Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30743 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30743 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 29/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 11909-2023 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 644/2022 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 25/11/2022 R.G.N. 374/2022;
Oggetto
R.G.N. 11909/2023
COGNOME
Rep.
Ud. 27/06/2024
CC
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/06/2024 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.- Con ricorso notificato il 24/5/2023, la CASSA NAZIONALE RAGIONE_SOCIALE ASSISTENZA a favore dei RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI impugna la sentenza della Corte d’appello di Torino n.644/2022 pubblicata il 25/11/2022, reiettiva, con condanna alle spese di lite, del gravame avverso la sentenza del Tribunale di Torino di accoglimento del ricorso proposto da COGNOME NOME volto ad accertare l’ illegittimità del contributo di solidarietà operato, con riferimento all’art. 13 del Regolamento di Previdenza della cassa professionale di appartenenza, in detrazione sulle rate di pensione maturate e liquidate, con condanna della Cassa alla restituzione in favore dello stesso professionista delle ritenute operate a tale titolo, ed a dichiarare non più operabile detta detrazione per il futuro.
2.- La controparte si costituisce in giudizio con controricorso deducendo la conformità della impugnata sentenza all’orientamento di questa Corte su tutti gli argomenti trattati.
3.- A seguito di formulazione da parte del consigliere delegato di una sintetica proposta di definizione accelerata del giudizio argomentata sui principi espressi da precedenti pronunce di questa Corte inerenti alla durata decennale della prescrizione (unico profilo oggetto del ricorso), il ricorrente presenta istanza di decisione ai sensi del secondo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. al fine di una revisione critica del citato orientamento giurisprudenziale derivando la liquidità ed esigibilità dell’ importo del contributo di solidarietà dai cedolini di pensione allegati e non mutando la natura di credito a prestazioni previdenziali
avente ad oggetto una quota di pensione che sarebbe stata erogata se il suo importo non fosse stato decurtato per effetto del contributo di solidarietà.
CONSIDERATO CHE
1.L’ente ricorrente impugna la sentenza riguardo alla applicata decorrenza decennale della prescrizione del credito di restituzione -nulla osservando sulla dichiarata illegittimità del contributo di solidarietà in decurtazione del trattamento pensionisticoe, invocando la durata quinquennale della prescrizione, si affida a due motivi di ricorso: il primo, inerente alla violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 co.1 n. 3 cod. proc. civ., della disposizione di cui all’art. 47-bis del DPR 639/1970, art. 129 R.D.L. n.1827/1935, nonché degli artt. 2948 n.4, 2946, 2943 cod. civ. anche in relazione all’art. 16 del Regolamento di previdenza della Cassa, per la applicazione del termine breve di prescrizione di contro a quanto argomentato nella impugnata pronuncia che aveva richiamato la sentenza delle Sezioni Unite n.17742/2015 originata, tuttavia, da una fattispecie concreta cronologicamente antecedente alla disciplina di cui al citato art. 47bis, norma introdotta dall’art. 38 del D.L. 6/7/2011 conv. in L. n.111/2011, e di cui non aveva tenuto conto; riteneva quindi che la prescrizione fosse quinquennale a nulla rilevando che il credito fosse o meno ritenuto illiquido, e che, per la natura obbligatoria dei trattamenti pensionistici erogati sia da INPS che dalla Cassa appellante (oggi ricorrente in cassazione), la soggezione di entrambi i regimi pensionistici ai medesimi principi generali stabiliti dalla Legge 335/95 non consentisse l’applicazione di un diverso termine ordinario di prescrizione per i ratei e differenze di ratei ai pensionati della Cassa, e richiamava alcuni precedenti
giurisprudenziali di merito. Nel secondo motivo di ricorso si doleva della violazione delle medesime norme avendo ritenuto l’impugnata sentenza che il credito previdenziale non fosse liquido, esigibile, pagabile, ed invece era determinato sin ab origine come risultante dal cedolino di pensione, poiché non sono posti in discussione i criteri di calcolo della pensione pacificamente indicati nei prospetti annuali di trattamento pensionistico, e pertanto, trattandosi di una prestazione periodica determinata e liquida, si sarebbe dovuto applicare il termine quinquennale di cui all’art. 2948 n.4 c.c.
I due motivi, intimamente connessi sul tema della prescrizione, possono essere trattati congiuntamente: essi sono manifestamente infondati alla luce del consolidato orientamento di questa Corte pronunciatasi su tutte le questioni sollevate dal ricorrente, cui si intende dare piena continuità.
3.1 Questa Corte (Cass.31527/22), in un caso analogo al presente, dove si discuteva di somme trattenute sui ratei di pensione in base al contributo di solidarietà applicato da altra Cassa professionale di previdenza (dei Dottori Commercialisti), ha affermato che la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 n.4, cod. civ. così come dall’art.129 del R. D. L. n. 1827 del 1935- richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, ove sia in contestazione l’ammontare del trattamento pensionistico (con o senza applicazione del contributo di solidarietà), il diritto alla riliquidazione degli importi è soggetto alla ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod. civ. Si richiama anche la pronuncia Cass. n.41320/2021 sulla mancanza dei criteri di liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, laddove la differenza di importo
pensionistico decurtata e non riscossa, ne esclude il carattere di importo ‘pagabile’. Trattasi di un indirizzo consolidato (cfr. anche Cass.449/23, Cass.688/23) e condiviso dal collegio.
3.2- Né vale in contrario richiamare l’art.47 -bis d.P.R. n.639/70, secondo cui ‘ Si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’art.24 l. n.88/89, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni .’ Questa Corte ha affermato che tale norma riguarda l’ipotesi di riliquidazione della pensione, mentre il caso in esame concerne l’indebita trattenuta di una misura patrimoniale illegittima, che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata (Cass.4604/23). Invero, si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati -ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronuncia giudiziale dichiarativa del relativo dirittodei trattamenti pensionistici, non rientrando la fattispecie in esame nelle ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, « ma quale credito consequenziale all’indebita ritenuta derivante dall’applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di ritenute operate sui singoli ratei di pensione, ma che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata » (così in sent. n.31527/2022, per poi concludere che « La Cassa ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l’obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi. Il termine di prescrizione dell’azione di recupero delle somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale »).
3.3In sostanza, oggetto del credito non è un rateo pensionistico arretrato, ma una reintegrazione del rateo pensionistico indebitamente decurtato in virtù di una unilaterale compensazione operata dall’ente previdenziale con un illegittimo contributo imposto attraverso una fonte normativa secondaria. La riliquidazione del rateo di cui si discute non consiste in una rideterminazione del suo importo in ragione di una riformulazione di calcolo dei parametri applicativi, ad esempio in base ad erronee o mancanti entità, o percentuali, di quote contributive ovvero in ragione dell’anzianità maturata e dei versamenti compiuti in servizio, bensì in una ricostituzione del suo intero importo eliminando la decurtazione dovuta ad una posta contributiva non previamente determinata, non disponibile, non pagabile dal debitore. È stato osservato (Cass. 33380/21, 29523/22, 31527/22) che il pensionato è stato posto in condizione di riscuotere soltanto i ratei della pensione nella misura decurtata del contributo di solidarietà e non anche nel superiore importo spettante senza l’applicazione del medesimo, che è oggetto di controversia; la differenza tra l’importo liquidato e quello superiore richiesto non può ritenersi ‘pagabile’ e quindi non può applicarsi l’art. 2948 n.4 c.c. La questione in esame non rientra affatto nella disciplina di cui all’art. 47 -bis perché il contributo non è una parte del rateo arretrato del trattamento pensionistico né è una differenza a seguito di riliquidazione della pensione (
non vertendosi in un’azione di accertamento per la riliquidazione del rateo arretrato e di conseguente condanna al suo pagamento, non si pone neppure un problema di disparità di trattamento con i pensionati INPS ai quali si applichi la prescrizione breve ex art. 47-bis, stante il differente ambito applicativo di questa norma (e non si dubita della medesima natura obbligatoria dei trattamenti pensionistici erogati dall’ente nazionale e dalla Cassa professionale).
La soluzione cui si perviene è in linea con la proposta di definizione accelerata orientata verso la manifesta infondatezza
dei motivi di ricorso, in ragione della continuità con il consolidato orientamento giurisprudenziale, riassuntivamente concentrato anche in altra recente pronuncia (Cass. ord. n. 6170/2024), in cui si condensano tutti gli argomenti innanzi svolti e le soluzioni negative cui anche in questa sede si perviene.
Alla soccombenza fa seguito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese, competenze e onorari, liquidate in ragione del valore di causa, con distrazione al procuratore del controricorrente dichiaratosi antistatario.
Riguardo alle sanzioni previste dall’ultimo comma dell’art. 380 -bis cpc, stante l’esito giudiziale conforme alla proposta di definizione accelerata, nel senso ivi indicato, occorre verificare se sussistano i presupposti per l’applicazione del terzo e quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. Al riguardo, la norma sottende una valutazione legale tipica per la quale l’applicazione delle disposizioni da ultimo citate non è discrezionale ma discende dalla definizione del giudizio conforme alla proposta, ancorché sia necessario, a mente del citato terzo comma, che ricorra anche una situazione che consenta una pronuncia sulle spese, condizione sussistente nel caso in esame. L’esclusione dell’automatismo applicativo del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ. nei casi di definizione del giudizio in cassazione conformemente alla proposta di cui all’art. 380 -bis cod. proc. civ. sembra basarsi sull’esigenza di valorizzare la funzione deflattiva delle proposte di definizione alternativa, obiettivo che si muove sul solco attuativo del principio del giusto processo, al fine di conservare la funzione di strumento rimediale a tutela dei diritti e, al tempo stesso, disincentivare inutili lungaggini processuali, in presenza di consolidati orientamenti ed in mancanza di innovative argomentazioni. Ne discende che,
mentre la disposizione del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ. si attesta sul piano dell’aggravamento delle spese processuali quando su di esse vi sia stata una contestuale pronuncia di condanna, il successivo quarto comma assolve precipuamente alla funzione deterrente e sanzionatoria come richiesta dalla definizione del giudizio di cassazione conforme alla proposta di definizione accelerata di cui all’ultimo comma dell’art. 380 -bis cod. proc. civ. Si precisa che per l’applicazione del quarto comma del l’art. 96 c.p.c., si prescinde dalla necessità di una situazione che consenta una pronuncia sulle spese, nonostante anche quest’ultima innovativa previsione (introdotta dall’art. 3 comma 6 del D.Lgs. 10/10/2022 n.149) sia in premessa ancorata alla ricorrenza dei casi di cui al primo, secondo e terzo comma dello stesso art. 96 e, dunque, supponga che vi sia una pronuncia sulle spese; orbene, nel caso di decisione conforme alla proposta ex art. 380-bis, terzo comma c.p.c., appare comunque consentito prescinderne, dal momento che a quei presupposti si sostituisce quello previsto dallo stesso terzo comma dell’art. 380 -bis: vale a dire la definizione del giudizio in conformità alla proposta. Anche le Sezioni Unite (ord. n. 27165/2023) si sono occupate della questione, essendo stato dato ulteriore rilievo alla funzione deterrente e, al tempo stesso, sanzionatoria della proposta di definizione accelerata rispetto al compimento di atti processuali meramente defatigatori con applicazione del quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. nel caso di definizione del giudizio in conformità alla proposta; ove si verifichi tale evenienza, il terzo comma dell’art. 380 -bis prevede, infatti, senza mediazione di alcun’altra verifica, l’«applicazione» dell’art. 96, quarto comma, cod. proc. civ., utilizzando una locuzione che « chiaramente evoca direttamente l’azione performativa che detta norma
demanda al giudice, piuttosto che la fattispecie legale da essa presupposta », precisando, altresì, che « l’art. 380 -bis, terzo comma, recupera dunque, in parte qua, un ben distinguibile spazio prescrittivo autonomo, coerente con l’obiettivo della novella, solo ove per la condanna prevista dal richiamato quarto comma dell’art. 96 si prescinda dai casi ivi prev isti in presenza del diverso e autosufficiente presupposto, che a quelli si sostituisce, della decisione conforme alla proposta »; la ratio della disposizione in esame è dunque diretta a disincentivare la richiesta di definizione ordinaria a fronte di una proposta di definizione accelerata, con l’ulteriore osservazione che « quella prevista dal quarto comma dell’art. 96 cod. proc. civ. è sanzione disposta a favore della collettività e non già della parte vittoriosa, come è invece nel caso dell’art. 96, terzo comma ». Nuovamente le Sezioni Unite hanno affermato che in tema di procedimento per la decisione accelerata dei ricorsi inammissibili, improcedibili o manifestamente infondati, l’art. 380-bis, comma 3, c.p.c. nel richiamare, per i casi di definizione del giudizio in conformità alla proposta, il terzo e il quarto comma dell’art. 96 c.p.c., codifica, attraverso una valutazione legale tipica, un’ipotesi di abuso del processo, ma non prevede l’applicazione automatica delle sanzioni ivi previste, che resta affidata alla valutazione delle caratteristiche del caso concreto, in base ad un’interpretazione costituzionalmente compatibile del nuovo istituto (ord. n. 36069/2023).
Orbene, nell’ipotesi in esame non si rinvengono ragioni (stante la complessiva ‘tenuta’, del provvedimento della PDA rispetto alla motivazione necessaria per confermare l’inammissibilità del ricorso) per discostarsi dalla suddetta previsione legale. Alla presente pronuncia di inammissibilità del ricorso fa seguito, quindi, la condanna del ricorrente al pagamento delle ulteriori
spese del terzo comma dell’art. 96 cod. proc. civ., nonché d ella sanzione di cui al successivo quarto comma, da versare alla Cassa delle Ammende, liquidata come in dispositivo.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 -quater del DPR n.115 del 2002, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13 comma 1 -bis del citato D.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che si liquidano in Euro 4.000,00 oltre accessori di rito, con attribuzione al difensore antistatario.
Condanna altresì il ricorrente al pagamento della ulteriore somma di euro 2.000,00 in favore della controparte, ed al pagamento, in favore della cassa delle ammende, della somma di Euro 2.000,00.
Dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, a norma del comma 1bis dell’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, ove dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quarta Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 27 giugno 2024.
Il Presidente
NOME COGNOME