Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 16300 Anno 2025
Civile Ord. Sez. 3 Num. 16300 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 17/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 18258/2022 R.G., proposto da
PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI , in persona del Presidente del Consiglio in carica; ex lege domiciliata in Roma, INDIRIZZO presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende ope legis ;
-ricorrente-
contro
COGNOME NOME COGNOME ; rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME in virtù di procura in calce al controricorso;
-controricorrenti- nonché contro
COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
-intimati-
avverso la SENTENZA della CORTE d’ APPELLO di ROMA n. 207/2022, depositata il 13 gennaio 2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 17 aprile 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ., notificato il 13 aprile 2017, NOME COGNOME, NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME convennero davanti al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei Ministri, chiedendone la condanna al pagamento dell ‘ adeguata retribuzione spettante per la frequenza dei corsi di specializzazione medica in cui si erano immatricolati tra l’anno accademico 1977 -1978 e l’anno accademico 1990-1991; in subordine, invocarono la condanna dell ‘ amministrazione statale convenuta al risarcimento dei danni conseguenti alla mancata attuazione delle direttive europee 75/362/CEE, 75/363/CEE e 82/76/CEE.
Il Tribunale -rigettata l’eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 4, comma 43, legge n. 183/2011, sollevata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e ritenuto che trovasse invece applicazione il termine di prescrizione decennale con decorrenza dal 27 ottobre 1999, nella fattispecie debitamente interrotto dai creditori con lettera di messa in mora ricevuta dalla debitrice il 30 giugno 2009 -accolse le domande, liquidando le somme spettanti a ciascuno degli attori in base all’art. 11 della legge n. 370/1999.
Avverso questa sentenza l’ amministrazione statale propose appello, ribadendo la già eccepita operatività, dal 1° gennaio 2012, del nuovo termine di prescrizione quinquennale ex art. 4, comma 43, legge n. 183/2011, sicché le domande avrebbero dovuto essere rigettate per intervenuta prescrizione, per non avere gli attori posto in essere atti interruttivi nel quinquennio intercorrente tra il 1° gennaio 2012 e il 31 dicembre 2016 e per essere quindi il termine
prescrizionale ineluttabilmente decorso al tempo della notificazione del ricorso introduttivo del giudizio, avvenuta il 13 aprile 2017.
Nella contumacia degli appellati, la Corte d’appello di Roma, con sentenza 13 gennaio 2022, n. 297, dato atto che « la causa era stata introdotta in prime cure nell’anno 2016 », ha rigettato l’impugnazione, confermando, in iure , il giudizio del Tribunale circa l’applicabilità, nella fattispecie , del termine prescrizionale decennale, anziché di quello quinquennale previsto dall’art. 4, comma 43, della l. n. 183/2011, norma che, in difetto di espressa previsione, avrebbe esplicato la sua efficacia solo per i fatti verificatisi successivamente alla sua entrata in vigore.
Per la cassazione di questa sentenza ha proposto ricorso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, sulla base di due motivi.
Hanno risposto con controricorso NOME COGNOME e NOME COGNOME.
Non hanno svolto difese, restando intimati, NOME COGNOME NOME COGNOME e NOME COGNOME
La trattazione dei ricorsi è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. pro. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha depositato conclusioni scritte.
I controricorrenti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.1. Con il primo motivo viene denunciata la violazione dell’art. 4, comma 43, della legge n. 183/2011, nonché dell’art. 252 disp. att. cod. proc. civ..
L a sentenza d’appello viene censurata nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di prescrizione quinquennale sollevata dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.
L’amministrazione ricorrente deduce che la Corte territoriale avrebbe dovuto applicare il termine di prescrizione quinquennale, e
non decennale, giusta la previsione dell’art. 4, comma 43, della legge n. 183/2011.
Afferma che questa norma, prevedendo che il diritto al risarcimento del danno da tardiva attuazione di una direttiva comunitaria si prescrive in cinque anni, ha dettato una regola sì irretroattiva, ma applicabile comunque ai termini già in corso al momento della sua entrata in vigore, ed a partire da tale momento in poi.
Ne trae la conclusione che dal 1° gennaio 2012, data di entrata in vigore della legge n.183/2011, ha iniziato a decorrere un termine prescrizionale di cinque anni, ormai spirato alla data dell’introduzione della lite (13 aprile 2017).
1.2. Con il secondo motivo viene denunciata la violazione dell’art. 2943, primo comma, cod. civ..
L ‘amministrazione ricorrente censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che la causa fosse stata introdotta in prime cure nell’anno 2016 , « così sembrando attribuire rilievo, ai fini dell’interruzione della prescrizione, alla data di deposito del ricorso 702 bis c.p.c., introduttivo del giudizio in prime cure (anno 2016) anziché alla notificazione del ricorso stesso in uno al decreto di fissazione dell’udienza (13.4.2017) ».
Sostiene che, al contrario, avuto riguardo al tenore letterale dell’art. 2043, primo comma, cod. civ., la prescrizione deve reputarsi interrotta dalla « notificazione » dell’atto introduttivo del giudizio.
I motivi -da esaminare congiuntamente per ragioni di connessione -sono fondati, con le precisazioni che seguono.
2.1. La premessa svolta dalla Corte d’appello secondo cui « la causa era stata introdotta in prime cure nell’anno 2016 » non ha assunto concreta rilevanza nell’economia della decisione impugnata , poiché la stessa Corte ha confermato il giudizio del Tribunale circa l’ applicabilità del termine di prescrizione decennale decorrente dal
27 ottobre 1999 e, nella fattispecie, interrotto dalla lettera di messa in mora del 30 giugno 2009.
Il nuovo termine di prescrizione decorrente dall’atto interruttivo stragiudiziale sarebbe pertanto scaduto il 30 giugno 2019, restando irrilevante la collocazione dell’atto interruttivo giudiziale al ‘2016’ (anno del deposito del ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ.) o al ’13 aprile 2017′, giorno della notificazione del ricorso medesimo unitamente al decreto di fissazione dell’udienza.
Però, se la Corte territoriale avesse reputato applicabile il termine quinquennale previsto dall’art. 4, comma 43, della legge n. 183/2011, con decorrenza dalla data della sua entrata in vigore (1° gennaio 2012), la collocazione temporale del successivo atto interruttivo stragiudiziale sarebbe stata rilevante, poiché, ove l’interruzione della prescrizione fosse stata collegata al deposito del ricorso, essa sarebbe intervenuta tempestivamente, prima della scadenza del termine quinquennale (1° gennaio 2017); ove invece fosse stata collegata alla notifica, sarebbe intervenuta dopo tale scadenza, sicché il diritto azionato dagli attori avrebbe dovuto reputarsi prescritto.
2.2. Poiché, come si sta per vedere, il giudizio di applicabilità dell’or dinario termine decennale è erroneo in iure (trovando effettiva operatività, nella fattispecie, il più breve termine quinquennale introdotto dall’art.4, comma 43, legge n. 183/2011), assume dunque rilievo la questione giuridica generale se, nell’ipotesi di proposizione dell’azione civile ai sensi dell’art. 702 -bis cod. proc. civ., applicabile ratione temporis (rito sommario di cognizione), l’ effetto interruttivo della prescrizione si produce già al momento del deposito del ricorso o soltanto al momento della notificazione dello stesso alla controparte, unitamente al decreto di fissazione d’ udienza.
Questa Sezione, in un non lontano precedente, ha statuito che, in caso di proposizione di azione revocatoria ordinaria mediante ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ., il termine di prescrizione è
validamente interrotto dal deposito del ricorso nella cancelleria del giudice adìto, atteso, per un verso, che nell’instaurazione del rapporto processuale (rilevante ai fini della individuazione del giudice previamente adìto in caso di litispendenza: art.39, ult. comma, cod. proc. civ.) deve individuarsi l ‘ espressione della volontà dell ‘ attore di interrompere la condizione di inerzia che conduce all ‘ estinzione del diritto per prescrizione, e considerato, per altro verso, che il dato letterale secondo cui, ai fini dell ‘ effetto interruttivo della prescrizione, rileva la ‘ notificazione ‘ dell ‘ atto con cui si inizia il giudizio (art.2943 cod. civ.), deve essere inteso come corrispondente al binomio proposizione della domanda/pendenza del giudizio, avuto riguardo alla circostanza che nell ‘ impianto originario del codice di rito civile predominava il modello del processo ordinario instaurato con citazione, sicché la notificazione dell ‘ atto con cui esso era introdotto costituiva la modalità ‘ naturale ‘ di proporre la domanda (Cass., Sez. 3, 15/09/2021, n. 24891).
Questo arresto è rimasto tuttavia isolato, a fronte del consolidato indirizzo -formatosi prevalentemente presso la Sezione Lavoro con riguardo alla fattispecie di giudizio introdotto con ricorso ex art. 414 cod. proc. civ. ( ex plurimis , già Cass., Sez. L, 17/01/1992, n. 543; più recentemente, Cass., Sez. L, 29/07/2004, n. 14439; Cass, Sez. L, 23/10/2007, n.22238; Cass., Sez. L, 9/12/2009, n. 25757; Cass., Sez. L, 24/06/2009, n.14862; Cass., Sez. L., 12/10/2017, n, 24031), ma condiviso anche dalle altre Sezioni, tra cui questa (Cass., Sez. 3, 15/02/2017, n. 4034), in arresti che hanno riguardato le più disparate fattispecie, dal ricorso per decreto ingiuntivo (Cass., Sez. 3, 23/9/2022, n.27944) al procedimento per la determinazione dell’indennità di esproprio (Cass. 9/01/2024, n. 698) -secondo il quale, perché si produca l’effetto interruttivo della prescrizione è necessario che il debitore abbia conoscenza (legale, non necessariamente effettiva) dell ‘ atto giudiziale o stragiudiziale del creditore, sicché tale effetto non si realizza con il deposito del ricorso
presso la cancelleria del giudice adito, ma con la notificazione dell’atto al convenuto.
A questo consolidato orientamento va data continuità, dovendosi ribadire (cfr. Cass., Sez. 3, 15/02/2017, n. 4034, cit. ) che, per un verso, esso, lungi dall’esser ne contraddetto, risulta confermato dalle pronunce (come ad es. Cass., Sez. L, 26/11/2012, n. 20859) che applicano il principio opposto (per cui il deposito del ricorso è sufficiente a determinare l’effettivo interruttivo) con riguardo alla prescrizione prevista dall’art. 112 del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 per l’esercizio dell’azione giudiziaria diretta a conseguire le prestazioni dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali gestita dall’INAIL (norma che è stata oggetto di declaratoria di incostituzionalità con sentenza n. 129 del 1986 della Corte costituzionale); per altro verso, che non opera, in tale fattispecie, il principio che estende anche sul piano sostanziale la scissione degli effetti della notificazione per il notificante e per il destinatario (cfr. Cass., Sez. Un., 09/12/2015, n. 24822), atteso che l’effetto di interruzione della prescrizione può avvenire anche in virtù di un atto stragiudiziale.
In definitiva, trova applicazione il principio generale desumibile dall’art. 2943 cod. civ., per il quale la prescrizione è interrotta solo nel momento in cui l’atto interruttivo viene a conoscenza del destinatario, vale a dire, dunque, con la notificazione dell’atto introduttivo del giudizio, non potendo tale effetto ricollegarsi già al momento del deposito dello stesso.
2.3. Ciò posto in generale, nella vicenda in esame il diritto degli attori (attuali controricorrenti ed intimati) deve ritenersi estinto per prescrizione.
La fattispecie della prescrizione del diritto al risarcimento del danno causato dallo Stato a causa della tardiva attuazione di una direttiva comunitaria è rimasta a lungo priva di una specifica disciplina legislativa. Nel silenzio della legge, la giurisprudenza di
questa Corte si orientò a ritenere che a quel diritto dovesse applicarsi il termine di prescrizione decennale. L’adeguamento dell’ordinamento interno a quello comunitario, infatti, deve avvenire per mezzo d’una legge: ma la scelta del Parlamento di adottar e o non adottare una legge, così come lo stabilire quale contenuto darle, sono atti politici. Essi sono perciò liberi nel fine ed insuscettibili di essere qualificati come ‘dolosi’ o ‘colposi’ ( Cass. 1/04/2003, n. 4915).
Se ne trasse l ‘implicazione che la mancata o tardiva attuazione d’una direttiva comunitaria non può equipararsi ad un ‘fatto illecito’ ai sensi dell’art. 2043 c od. civ., e che, pertanto, l’obbligazione dello S tato di risarcire il danno causato dalla tardiva attuazione d’una direttiva comunitaria andasse equiparata ‘ all’inadempimento di un’obbligazione ex lege (di natura indennitaria), riconducibile come tale all’area della responsabilità contrattuale ‘ (così Cass., Sez. Un., 17/04/2009, n. 9147, la quale compose in tal guisa i precedenti contrasti giurisprudenziali, ed i cui princìpi sono stati costantemente ribaditi dalla giurisprudenza successiva:, ex aliis , Cass. 22/06/2023, n. 17936).
Inquadrato il c.d. ‘illecito comunitario’ nell’area della responsabilità contrattuale, ne discese l’applicazione, al credito vantato da quanti avessero subito danno per effetto dell’inerzia del legislatore, del termine decennale di prescrizione.
2.4. A disciplinare la materia intervenne in seguito l’art. 4, comma 43, della legge 12 novembre 2011, n. 183 (legge di stabilità per il 2012), il quale stabilì che ‘ la prescrizione del diritto al risarcimento del danno derivante da mancato recepimento nell’ordinamento dello Stato di direttive o altri provvedimenti obbligatori comunitari soggiace, in ogni caso, alla disciplina di cui all’articolo 2947 del codice civile e decorre dalla data in cui il fatto, dal quale sarebbero derivati i diritti se la direttiva fosse stata tempestivamente recepita, si è effettivamente verificato ‘.
L’art. 4, comma 43, della l egge 183/2011 fu dunque una norma che abbreviò il termine di prescrizione precedentemente ritenuto applicabile.
2.5. Gli effetti di una legge che abbrevi un termine di prescrizione sono disciplinati dall’art. 252, comma primo, disp. att. cod. civ.. Questa norma, sebbene dettata per disciplinare gli effetti dei nuovi termini di prescrizione introdotti dal codice civile, è stata ritenuta espressione di un principio generale (applicabile a qualunque ipotesi di ius superveniens che abbrevi un termine di prescrizione) sia dalla Corte costituzionale (Corte cost. n.20 del 1994), sia dalle Sezioni Unite di questa Corte di legittimità (Cass., Sez. Un., 7/03/2008, n. 6173).
L’art. 252, comma primo, disp. att. c od. civ., così come interpretato dalle decisioni appena ricordate, detta due regole. La prima regola prevede che quando una nuova legge stabilisce un termine di prescrizione più breve di quello previsto dalle leggi anteriori, il nuovo termine si applica anche all’esercizio dei diritti sorti anteriormente all’entrata in vigore della nuova legge, con decorrenza dall’entrata in vigore di quest’ultima. La seconda regola prevede che il termine di prescrizione introdotto dalla legge posteriore non si applica, se ha per effetto di prolungare la scadenza del termine previgente già in corso.
L ‘ art. 252 disp. att. cod. civ., in definitiva, fissa il principio per cui dall’entrata in vigore d i una legge abbreviatrice di un termine di prescrizione in corso, si applicherà il minor termine tra quello nuovo e quel che residua del termine originario.
2.6. La regola dettata dall’art. 252 disp. att. c od. civ. consente dunque di prefigurare quattro ipotesi.
ILa prima eventualità è che il termine di prescrizione sia spirato prima dell’entrata in vigore della nuova legge che lo ha abbreviato: in tal caso ovviamente non si pone alcuna questione di successione
di legge nel tempo, dal momento che la legge posteriore non potrebbe far rivivere diritti già estinti.
IILa seconda eventualità è che la nuova legge stabilisca un termine di prescrizione che, calcolato a decorrere dalla sua entrata in vigore, accorci la durata della prescrizione di cui il creditore avrebbe beneficiato secondo la legge previgente: in tal caso il credito si prescriverà non più nel termine originario, ma nel minor termine previsto dalla nuova norma, che inizierà a decorrere dall’entrata in vigore di quest’ultima.
IIILa terza eventualità è che al momento di entrata in vigore della legge abbreviatrice del previgente termine di prescrizione, mancasse allo spirare di quest’ultimo un arco di tempo minore rispetto al nuovo termine introdotto dal ius superveniens , calcolato con decorrenza dall’entrata in vigore della nuova legge : in tal caso il credito si prescriverà nel termine originario, e resterà insensibile al ius superveniens .
IVLa quarta eventualità è che, dopo l’entrata in vigore della legge abbreviatrice del termine di prescrizione, ma prima che sia spirato il termine applicabile secondo quanto indicato ai precedenti capi II e III (ovvero il minor termine tra quello nuovo e quello originario residuo), il creditore interrompa la prescrizione: in tal caso si applicherà il nuovo termine, con decorrenza non dall’entrata in vigore della legge di riforma, ma dal compimento dell’atto interruttivo.
2.7. I princìpi sin qui esposti sono già stati ripetutamente applicati da questa Corte -ed in relazione alle più svariate fattispecie -in molti casi in cui una legge posteriore aveva abbreviato un termine di decadenza o di prescrizione previgente, (cfr. Cass., Sez. Un., 07/03/2008, n. 6173; Cass., Sez. Un., 22/07/2015, n. 15352; Cass. 6/07/2023, n. 19173; Cass. 5/06/2023, n. 15651; Cass. 5/11/2021, n.2165; Cass. 12/8/2021, n. 22820; Cass.17/06/2021, n. 17430; Cass. 15/11/2022, n. 33553; Cass. 2/02/2022, n. 3166
Cass.6/06/2019, n. 15315; Cass. 2/10/2018, n. 23893; Cass. 19/03/2010, n. 6705).
2.8. Essi princìpi devono pertanto applicarsi anche per disciplinare gli effetti della disposizione contenuta nell’art. 4, comma 43, legge 183/2011, come già ritenuto da questa Corte in identiche fattispecie (Cass. 20/12/2023 n. 35571 e Cass. 5/07/024, n.18408, alle cui ulteriori motivazioni può qui rinviarsi ex art. 118 disp. att. c.p.c.).
Il ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri deve dunque essere accolto in applicazione dei seguenti princìpi di diritto:
‘ Il diritto al risarcimento del danno causato dalla tardiva attuazione d’una direttiva comunitaria è soggetto alla prescrizione quinquennale a partire dal 1° gennaio 2012, a nulla rilevando che il fatto generatore del danno, od il danno stesso si sia verificato in epoca anteriore.
Se alla data del 1° gennaio 2012, il tempo mancante al compimento della prescrizione, calcolato secondo il termine originario, fosse superiore al quinquennio, si applicherà il minor termine di durata quinquennale.
Se alla data del 1° gennaio 2012 il tempo mancante al compimento della prescrizione, calcolato secondo il termine originario, fosse inferiore al quinquennio, continuerà ad applicarsi il previgente termine decennale.
Se dopo il 1° gennaio 2012, ma prima del maturare della prescrizione, il creditore ne abbia interrotto il corso, a partire dall’atto interruttivo si applicherà il termine quinquennale ‘.
2.9. La ritenuta erroneità, su questo punto, della sentenza impugnata non ne impone la cassazione con rinvio. Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, è possibile decidere la causa nel merito.
È incontroverso che la prescrizione fosse stata interrotta per l’ultima volta in via stragiudiziale con lettera di messa in mora del 30
giugno 2009, ed il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado era stato notificato il 13 aprile 2017.
Alla data di entrata in vigore della legge n.183/2011, pertanto, il tempo mancante alla prescrizione del credito degli attori, secondo le regole previgenti, era superiore al quinquennio.
Dal 1° gennaio 2012 tuttavia quel termine era stato ridotto, ai sensi del combinato disposto dell’art. 4, comma 43, l egge 183/2011, e 252 disp. att. cod. civ., a cinque anni decorrenti dal 1° gennaio 2012.
In applicazione del nuovo termine quinquennale, il credito si sarebbe quindi prescritto il 1° gennaio 2017, sicché esso doveva reputarsi estinto al momento del successivo atto interruttivo della prescrizione costituito dalla notificazione del ricorso ex art.702bis cod. proc. civ., effettuata il 13 aprile 2017.
Decidendo nel merito, va dunque rigettata la domanda proposta da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
La novità della questione e il diverso esito dei gradi di merito giustificano l’integrale compensazione delle spese di tutti i gradi del giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda proposta da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME.
Compensa integralmente tra le parti le spese di tutti i gradi di giudizio
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza