Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21136 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21136 Anno 2025
Presidente: RAGIONE_SOCIALE
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 24/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 16902/2023 proposto da:
NOME COGNOME rappresentata e difesa da ll’ Avv. NOME COGNOME e domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di cassazione;
-ricorrente –
contro
Comune di Bologna, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dagli Avv.ti NOME COGNOME e NOME COGNOME e domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di cassazione ;
-controricorrente-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Bologna n. 53/2023, pubblicata il 2 febbraio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 giugno 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La Corte d ‘ Appello di Bologna ha respinto l ‘ appello di NOME COGNOME avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda, proposta nei confronti del Comune di Bologna, di risarcimento del danno per
abusiva reiterazione dei contratti a termine intercorsi fra le parti a decorrere dal 1998.
La Corte territoriale ha premesso, in fatto, che l ‘ appellante, assunta in qualità di educatrice di asili nido, aveva partecipato con esito negativo ad una prima procedura di stabilizzazione bandita nell ‘ anno 2007 e, successivamente, sempre con esito negativo, ad una seconda procedura avviata nell’anno 2014.
Ha evidenziato che alla COGNOME era stata offerta una concreta chance di accesso privilegiato all ‘ impiego pubblico e, pertanto, richiamati per relationem precedenti della stessa corte territoriale, ha ritenuto assorbente, per escludere la fondatezza della domanda di risarcimento del danno, la possibilità di occupazione stabile e l ‘ avvenuto avvio delle procedure di stabilizzazione.
Per la cassazione della sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso sulla base di due motivi ai quali ha opposto difese con controricorso il Comune di Bologna.
La Suprema Corte di Cassazione, con ordinanza n. 14245 del 2022 della
Sezione Sesta-L, ha accolto il ricorso.
La ricorrente, con il primo motivo del ricorso, aveva denunciato, ex art. 360, n. 4, c.p.c., la violazione degli artt. 132, 156, 161 c.p.c. e dell ‘ art. 118 disp. att. c.p.c., perché la corte territoriale si sarebbe limitata a rinviare a precedenti pronunce della stessa corte, senza riportarne il contenuto, impedendo, in tal modo, di verificare la pertinenza del richiamo ed anche di comprendere le ragioni della decisione.
La seconda censura, formulata ai sensi dell ‘ art. 360, n. 3, c.p.c., aveva contestato la violazione dell ‘ art. 36 d.lgs. 165 del 2001 e del d.lgs. n. 368 del 2001.
Richiamata giurisprudenza di questa Suprema Corte, la ricorrente aveva rilevato, in sintesi, che doveva essere riconosciuto e liquidato il danno comunitario, nei termini precisati da Cass., SU, n. 5072 del 2016, perché le procedure alle quali aveva partecipato non assicuravano la certezza della stabilizzazione in tempi certi e, quindi, non potevano essere ritenute una misura energica e dissuasiva, idonea a sanzionare l ‘ abuso commesso nella reiterazione dei contratti a termine.
La Suprema Corte ha ritenuto fondato il secondo motivo di ricorso perché la corte territoriale si era posta in contrasto con il principio di diritto, enunciato da Cass., n. 14815 del 2021 e ribadito da Cass., nn. 15240 e 35369 del 2021, secondo cui «nel lavoro pubblico privatizzato, nelle ipotesi di abusiva successione di contratti a termine, la avvenuta immissione in ruolo del lavoratore già impiegato a tempo determinato ha efficacia riparatoria dell ‘ illecito nelle sole ipotesi di stretta correlazione tra l ‘ abuso commesso dalla amministrazione e la stabilizzazione ottenuta dal dipendente. Detta stretta correlazione presuppone, sotto il profilo soggettivo, che la stabilizzazione avvenga nei ruoli dell ‘ ente pubblico che ha posto in essere la condotta abusiva e, sotto il profilo oggettivo, che essa sia l ‘ effetto diretto ed immediato dell ‘ abuso. Tale ultima condizione non ricorre quando l ‘ assunzione a tempo indeterminato avvenga all ‘ esito di una procedura concorsuale, ancorché interamente riservata ai dipendenti già assunti a termine».
Le richiamate pronunce avevano cassato sentenze della stessa Corte di Appello di Bologna, pronunciate in fattispecie analoghe e precisato, richiamando i punti 91 e 92 di Cass. n. 22552 del 2016 sul precariato scolastico, che «la astratta chance di stabilizzazione – che può ravvisarsi nei casi in cui il conseguimento del posto di ruolo non è certo ovvero non è conseguibile in tempi ravvicinati- non costituisce, nel diritto interno, misura proporzionata, effettiva, sufficientemente energica ed idonea a sanzionare debitamente l ‘ abuso ed a cancellare le conseguenze della violazione del diritto dell ‘ Unione, in quanto connotata da evidente aleatorietà».
Al detto orientamento la SRAGIONE_SOCIALE ha dato continuità perché le argomentazioni sviluppate dal Comune di Bologna nella memoria ex art. 380 bis c.p.c. non tenevano conto della diversità di disciplina rispetto alla scuola statale (cfr. Cass., n. 35369 del 2021) né consideravano l ‘ interpretazione della direttiva 99/70/CE fornita dalla Corte di Giustizia secondo cui l ‘ immissione nei ruoli dell ‘ amministrazione, se aleatoria, non poteva essere ritenuta sanzione con carattere sufficientemente effettivo e dissuasivo (Corte UE 26.11.2014, COGNOME, punti 116 e 117; Corte UE 8.5.2019, Rossato, secondo le quali la misura può
essere ritenuta proporzionata ed idonea a sanzionare l ‘ abuso solo qualora la stessa non sia né incerta, né imprevedibile né aleatoria).
Non erano, poi, attinenti al decisum le osservazioni svolte in merito alla legittimità dei contratti a termine intercorsi fra le parti, perché, sul carattere abusivo o meno della reiterazione, la Corte territoriale non si era pronunciata, ritenendo sufficienti per respingere la domanda gli argomenti riportati nello storico di lite, qui censurati dalla ricorrente.
La Suprema Corte ha, infine, rilevato che, nel giudizio di legittimità, non potevano trovare ingresso e, perciò, non erano esaminabili, le questioni sulle quali, per qualunque ragione, il giudice inferiore non si sia pronunciato, con la conseguenza che, in dipendenza della cassazione della sentenza impugnata per l’accoglimento del motivo attinente alla questione assorbente, l ‘ esame delle ulteriori questioni era rimesso al giudice di rinvio.
La RAGIONE_SOCIALE ha, pertanto, accolto il secondo motivo di ricorso, con assorbimento della prima censura, e ha cassato la sentenza impugnata con rinvio.
La Corte d’appello di Bologna, in sede di riassunzione, nel contraddittorio delle parti, ha deciso la controversia con sentenza n. 53/2023, accogliendo la domanda della ricorrente.
NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
Il Comune di Bologna si è difeso con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2934, 2935, 2946 e 32 della legge n. 183 del 2010, in relazione alla clausola 5 di cui all’allegato alla direttiva comunitaria 70/1999, perché la corte territoriale avrebbe considerato prescritti parte dei contratti a termine e non avrebbe liquidato il danno comunitario tenendo conto del loro numero complessivo.
La censura è fondata.
Infatti, questa Suprema Corte ha chiarito (Cass., Sez. L, n. 34741 del 12 dicembre 2023) che, nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, il termine decennale di prescrizione del diritto al
risarcimento del danno c.d. comunitario spettante al lavoratore decorre dall’ultimo di tali contratti, in considerazione della natura unitaria del predetto diritto, sicché il numero dei contratti in questione rileva solo ai fini della liquidazione del danno, potendo anche quelli stipulati oltre dieci anni prima della richiesta di risarcimento avere incidenza sulla quantificazione del pregiudizio patito dal dipendente.
Nella specie, invece, la Corte d’appello di Bologna ha espressamente non tenuto conto, ‘ai fini della liquidazione del danno’, del numero dei contratti stipulati oltre dieci anni prima dell’introduzione del giudizio (dal 19 gennaio 1998 al 30 giugno 2006), così ponendosi in contrasto con il principio sopra esposto.
Con la seconda censura la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e dell’art. 2233 c.c. in relazione al D.M. 55 del 2014 e al D.M. n. 37 del 2018 per avere la corte territoriale liquidato le spese legali in misura inferiore ai minimi tariffari per il giudizio di primo grado, per quello di appello e per quello di rinvio.
Il motivo non deve essere esaminato, alla luce dell’accoglimento della prima contestazione.
Il ricorso è accolto quanto al primo motivo, assorbito il secondo.
La sentenza impugnata è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità, in applicazione del seguente principio di diritto (cfr., Cass. 34741 del 2023):
‘Nell’ipotesi di illegittima reiterazione di contratti di lavoro a tempo determinato, il termine decennale di prescrizione del diritto al risarcimento del danno c.d. comunitario spettante al lavoratore decorre dall’ultimo di tali contratti, in considerazione della natura unitaria del predetto diritto, sicché il numero dei contratti in questione rileva solo ai fini della liquidazione del danno, potendo anche quelli stipulati oltre dieci anni prima della richiesta di risarcimento avere incidenza sulla quantificazione del pregiudizio patito dal dipendente’.
P.Q.M.
La Corte,
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo;
-cassa la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro, il 20