Sentenza di Cassazione Civile Sez. U Num. 4839 Anno 2025
Civile Sent. Sez. U Num. 4839 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 25/02/2025
SENTENZA
sul ricorso 10439-2024 proposto da:
COGNOME elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato
NOME COGNOME rappresentato e difeso in proprio unitamente all’avvocato NOME COGNOME giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI VERONA; PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE CASSAZIONE ROMA;
– intimati – avverso la sentenza n. 91/2024 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE di ROMA, depositata il 27/03/2024;
Lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero, nella persona dell’Avvocato Generale Dott. NOME COGNOME che ha chiesto, in accoglimento del primo motivo di ricorso, e con assorbimento degli altri, cassare senza rinvio la sentenza impugnata per essere maturata la prescrizione dell’illecito disciplinare;
Lette le memorie del ricorrente;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/02/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
udito il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. NOME COGNOME che si è riportato alle conclusioni scritte;
FATTI DI CAUSA
Il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 91 del 27 marzo 2024, ha respinto il ricorso proposto dall’avvocato NOME COGNOME avverso la decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD) del Veneto che gli aveva inflitto la sanzione della censura.
Il ricorrente è stato sottoposto a procedimento disciplinare per la violazione dell’obbligo di formazione continua di cui agli articoli 15 e
70, comma sesto, del codice deontologico forense e degli articoli 6 e 12 del regolamento del CNF n. 6/2014, essendogli stato contestato di non avere conseguito alcun credito dei 60 previsti, di cui 9 in materia obbligatoria, per il triennio 20142016, con la ‘Violazione degli obblighi di formazione continua previsti dagli artt. 15 e 70, comma 6, Codice Deontologico Forense, e dagli artt. 6 e 12 del Regolamento CNF n. 6/2014, per aver conseguito zero crediti formativi nel triennio 20142016. In Verona, sino al 31.12.2016’.
L’incolpato sosteneva di essere libero di scegliere gli strumenti di formazione e le relative attività ai sensi dell’articolo 7 del regolamento CNF n. 6 del 2014 e che la formazione dell’avvocato va riferita alle materie di cui egli prevalentemente si occupa.
Poiché si interessava esclusivamente, se non del tutto, di diritto agrario, non erano mai stati organizzati eventi di formazione nella sua zona in quella materia e, quindi, non avrebbe potuto, anche volendo, conseguire i crediti prescritti.
Avverso la decisione del CDD che gli aveva irrogato la sanzione della censura, l’avvocato COGNOME ha proposto ricorso al CNF, che è stato respinto con la sentenza n. 91 del 27 marzo 2024.
Disattese le eccezione di carattere procedimentale, concernenti la chiarezza e specificità della citazione in giudizio dinanzi al CDD, il CNF reputava infondate anche le doglianze di incostituzionalità e la richiesta di rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE delle norme applicate. Infatti, l’incolpato aveva eccepito l’illegittimità costituzionale ed il contrasto con il diritto dell’Unione europea della vigente disciplina sulla formazione continua, con particolare riferimento all’esonero previsto in favore degli avvocati con più di venticinque anni di anzianità professionale e degli avvocati con più
di sessanta anni di età, esonero che avrebbe carattere discriminatorio con conseguente illegittimità della complessiva disciplina in materia.
Il ricorrente sosteneva, nella sostanza, che l’intrinseca irragionevolezza per assenza di giustificazione del trattamento differenziato in esame avrebbe comportato per ciò stesso il suo contrasto con gli evocati parametri normativi, e richiamava, quale tertium comparationis , la disciplina vigente in altri ordinamenti professionali che non prevedono alcuna forma di esonero dall’adempimento dell’obbligo formativo per motivi di anzianità o età.
La sentenza impugnata escludeva però la rilevanza delle questioni prospettate, in quanto la questione della ragionevolezza dell’esonero per raggiunti limiti d’età non era direttamente collegato all’oggetto del giudizio né da tale prescrizione dipendeva l’obbligo formativo cui era sottoposto l’incolpato. Infatti, anche ove la Corte costituzionale ovvero la Corte di giustizia UE avessero reputato discriminatoria la previsione in parola e perciò contraria rispettivamente a Costituzione e al diritto dell’Unione l’effetto non sarebbe certo quello di esonerare il ricorrente dall’obbligo formativo di cui è gravato in quanto iscritto all’Ordine forense.
Quanto all’ulteriore ulteriore questione di illegittimità costituzionale prospettata in relazione al Regolamento n. 6/2014 e all’articolo 70, comma 6 del CDF, per violazione degli articoli 3, 23, 25 e 27 Cost., sul presupposto che gli obblighi prescritti costituirebbero una prestazione imposta, per la quale l’articolo 23 della Costituzione pone una riserva di legge, aggiungendosi che la disciplina dell’obbligo formativo di cui al Reg. n. 6/14 violerebbe uno dei
principi affermati dalla legge n. 247/12 e cioè, in particolare, quello relativo al superamento del sistema dei crediti formativi, la sentenza gravata ne riteneva la manifesta infondatezza. Infatti, la giurisprudenza disciplinare ed amministrativa avevano avuto modo di sottolineare, addirittura nel previgente sistema normativo in cui non vi era una espressa copertura legislativa della potestà regolamentare in capo al CNF in materia di formazione continua, che la previsione regolamentare in tema di obbligo di formazione, con relative sanzioni disciplinari poste a tutela della sua effettività, non è in contrasto né con l’art. 23 né con l’art. 33 della Costituzione non potendosi riconoscere nella stessa né una previsione patrimoniale imposta né una disposizione per la conservazione dell’iscrizione nell’albo professionale ma, esclusivamente una condizione per l’accesso alla professione. Né poteva invocarsi la violazione dell’art. 25 Cost, tanto perché la sanzione disciplinare non è equiparabile a quella penale, q uanto, e a monte, perché l’art. 11 della l. prof. stabilendo che «L’avvocato ha l’obbligo di curare il continuo e costante aggiornamento della propria competenza professionale al fine di assicurare la qualità delle prestazioni professionali e di contribuire al migliore esercizio della professione nell’interesse dei clienti e dell’amministrazione della giustizia» costituisce la copertura legislativa delle previsioni del codice deontologico forense previsto dagli artt. 35 e 65 della medesima legge. Infine, l’ eventuale contrasto tra detta fonte ed i regolamenti di attuazione, sotto il profilo del «superamento dei sistema dei crediti», non costituisce materia sulla quale spetti al giudice delle leggi il sindacato, né, in realtà in radice al giudice disciplinare, costituendo eventualmente
vizio del provvedimento amministrativo non portato all’attenzione del giudice munito di giurisdizione.
Quanto al merito, secondo la prospettazione del ricorrente l’obbligo formativo sarebbe legato indissolubilmente alla possibilità che l’avvocato abbia di reperire eventi nel proprio territorio e, in mancanza di tale possibilità, l’iscritto deve essere ritenuto esonerato dall’obbligo medesimo. La totale assenza di eventi formativi in diritto agrario, non solo tra quelli promossi dal COA di Verona ma anche fra quelli reperibili nella FAD (formazione a distanza), costituirebbe circostanza idonea a scagionare l’incolpato in quanto ‘causa di forza maggiore’ ai sensi dell’art. 15 (rubricato ‘Esenzioni ed esoneri’), comma 2, lettera b), del Regolamento CNF n. 6/2014. Inoltre quanto alla possibilità per l’iscritto, in assenza di eventi formativi inerenti a materie di proprio interesse, di aggiornamento in autonomia attraverso le modalità autorizzate dal COA o dal CNF ai sensi dell’art. 13 del Regolamento CNF n. 6/2014, ed in particolare, attraverso ‘attività seminariali di studio, anche nell’ambito della propria organizzazione professionale e mediante l’utilizzo di sistemi telematici, preventivamente autorizzate o accreditate dal CNF o dal COA secondo le rispettive competenze’, rilevava l’incolpato di fare uso di banche dati che assicuravano un’adeguata formazione.
La difesa era però reputata priva di fondamento.
Secondo il CNF il sistema di formazione continua previsto per l’avvocato da un lato è cogente (art. 35) e non può essere ritagliato sulle personali valutazioni ed aspirazioni dei singoli iscritti, dall’altro -oltre ad includere obbligatoriamente la deontologia forense (anch’essa completamente omessa dal ricorrente nel triennio) -riguarda «non solo l’approfondimento delle conoscenze e
competenze professionali già acquisite, ma anche il loro costante accrescimento ed aggiornamento, quindi anche l’apprendimento di materie nuove o solo in parte trattate nei corsi universitari, di talché non può valere come circostanza scriminante l’assenza nell’offerta formativa di incontri relativi al diritto agrario, materia più praticata dal ricorrente. Inoltre, l’assoluta equipollenza del sistema FAD e di quello della formazione in presenza destituiva di fondamento la prospettazione secondo la quale la mancata pubblicità dell’offerta formativa del COA potesse valere quale causa giustificativa dell’inottemperanza all’obbligo.
Quanto alla censura che atteneva all’eccessività della sanzione (censura) irrogata dal CDD in luogo della sanzione edittale (avvertimento) prevista dall’art. 70, comma 6, del CDF, la sentenza gravata osservava che l’accertata assoluta mancanza di tutti i crediti prescritti, anche in materia deontologica, e l’atteggiamento dell’incolpato, che aveva sempre rivendicato la legittimità del proprio comportamento omissivo, non consentivano un bilanciamento con le evidenze positive circa l’assenza di procedimenti disciplinari e la competenza specifica.
Avverso la sentenza era proposto ricorso per cassazione dall’avvocato sulla base di sei motivi, illustrati da memorie.
L’intimato Consiglio dell’ordine territoriale non ha svolto attività difensiva.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso solleva eccezione di prescrizione ex art. 56 L. 247/2012, in quanto trattasi di asserito illecito consumato al
31.12.2016, e che sarà quindi verosimilmente prescritto nelle more del presente gravame.
Il secondo motivo denuncia l’incostituzionalità e/o contrarietà alla normativa transnazionale dell’art. 11 L. 247/2012 e conseguentemente delle norme del Regolamento n. 6/2014 la cui violazione è stata posta a carico del ricorrente, per violazione degli artt. 3, 10, 11, 24, 35, 38, 51, 97 e 117 Cost., dell’art. 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, della Direttiva CE n. 2000/78 e della normativa primaria da essa richiamata, nonché violazione e falsa applicazione delle citate norme costituzionali e transnazionali in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., relativamente al capo di sentenza ivi contenuto tra pag. 4 e pag. 5, in quanto la sanzione irrogata al ricorrente consegue dalla mancata disapplicazione, ad opera del CNF, delle citate norme illegittime.
Il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 111, comma 6, della Costituzione e dell’art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. per difetto assoluto di motivazione sul motivo di impugnazione numerato 2.5 nel ricorso al CNF del 19.09.2019, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., in quanto nella sentenza impugnata il CNF non ha pronunciato sul citato capo di impugnazione seppure ritualmente proposto avverso la decisione n. 43/19 del CDD Veneto.
Il quarto motivo di censura lamenta l’illegittimità dell’art. 11 della legge n. 247/2012 e delle norme del Regolamento n. 6/2014 poste a carico del ricorrente, per violazione del principio di libera, corretta e leale concorrenza di cui agli articoli da 101 a 109 TFUE, al Regolamento CE n. 139/2004, agli articoli 1 e 2 D.L. 223/06 convertito nella L. 248/2006, e della normativa primaria ivi richiamata, all’art. 3, comma 5, D. Lgs. 138/2011 ed all’art. 3,
comma 2, L. 247/2012, nonché la violazione del citato principio e delle citate norme eurounitarie e nazionali in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., in quanto la disparità di trattamento menzionata in relazione al precedente motivo n. 2 lede anche le norme qui rubricate in materia di concorrenza.
Il quinto motivo lamenta l’illegittimità dell’art. 11 L. 247/2012 e delle norme del Regolamento n. 6/2014 poste a carico del ricorrente, per violazione dell’art. 3 della Costituzione e dell’art. 8 CEDU in relazione all’art. 117 della Costituzione e del principio di offensività, nonché la violazione delle citate norme costituzionali e transnazionali e del citato principio in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. -Eccesso e sviamento di potere sotto i profili dell’illogicità e dell’arbitrarietà, relativamente al capo di sentenza ivi contenuto a pag. 8, in quanto l’irrogazione della sanzione al ricorrente viola apertamente il detto principio e le citate norme.
Il sesto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 24 Cost., degli artt. 6 e 8 CEDU in relazione all’art. 117 Cost., degli artt. 1, 2, 11, comma 3, ultimo periodo, e 43 L. 247/2012, degli artt. 5, 6, 7, 8, 12, 13, 14, 15 e 23 del Regolamento CNF n. 6/14 e degli artt. 15 e 70, comma 6, Codice Deontologico Forense; sviamento ed eccesso di potere, in quanto nel capo di sentenza ivi compreso tra pag. 7 e pag. 8 il CNF ha applicato le citate norme del Regolamento CNF 6/2014 a carico del ricorrente in modo totalmente avulso o addirittura contrario alla loro lettera e alla loro ratio, configurando anche il conseguente vizio di sviamento ed eccesso di potere.
Ritengono le Sezioni Unite che rivesta carattere assorbente il profilo della prescrizione dell’illecito disciplinare sollecitato con il primo motivo di ricorso.
Occorre a tal fine ribadire l’ammissibilità della denuncia di sopravvenuta prescrizione dell’azione disciplinare anche direttamente in questa sede (cfr. da ultimo Cass. S.U. n. 36204/2023), atteso che tale prescrizione è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, sempre che il suo rilievo non comporti indagini fattuali, che ovviamente qui non sarebbero espletabili (conf. Cass. S.U. n. 32634/2022).
Va poi ribadito il costante orientamento di queste Sezioni Unite per cui, allo scopo di individuare la legge applicabile ratione temporis alla prescrizione dell’azione disciplinare, occorre rapportarsi alla data della commissione del fatto. Per l’illecito disciplinare degli avvocati, il regime più favorevole di prescrizione introdotto dall’articolo 56 l. 247/2012 (che statuisce un termine massimo di prescrizione dell’azione disciplinare di sette anni e sei mesi) non è applicabile agli illeciti commessi prima della entrata in vigore della norma, giacché le sanzioni disciplinari contenute nel Codice Deontologico Forense hanno natura amministrativa. Pertanto, da un lato, sulla disciplina della prescrizione non incide lo jus superveniens se più favorevole all’incolpato, rimanendo così limitata la retroattività della legge più favorevole alla fattispecie incriminatrice e alla pena, dall’altro lato, il momento di riferimento per l’individuazione del regime di prescrizione applicabile, nel caso di illecito punibile solo come disciplinare, è quello della commissione del fatto, e non quello della incolpazione ( ex multis , Cass. S.U. n. 2313/2025; Cass. S.U. n.
24285/2024; Cass. S.U. n. 20383/2021; Cass. S.U. n. 23746/2020; Cass. S.U. n. 9558/2018; Cass. S.U. n. 1609/2020).
Nel caso in esame il regime di prescrizione, applicabile ratione temporis , è quello dettato dall’articolo 56 l. 247/2012, essendosi l’illecito contestato consumato alla data di cessazione del triennio per il quale risulta omesso lo svolgimento di attività formativa (2014-2016).
Ne consegue che l’illecito disciplinare si è consumato il 31 dicembre 2016 e da quella data decorre il termine di prescrizione, che, anche tenuto conto dell’aumento massimo previsto per legge (tenuto conto dell’intervento di eventi interruttivi che, come previsto dal terzo comma del medesimo articolo 56, consentono il prolungamento del termine per non oltre un quarto), è maturato alla data del 30 giugno 2024, e cioè ben prima della celebrazione dell’udienza dinanzi a queste Sezioni Unite e precisamente nelle more tra quest’ultima e la pubblicazione della sentenza impugnata.
Il ricorso quindi va accolto, con conseguente cassazione senza rinvio della sentenza impugnata, essendosi l’azione disciplinare estinta per prescrizione (Cass. S.U. n. 30782/2024), restando evidentemente assorbiti gli altri motivi di ricorso.
La complessa e protratta vicenda processuale giustifica la compensazione delle spese per l’intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso ed assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata senza rinvio per essersi l’azione disciplinare estinta per prescrizione;
compensa le spese del presente giudizio.
Così deciso, in Roma, nella camera di consiglio del 4 febbraio 2025.