Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 13052 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 3 Num. 13052 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 13/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 20089/2021 R.G., proposto da
NOME COGNOME ; rappresentato e difeso da sé stesso unitamente a ll’ AVV_NOTAIO (pec dichiarata: EMAIL), in virtù di procura rilasciata su foglio separato da intendersi in calce al ricorso;
-ricorrente-
nei confronti di
NOME COGNOME ; rappresenta to e difeso dall’AVV_NOTAIO (pec dichiarata: ), in virtù di procura in calce al controricorso;
-controricorrente –
nonché di
RAGIONE_SOCIALE , in persona del Direttore legale rappresentante pro tempore ; rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale
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dello Stato, presso i cui Uffici, in Roma, INDIRIZZO, è, ex lege , domiciliata;
-resistente- e di
NOME COGNOME ;
-intimato- per la cassazione della sentenza n. 3/2021 della CORTE d’ APPELLO di SALERNO, depositata il giorno 11 gennaio 2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 23
febbraio 2024 dal Consigliere NOME COGNOME.
FATTI DI CAUSA
Con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ., notificato il 18 novembre 2013, NOME COGNOME, magistrato del Pubblico Ministero in servizio presso la Procura presso il Tribunale di Paola, convenne l’AVV_NOTAIO, il giornalista NOME COGNOME e NOME COGNOME dinanzi al Tribunale di Salerno, invocandone la condanna al risarcimento del danno (da liquidarsi in Euro 250.000) conseguito alla condotta diffamatoria e calunniosa serbata nei suoi confronti mediante l’invio , nelle date 22, 23 e 25 ottobre 2008, di esposti a diverse alte cariche istituzionali, nonché mediante la pubblicazione, tra il novembre 2008 e l’aprile 2010 , di alcuni articoli sul periodico ‘Dibattito News’ diretti, in generale, ad indicarlo come amico e frequentatore di delinquenti ed affiliati a clan di stampo camorristico-mafioso e, più in particolare, a divulgare l’avviso di conclusione delle indagini preliminari ex art.415bis cod. proc. pen., notificatogli in data 4 ottobre 2008, in ordine all’imputazione concernente il reato di cui all ‘art. 368 cod. pen., per avere egli incolpato, sapendolo innocente, NOME COGNOME dei delitti di calunnia e
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diffamazione, dicendo che era falsa la circostanza da lui riferita in un esposto del 2007 indirizzato al Procuratore della Repubblica di Paola, in cui si parlava dei rapporti intrattenuti da NOME COGNOME, magistrato inquirente presso la medesima Procura, con un appartenente ad un clan malavitoso; circostanza che invece sarebbe risultata veritiera per essere stato il detto esponente malavitoso controllato mentre era a bord o dell’autovettura del dott. COGNOME.
L’ attore espose: che per questa imputazione, dopo la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, il pubblico ministero aveva chiesto l’archiviazione in data 6 novembre 2008; che, oppostasi la persona offesa NOME COGNOME, il GIP, all’esito di apposita udienza, aveva emesso ordinanza di archiviazione in data 25 maggio 2009; che, dunque, NOME COGNOME era stato sottoposto a procedimento penale per i delitti di diffamazione e calunnia e per il reato contravvenzionale di pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale ed era stato assolto per i delitti e condannato per la contravvenzione con sentenza n. 101 del 2013 del Tribunale di Salerno.
Con sentenza n. 1824 del 22 maggio 2018, il Tribunale di Salerno, rigettata l’eccezione di prescrizione sollevata da parte convenuta, in parziale accoglimento della domanda, ritenne diffamatori gli esposti del 22 e del 23 ottobre 2008, nonché quattro articoli pubblicati il 3 novembre 2008, l’8 dicembre 2008, il 22 gennaio 2009 e il 27 aprile 2010 e condannò NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido tra loro (il secondo nei limiti di Euro 12.500), a pagare all’attore, a titolo risarcitorio, la somma di Euro 25.000; rigettò la domanda proposta nei confronti di NOME COGNOME.
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Con sentenza 11 gennaio 2021, n. 3, l a Corte d’ appello di Salerno -adìta con appello principale da NOME COGNOME e con appello incidentale da NOME COGNOME -ha rigettato il primo e parzialmente accolto (limitatamente al quantum ) il secondo, condannando NOME COGNOME e NOME COGNOME, in solido tra loro (il secondo nei limiti di Euro 15.000), a pagare all’attore, a titolo risarcitorio, la somma di Euro 30.000.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre NOME COGNOME, sulla base di cinque motivi.
Risponde con controricorso NOME COGNOME.
Intimato ex art. 586 cod. civ., lo Stato Italiano, in seguito alla rinuncia all’eredità da parte degli eredi di NOME COGNOME, deceduto nelle more, si è costituita nel giudizio di legittimità l’RAGIONE_SOCIALE, depositando atto di costituzione finalizzato a consentire la partecipazione all’eventual e udienza di discussione.
Non ha svolto difese in sede di legittimità l’intimato NOME COGNOME.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai sensi dell’art.380 -bis .1 cod. proc. civ..
Il Pubblico Ministero presso la Corte non ha depositato conclusioni scritte.
Il ricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo è denunciata « Violazione e falsa applicazione d ell’art. 112 cpc, nullità del capo della sentenza impugnato in relazione all’art. 360. nn. 3 e 4, cpc, nonché omesso esame circa un fatto
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decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c. ».
La decisione impugnata viene censurata nella parte in cui -dopo aver dato atto che con la sentenza n. 101 del 2013 del Tribunale penale di Salerno, NOME COGNOME era stato condannato per il reato contravvenzionale di cui all’art. 684 cod. pen. (per avere divulgato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari del 4 ottobre 2008), mentre era stato assolto per il delitto di diffamazione perché il fatto non costituisce reato (ovverosia, per mancanza dell’elemento soggettivo del reato) -ha evidenziato, in primo luogo, che la richiamata sentenza penale non aveva efficacia di giudicato nel giudizio civile risarcitorio, in secondo luogo che il giudice penale aveva espressamente sottolineato l’obiettiva lesione della reputazione del magistrato (la quale avrebbe potuto quindi essere apprezzata in sede civile) e, infine, in terzo luogo, che il giudice penale non aveva accertato che il fatto era non punibile o scriminato.
Il ricorrente reputa che sul punto la Corte territoriale avrebbe omesso di considerare numerosi elementi probatori, importanti e rilevanti, evidenziati nell’atto di appello e nella comparsa conclusionale, i quali, se correttamente valutati, avrebbero comportato il rigetto della domanda attorea.
Sostiene, in particolare, che il Tribunale penale di Salerno, con la citata sentenza n. 101/2013, avrebbe emesso una pronuncia assolutoria con la formula ‘ vincolante per il giudice civile prevista dall’art. 652 del cpp e non solo per la mancanza dell’elemento soggettivo’, se avesse potuto accertare la veridicità delle notizie relative alle frequentazioni del resistente con un pregiudicato, affiliato ad un clan di Cetraro, mediante l’escussione testimoniale delle persone
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che ne erano a conoscenza (tra cui, in particolare, ufficiali di Polizia Giudiziaria, un magistrato che all’epoca dei fatti era in servizio alla Procura di Paola, nonché altri magistrati e comuni cittadini) e se avesse, inoltre, potuto acquisire tutti gli atti processuali (in particolare, i verbali di sommarie informazioni testimoniali e la relazione di servizio degli ufficiali di Polizia Giudiziaria) acquisiti, successivamente, nell’ambito di altri procedimenti penali a cui egli era stato sottoposto e che erano stati definitivamente archiviati.
1.1. Il motivo è inammissibile.
1.1.a. In primo luogo, alla stessa stregua delle allegazioni del ricorrente non è configurabile il dedotto vizio di omessa pronuncia, il quale ricorre solo quando il giudice non si pronunci su una domanda, su una eccezione in senso stretto (arg. ex art. 112 cod. proc. civ.) o su un motivo di gravame, mentre, nella fattispecie, si imputa, nella sostanza, alla Corte di merito, di non avere considerato che, a differenza di altri processi penali a cui il ricorrente era stato successivamente sottoposto, conclu sisi con l’archiviazione, quello definito dalla sentenza del 2013 sarebbe stato insufficientemente istruito.
1.1.b. In secondo luogo, sempre alla stregua delle stesse allegazioni del ricorrente, neppure è configurabile il vizio di omesso esame di fatto decisivo e discusso: premesso, infatti, che il ‘fatto’ di cui può denunciarsi con ricorso per cassazione l’omesso esame, ai sensi dell ‘art. 360 n. 5 cod. proc. civ., deve essere un fatto storico vero e proprio avente carattere di fatto principale, ex art. 2697 cod. civ. (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o di fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale) e deve altresì possedere i due necessari caratteri dell’essere
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decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia) e dall’aver formato oggetto di controversia tra le parti (Cass., Sez. Un., 7/04/2014, n. 8053; Cass. 29/10/2018, n. 27415; Cass. 8/09/2016, n. 17761), nella fattispecie il ‘ fatto ‘ non esaminato dalla Corte d’appello non sarebbe rappresentato da una circostanza storica positiva idonea a costituire fatto principale o fatto secondario, nei termini sopra precisati, ma sarebbe rappresentato da una circostanza negativa, ovverosia dalla circostanza che il giudice penale non aveva acquisito prove costituite e costituende in base alle quali avrebbe potuto emettere una pronuncia di assoluzione per insussistenza del fatto, idonea ad esplicare efficacia di giudicato in sede civile.
Il primo motivo va dunque dichiarato inammissibile.
Con il secondo motivo è denunciata « Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cpc, nullità del capo della sentenza impugnato in relazione all’art. 360. nn. 3 e 4, cpc, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c. ».
La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui non avrebbe preso posizione sulle censure formulate dal ricorrente (già appellante) in ordine all’ accertamento operato dal giudice di prime cure, il quale, pur avendo dato atto delle frequentazioni tra NOME COGNOME e un pregiudicato affiliato ad un clan di Cetraro, aveva tuttavia apprezzato la portata diffamatoria degli esposti da lui presentati il 22 e 23 ottobre 2008 sul rilievo della non corrispondenza a verità della circostanza che il magistrato era un abituale frequentatore anche di altri malavitosi, avendo egli ricevuto un avviso di conclusione indagini relativamente ad un singolo fatto.
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Il ricorrente sostiene che se avesse preso atto delle numerose prove da lui fornite -nonché delle intercettazioni ambientali e telefoniche effettuate, nel 2014-2015, dalla Guardia RAGIONE_SOCIALE di Paola -la Corte territoriale avrebbe accertato che NOME COGNOME aveva intrattenuto rapporti e frequentazioni, oltre che con il pregiudicato indicato nell’avviso di conclusione indagini, anche con diversi altri soggetti pregiudicati, delinquenti, mafiosi, truffatori e bancarottieri, molti dei quali arrestati e condannati definitivamente anche per associazione mafiosa.
Tale omissione renderebbe « nulla la sentenza per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. ed ex art. 360 n.4 c.p.c., nonché ex art. 360 n. 5 c.p.c. non essendovi dubbio nemmeno in relazione alla decisività delle suddette argumentazioni che se correttamente esaminate e valutate, avrebbero escluso qualsiasi ipotesi di diffamazione e avrebbero necessariamente comportato il rigetto della domanda avanzata dal AVV_NOTAIO. COGNOME NOME ».
2.1. Anche il secondo motivo è inammissibile.
Al riguardo, va ribadito il rilievo, già formulato in relazione al motivo precedente, secondo cui, alla stessa stregua delle allegazioni del ricorrente, non è configurabile il dedotto vizio di omessa pronuncia, poiché non viene dedotto che il giudice del merito abbia omesso di provvedere su una domanda, su una eccezione in senso stretto o su un motivo di gravame.
Neppure viene in considerazione l’omesso esame di specifiche e decisive circostanze storiche, prospettandosi, piuttosto, una inammissibile censura della ricostruzione dei fatti e della valutazione delle risultanze istruttorie operate dalla Corte d’appello , omettendo di considerare che l’una e l’altra attività sono riservate al giudice del
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merito cui compete anche la scelta, insindacabile in sede di legittimità, delle prove ritenute più idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi (Cass. 4/07/2017, n. 16467; Cass. 23/05/2014, n. 11511; Cass. 13/06/2014, n. 13485; Cass. 15/07/2009, n. 16499).
Con il terzo motivo è denunciata « Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cpc, nullità del capo della sentenza impugnato in relazione all’art. 360. nn. 3 e 4, cpc, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c. ».
La sentenza impugnata è censurata per non essersi pronunciata sulle doglianze formulate dal ricorrente (già appellante) in relazione al ‘travisamento’ dei fatti in cui sarebbe incorso il giudice di prime cure con riferimento al suo concorso nella diffamazione posta in essere dal giornalista NOME COGNOME mediante la pubblicazione di diversi articoli di stampa, tra il 3 novembre 2008 e il 27 aprile 2010.
Il ricorrente premette che questi articoli (in particolare quelli del 37 novembre 2008 e dell’8 dicembre 2008) erano stati ritenuti diffamatori per avere affermato che NOME COGNOME, oltre ad esse frequentatore di un pregiudicato affiliato ad un clan di Cetraro, era anche ‘colluso’ con esso ed era più in generale ‘colluso con boss mafiosi’.
Ciò premesso, il ricorrente sostiene che, erroneamente, il giudice di prime cure aveva ritenuto provata la sua compartecipazione alla condotta diffamatoria posta in essere dal giornalista COGNOME sulla base di una ‘nota dossier anonima’ (la cui paternità, tra l’altro, gli era stata attribuita gratuitamente) e di un decreto di rinvio a giudizio emesso nei suoi confronti per concorso nel reato di diffamazione a mezzo stampa; ciò, in quanto, da un lato, in nessuno di tali atti si
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faceva menzione della detta ‘collusione’, mentre, dall’altro, il rinvio a giudizio era stato disposto in ragione delle affermazioni relative alle ‘ frequentazioni ‘ con un pregiudicato (affermazioni accertate come veridiche dallo stesso giudice di primo grado) e non già per le affermazioni circa la ‘collusione’.
Lamenta, dunque, il ricorrente che di questo « macroscopico travisamento di circostanze importantissime e rilevantissime, da parte del giudice di primo grado, che, se correttamente valutate, avrebbero comportato il doveroso rigetto della domanda attorea » nei suoi confronti, la C orte d’ appello non avrebbe tenuto conto, omettendo di considerare che il suo concorso col giornalista COGNOME non poteva affatto reputarsi provato, per come da lui dimostrato, per tabulas , « con i numerosi motivi articolati nell’atto di appello ed ancora di più chiaramente con la comparsa conclusionale ». In ogni caso, tali condotte avrebbero dovuto ritenersi scriminate dall’esercizio del diritto di difesa, di critica e di cronaca, ai sensi degli artt. 21 e 24 Cost. e 51 cod. pen..
3.1. Anche il terzo motivo è inammissibile.
3.1.a. Deve, anche con riguardo esso, essere ribadito il rilievo, già sopra ripetutamente formulato, secondo cui, alla stessa stregua delle allegazioni del ricorrente, non è configurabile né il vizio di violazione, per difetto, della regola della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (poiché non viene prospett ata l’omessa pronuncia su una domanda, su una eccezione o su un motivo di gravame), né il vizio di omesso esame, poiché non è dedotta la mancata considerazione di un fatto storico principale o secondario (in particolare, il fatto di diffamazione a mezzo stampa posto in essere dal giornalista COGNOME con il concorso o meno del ricorrente) ma la valutazione che di tale
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fatto ha dato il giudice del merito, in ordine alla sua sussistenza, alla portata diffamatoria e alla partecipazione ad esso da parte di NOME COGNOME.
3.1.b. Viene, dunque, ancora in considerazione un apprezzamento di merito, come tale incensurabile in sede di legittimità.
Il giudice d’appello , nel libero e motivato apprezzamento delle risultanze istruttorie, condividendo la ricostruzione dei fatti già operata dal giudice di primo grado, ha ritenuto che la fonte informativa del giornalista COGNOME andasse individuata nell a persona dell’ AVV_NOTAIO, avuto riguardo al contenuto di tali informazioni (le quali replicavano quelle contenute negli esposti presentati dal legale), allo stile e al linguaggio utilizzati (anche essi ripetitivi di espressioni contenute nei detti esposti), ai rapporti di confidenza esistenti tra l ‘avvocato e il giornalista e al la circostanza che entrambi erano stati rinviati a giudizio per reciproco concorso nel delitto di diffamazione a mezzo stampa.
Avuto riguardo alle motivate e incensurabili valutazioni della Corte di merito, il motivo di ricorso in esame è, dunque, inammissibile, in quanto tende a provocare dalla Corte di cassazione una ricostruzione dei fatti e una lettura delle risultanze istruttorie diversa da quelle fornite dal giudice d ‘ appello, il quale non ha omesso di prendere in considerazione circostanze storiche decisive e controverse, ma ne ha accertata la rilevanza ai fini dell’affermazione del giudizio di responsabilità del ricorrente.
3.1.c. Quanto all’attribuzione della portata diffamatoria agli articoli di stampa, con esclusione delle scriminanti invocate dal ricorrente, anche essa integra un accertamento di merito, dovendosi ricordare, al riguardo, il consolidato orientamento secondo cui, in tema di azione di
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risarcimento dei danni da diffamazione a mezzo della stampa, la ricostruzione storica dei fatti, la valutazione del contenuto degli scritti, l’apprezzamento in concreto delle espressioni usate come lesive dell’altrui reputazione, la valutazione dell’esiste nza o meno dell’esimente dell’esercizio del diritto di cronaca e di critica costituiscono oggetto di accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito ed insindacabili in sede di legittimità se sorretti da argomentata motivazione (tra le tante, Cass. 18/10/2005, n. 20138; Cass. 10/01/2012, n. 80; Cass. 21/05/2014, n. 11268; Cass. 27/07/2015, n. 15759; Cass. 30/05/2017, n. 13520).
Anche il terzo motivo, pertanto, va dichiarato inammissibile.
4. Con il quarto motivo è denunciata « Violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cpc, nullità del capo della sentenza impugnato in relazione all’art. 360. nn. 3 e 4, cpc, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio , che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, n. 5, c.p.c. -Prescrizione ex art. 2947 c.c. -Error in iudicando -Error in procedendo ».
La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha confermato la statuizione di primo grado di rigetto dell’eccezione preliminare di merito di prescrizione, per un verso (con riferimento alle affermazioni contenute negli esposti del 22 e del 23 ottobre 1998, in relazione ai quali era stata contestata la fattispecie delittuosa della diffamazione), ritenendo applicabile il termine di prescrizione di sei anni, per altro verso (con riguardo alla fattispecie contravvenzionale della pubblicazione arbitraria di atti di un procedimento penale, in relazione alla quale vi era stata condanna in primo grado), ritenendo applicabile il termine quinquennale con decorrenza dall’irrevocabilità della
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sentenza di condanna, con conseguente esclusione della maturazione della fattispecie estintiva del diritto al m omento dell’ introduzione dell’ azione risarcitoria da parte di NOME COGNOME, avvenuta con ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ., notificato nelle date 11 e 21 novembre 2013.
Secondo il ricorrente, infatti, la fattispecie sarebbe regolata dal primo comma dell’art. 2947 cod. civ. (con conseguente applicabilità del termine quinquennale da l giorno dell’illecito), avuto riguardo alla circostanza che non vi era stata costituzione di parte civile nel processo penale.
4.1. Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 2947 cod. civ., deve distinguersi secondo che per la fattispecie penale sia o meno stabilita una prescrizione più breve o più lunga di quella prevista per la fattispecie aquiliana.
Nel primo caso (prescrizione per il reato più breve) si applicano i primi due commi dell’art. 2947: il diritto al risarcimento si prescrive in cinque anni o, nel caso di danno prodotto dalla circolazione di veicoli di ogni specie, in due anni (art. 2947, primo e secondo comma, cod. civ.).
Nel secondo caso (prescrizione per il reato più lunga), occorre ulteriormente distinguere.
Se il processo penale non è stato promosso (Cass. n. 3865/2004; Cass. n. 24988/2014; Cass. n. 2350/2018) oppure è stato promosso ma si è concluso con una sentenza dichiarativa di estinzione del reato per prescrizione (Cass. n. 19566/2004; Cass. n. 22883/2007), si applica la prescrizione più lunga anche all’azione civile con decorrenza dalla data del fatto; dunque, se è dichiarata la prescrizione del reato, deve ritenersi prescritto anche il diritto al risarcimento (art. 2947, terzo comma, primo periodo).
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Se invece il processo penale si è concluso con sentenza dichiarativa di estinzione del reato per ragioni diverse dalla prescrizione (remissione di querela, morte dell’imputato, amnistia ecc.; Cass. n. 22883/2007, cit. ) oppure con sentenza irrevocabile, di condanna (rispetto alla quale opera anche l’effetto di cui all’art. 2953 cod. civ.), di assoluzione o anche di patteggiamento, che non pregiudichi l’azione risarcitoria (Cass. n. 3762/2007; Cass. n. 25042/2013; Cass. n. 2694/2021; Cass. n. 31157/2023; Cass., Sez. Un., n. 8348/2013), si applica la prescrizione prevista per il fatto illecito aquiliano, ma con decorrenza dalla data di estinzione del reato o dalla data della sentenza irrevocabile, restando controverso se occorra o meno l’ulteriore condizione della costituzione di parte civile del danneggiato (in senso positivo, Cass. n. 11190/2022; in senso negativo, Cass. n. 20363/2019) (art.2947, terzo comma, secondo periodo, cod. civ.).
Nel caso di specie, per il delitto di diffamazione (non rileva la contravvenzione ex art. 684 cod. pen.) la legge stabiliva una prescrizione più lunga di quella prevista nei primi due commi dell’art. 2947 cod. civ. (sei anni) ; si era pertanto nell’orbita di operatività del terzo comma dell’art. 2947 cod. civ..
Ciò posto, si applicava il secondo periodo del detto terzo comma dell’art. 2947 cod. civ. perché il processo penale era stato promosso e si era concluso con sentenza di assoluzione non pregiudicante l’azione risarcitoria; il termine di prescrizione era dunque quinquennale e decorreva dal passaggio in giudicato della sentenza penale del 2013.
Correttamente, pertanto, la Corte territoriale ha escluso la maturazione della prescrizione, non rilevando, tra l’a ltro, nella fattispecie, il contrasto circa la necessità della costituzione di parte civile: infatti, anche se si ritenesse applicabile il termine prescrizionale
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previsto per il reato dalla data del fatto (6 anni dal 22 ottobre 2008), esso, alla data della notifica del ricorso ex art. 702bis cod. proc. civ. (novembre 2013), non sarebbe decorso.
Il quarto motivo deve quindi essere rigettato.
Con il quinto motivo è denunciata « Violazione e falsa applicazione degli artt. 91, 92 (formulazione ante riforma l. n. 132/2014) e 132 c.p.c. in relazione all’art. 360, nn. 3 e 4 cpc. ».
Il ricorrente deduce anzitutto « la mancanza di motivazione » in ordine alla statuizione recante la sua condanna alle spese del grado; censura, inoltre, la legittimità in iure di tale statuizione, avuto riguardo al « minimo accoglimento dell’appello incidentale » (tradottosi in un « piccolo adeguamento della sorta risarcitoria »), e dunque al « sostanziale rigetto di entrambi gli appelli », che avrebbe giustificato la compensazione delle spese in ragione della ricorrenza dei « giusti motivi previsti dall’originario art.92 c.p.c. ».
5.1. Il motivo è manifestamente infondato.
In primo luogo, non sussiste la dedotta lacuna motivazionale, proprio in ragione del fatto che la statuizione sulle spese è stata emessa con esplicito riferimento all’applicazione del principio di soccombenza, ai sensi dell’art. 91 cod. proc. civ..
In secondo luogo, di tale principio è stata fatta corretta applicazione, avuto riguardo alla totale reiezione del gravame principale e al (pur parziale) accoglimento di quello incidentale.
D’altra parte, giova ricordare che la regola che deve guidare il giudice del merito nella regolazione delle spese processuali è quella fondata sulla soccombenza (art. 91 cod. proc. civ.), mentre la compensazione, parziale o totale, al verificarsi delle ragioni previste dall’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ. (nella formulazione
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applicabile ratione temporis ), è riservata al prudente apprezzamento del giudice e trova quindi fondamento in un potere di natura discrezionale, il cui esercizio è di norma incensurabile in sede di legittimità -salvo che per illogicità, inesistenza o apparenza della motivazione (Cass. 3/07/2019, n. 17816; Cass. 26/07/2021, n. 21400) -e che trova il suo unico limite nell’impossibilità di porre le spese a carico della parte totalmente vittoriosa (Cass. 24/06/2003, n. 10009; Cass. 26/11/2020, n. 26912).
In definitiva, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità relative al rapporto processuale tra ricorrente e controricorrente seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo, mentre non vi è luogo a provvedere su quelle dei rapporti processuali facenti capo alla parte resistente, che non ha depositato controricorso, e alla parte intimata.
Avuto riguardo al tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1quater , del D.P.R. n. 115 del 2002 -della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.300,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater , del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto
C.C. 23.02.2024 N. R.G. 20089/2021 Pres. Scrima Est. COGNOME
della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente , dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione