Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11590 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11590 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 02/05/2025
ORDINANZA
sul ricorso 12507-2022 proposto da:
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA A FAVORE DEI RAGIONIERI E PERITI COMMERCIALI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, INDIRIZZO NOME COGNOME INDIRIZZO presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
Oggetto
R.G.N.12507/2022
COGNOME
Rep.
Ud.29/01/2025
CC
avverso la sentenza n. 1294/2021 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 09/11/2021 R.G.N. 785/2021; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 29/01/2025 dal Consigliere Dott. COGNOME
RILEVATO CHE
Cassa nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore di Ragionieri e Periti Commerciali impugna, con ricorso affidato ad otto motivi, la sentenza della Corte d’Appello di Milano, in epigrafe indicata, che ha respinto il gravame avverso la decisione di prime cure che aveva dichiarato illegittima la trattenuta effettuata dall’Ente sul trattamento previdenziale goduto dall’attuale controricorrente, a titolo di contributo di solidarietà.
Resiste con controricorso COGNOME NOME;
CONSIDERATO CHE
la Cassa censura la sentenza sulla base di otto motivi;
con il primo si deduce nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., per omessa pronuncia sui primi due motivi di appello che denunciavano l’erroneità della sentenza per aver omesso il giudice di pronunciarsi sulla prescrizione quinquennale dei crediti vantati dal ragioniere;
il medesimo motivo è riproposto, con il secondo mezzo, per violazione di legge per avere la Corte omesso di pronunciarsi sui primi due motivi di gravame;
con il terzo si denuncia nullità della sentenza per motivazione apparente;
con il quarto si denuncia violazione dell’art. 47 bis d.P.R. n.639/1970 e violazione artt. 2948, n.4 e 2946 cod.civ. in relazione all’art. 16 regolamento della Cassa, riproponendo le cesure sottese ai mezzi che precedono, per avere la
Corte respinto l’eccezione di prescrizione senza nulla statuire sul punto;
il quinto mezzo investe, per violazione di legge, il rigetto del motivo di gravame inerente alla dedotta legittimità del contributo di solidarietà;
con il sesto mezzo si torna a devolvere la nullità della sentenza per illogica, incomprensibile, apparente motivazione;
il settimo motivo, del pari, devolve nullità della sentenza per violazione dell’art. 115 cod.proc.civ. per avere omesso di porre a base della sentenza un fatto non specificamente contestato, per avere la Cassa dedotto di essersi vista costretta ad applicare il contributo di solidarietà, negli anni 2012-2013, non essendo riusciti gli organi deliberanti ad adottare misure volte ad assicurare gli equilibri di bilancio;
infine, con l’ottavo omesso, si devolve omesso esame di un fatto decisivo, assumendo come tale quanto enunciato, nel mezzo dianzi esposto, e denunciato secondo altro paradigma;
i motivi, per la loro logica connessione, pur nei profili affidati ai diversi paradigmi dei vizi di legittimità, possono essere esaminati congiuntamente negli snodi essenziali delle doglianze;
per i profili di nullità della sentenza, per apparenza della motivazione, vale ricordare che possono essere sindacate in sede di legittimità quelle anomalie della motivazione che si tramutino in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinenti all’esistenza della motivazione in sé, sempre che il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali;
vengono in rilievo, a tale riguardo, la mancanza assoluta di motivazione sotto l’aspetto materiale e grafico, la motivazione apparente, il contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, la motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile. È irrilevante, per contro, il semplice difetto di sufficienza della motivazione (Cass., S.U., 7 aprile 2014, n. 8053);
q uanto all’apparenza della motivazione, presuppone che non sia percepibile il fondamento della decisione;
tale evenienza si verifica quando la pronuncia racchiuda argomentazioni obiettivamente inidonee a illustrare il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento. Invero, non si può demandare all’interprete il compito d’integrare la motivazione con le più varie, ipotetiche congetture. Solo in tale fattispecie, la sentenza è nulla, in quanto inficiata da error in procedendo (Cass., S.U., 3 novembre 2016, n. 22232);
nessuna delle ipotesi enucleate dalla giurisprudenza di questa Corte si ravvisa nel caso di specie;
i giudici d’appello hanno esposto in modo perspicuo le ragioni che sorreggono il dictum e il fondamento logico della decisione non è minato da contraddizioni insanabili e non risulta imperscrutabile nei suoi snodi essenziali;
Infine, decisiva conferma si può trarre dal fatto che il ricorrente abbia potuto indirizzare specifiche e pertinenti censure contro l’iter logico che ha condotto alla decisione impugnata, così dimostrando con evidenza paradigmatica di averne inteso i punti salienti;
venendo all’an del contributo di solidarietà, risulta acquisito il principio per cui gli enti previdenziali privatizzati (quale l’Associazione Cassa nazionale di previdenza e assistenza a
favore dei ragionieri e dei periti commerciali) non possono adottare – in funzione dell’obiettivo, di cui all’art. 3, comma 12, della L. n. 335 del 1995, di assicurare equilibrio di bilancio e stabilità delle rispettive gestioni – provvedimenti che, lungi dall’incidere sui criteri di determinazione del trattamento pensionistico, impongono un massimale allo stesso trattamento (quale, nella specie, la delibera 28 giugno 1997 del Comitato dei delegati della Cassa, approvata con decreto 31 luglio 1997 del Ministro del lavoro e della previdenza sociale) e, come tali, risultino incompatibili con il rispetto del principio del pro rata, in relazione alle anzianità già maturate rispetto all’introduzione delle modifiche derivanti dagli stessi provvedimenti (Cass. 07/01/2019, n. 136; tale orientamento prende le mosse dalla pronuncia Cass. Sez. Un. 8/09/2015, n. 17742 ed è stato di seguito sempre confermato, tra le altre, da Cass. 2285/2019; Cass 2286/2019; Cass. 1841/2019 e Cass. 1842/2019 e numerose successiva conformi);
passando, infine, al tema agitato della prescrizione, che la Cassa assume quinquennale, devolvendo, innanzi tutto, l’omessa pronuncia, vale riaffermare, con Cass.,Sez.Un., n.2731 del 2017, che la mancanza di motivazione su questione di diritto e non di fatto deve ritenersi irrilevante, ai fini della cassazione della sentenza, qualora il giudice del merito sia comunque pervenuto ad un’esatta soluzione del problema giuridico sottoposto al suo esame; in tal caso, la Corte di cassazione, in ragione della funzione nomofilattica ad essa affidata dall’ordinamento, nonché dei principi di economia processuale e di ragionevole durata del processo, di cui all’art. 111,
comma 2, Cost., ha il potere, in una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 384 c.p.c., di correggere la motivazione anche a fronte di un “error in procedendo”, quale la motivazione omessa, mediante l’enunciazione delle ragioni che giustificano in diritto la decisione assunta, anche quando si tratti dell’implicito rigetto della domanda perché erroneamente ritenuta assorbita, sempre che si tratti di questione che non richieda ulteriori accertamenti in fatto;
nella specie, l’anzidetto principio richiamato dalle Sezioni Unite della Corte, consente la disamina della questione di prescrizione, di agevole soluzione, per risolverla, alla stregua della giurisprudenza consolidata, diversamente da quanto auspicato dalla Cassa ricorrente, nel senso preteso dal ragioniere per non essere decorso, alla notifica dell’atto introduttivo del giudizio, il termine decennale di prescrizione;
come evidenziato fra tantissime, da Cass. 31527/2022, questa Corte di legittimità (Cass. n. 41320 del 2021) ha già avuto modo di confermare, in fattispecie analoga alla presente, l’orientamento indicato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con sentenza n. 17742 del 2015, secondo cui in materia di previdenza obbligatoria quale quella gestita dagli enti previdenziali privatizzati ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994 la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 2948 n. 4 cod. civ. – così come dal R.D.L. n. 1827 del 1935, art. 129 – richiede la liquidità ed esigibilità del credito, che deve essere posto a disposizione dell’assicurato, sicché, ove vi sia in contestazione l’ammontare del trattamento pensionistico, il diritto alla riliquidazione degli importi è
soggetto all’ordinaria prescrizione decennale di cui all’art. 2946 cod. civ.;
in tali occasioni si è precisato che il rapporto assicurativo che lega la Cassa ai propri iscritti ha natura obbligatoria, dato che la CNRP è a tutti gli effetti una persona giuridica privata che gestisce una forma di previdenza e assistenza, cui è obbligatoria l’iscrizione e la contribuzione da parte degli appartenenti delle categorie interessate; inoltre, l’applicazione dell’art. 2948 n. 4, allo stesso modo che il r.d.l. 4 ottobre 1935, n. 1827, art. 129, richiede la liquidità e l’esigibilità del credito, che deve essere pagabile, ovvero messo a disposizione del creditore, il quale deve essere posto nella condizione di poterlo riscuotere;
25.
non basta, quindi, ai fini, sia dell’art. 129 che dell’art. 2948, la mera idoneità del credito ad essere determinato nel suo ammontare, tanto che entrambe le norme non trovano applicazione nelle ipotesi di ratei di pensione la cui debenza sia in contestazione (v. Cass. n. 16388 del 2004 e nr. 1787 del 1997, in motivazione, nonché sez. un. n. 10955 del 2002);
se, dunque, il pensionato è stato in condizione di riscuotere solo i ratei della pensione nella misura decurtata del contributo di solidarietà, e non anche nel superiore importo spettante senza l’applicazione del medesimo, che è oggetto della controversia ora in esame, la differenza tra l’importo liquidato e quello superiore richiesto non può ritenersi pagabile e, quindi, non può applicarsi la prescrizione quinquennale dell’art. 2948 cod. civ., ma quella decennale ordinaria dell’art. 2946 cod. civ.;
tale orientamento va confermato, potendo aggiungersi che non induce a diversa soluzione l’art. 47 bis d.P.R. nr. 639
del 1970, secondo cui si prescrivono in cinque anni i ratei arretrati, ancorché non liquidati e dovuti a seguito di pronunzia giudiziale dichiarativa del relativo diritto, dei trattamenti pensionistici, nonché delle prestazioni della gestione di cui all’articolo 24 della legge 9 marzo 1989, n. 88, o delle relative differenze dovute a seguito di riliquidazioni, nel testo introdotto dal numero 2) della lettera d) del comma 1 dell’art. 38, D.L. 6 luglio 2011, n. 98;
risulta decisiva la considerazione che la fattispecie in esame non è classificabile quale ipotesi di riliquidazione di trattamenti pensionistici, ma quale credito consequenziale all’indebita ritenuta derivante dalla applicazione di una misura patrimoniale illegittima, frutto di trattenute operate sui singoli ratei di pensione, ma che non condivide con il rateo pensionistico la disciplina del sistema di calcolo della pensione in sé considerata;
la Cassa ha esercitato unilateralmente un potere di prelievo che si è sovrapposto al diritto del pensionato, ma non si è confuso con l’obbligazione pensionistica a cui pretendeva di applicarsi e il termine di prescrizione dell’azione di recupero delle somme indebitamente trattenute non può che essere quello ordinario decennale;
in conclusione, il ricorso è rigettato;
segue coerente la condanna alle spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfetario del 15 per cento. Ai
sensi dell’art.13,co.1 -quater, d.P.R.n.115/2002, sussistono i presupposti processuali per il versamento, a carico della parte ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello per il ricorso ex art.13,co. 1, se dovuto.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 29