricorrente, in violazione dell’art. 366 c.p.c., non ha riprodotto nel ricorso il contenuto specifico del documento su cui si basava la sua censura (l’istanza di rinvio) né ha specificato dove tale documento fosse reperibile nel fascicolo processuale, impedendo alla Corte di valutarne la rilevanza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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