Sentenza di Cassazione Civile Sez. 3 Num. 8826 Anno 2024
Civile Sent. Sez. 3 Num. 8826 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 03/04/2024
ORDINANZA
Oggetto
RESPONSABILITÀ CIVILE GENERALE
Illecito ambientale – Proprietario del sito inquinato non responsabile dell ‘ inquinamento Danno da sopportazione delle spese di bonifica Credito risarcitorio
Prescrizione Decorrenza
R.G.N. 11149/2020
COGNOME.
Rep.
Ud. 16/11/2023
sul ricorso 11149-2020 proposto da:
Udienza Pubblica
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell ‘ amministratore delegato e legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ , domiciliata presso l ‘ indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE, in persona dell ‘ amministratore unico e legale rappresentante ‘ pro tempore ‘ , domiciliata presso l ‘ indirizzo di posta elettronica del proprio difensore, rappresentata
e difesa dagli Avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME;
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 3658/19 della Corte d ‘ appello di Milano, depositata il 06/09/19;
udita la relazione della causa svolta nell ‘ udienza pubblica del 16/11/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME;
udito l ‘ AVV_NOTAIO;
udito l ‘ AVV_NOTAIO;
udito l ‘ AVV_NOTAIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO Procuratore Generale NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La società RAGIONE_SOCIALE ricorre, sulla base di tredici motivi, per la cassazione della sentenza n. 3658/19, del 6 settembre 2019, della Corte d ‘ appello di Milano, che -nel respingerne il gravame avverso la sentenza n. 1608/17, del 21 ottobre 2017, resa dal Tribunale di Milano -ha così provveduto.
Essa ha confermato la condanna di RAGIONE_SOCIALE a risarcire -nella misura di € 557.085,10, oltre accessori il danno cagionato alla società RAGIONE_SOCIALE, ‘ sub specie ‘ di costi, da questa sopportati, per interventi di bonifica e messa in sicurezza dell ‘ immobile di sua proprietà, già porzione a sud del fiume Olona di un più vasto complesso denominato ‘RAGIONE_SOCIALE‘, versando tale immobile in uno stato di contaminazione da solventi clorurati riscontrato in falda, del quale RAGIONE_SOCIALE è stata ritenuta responsabile.
Riferisce, in punto di fatto, l ‘ odierna ricorrente che la società RAGIONE_SOCIALE (alla quale essa è, poi, subentrata) era, in
origine, proprietaria di tutta la vastissima area -di estensione di circa 130.000 mq. -denominata, appunto, ‘RAGIONE_SOCIALE‘. Sulla stessa svolgeva attività industriale, le cui acque reflue ‘venivano convogliate in una vasca (serbatoio) posta nei pressi del fiume Olona e, quindi, smaltite con scarico nel fiume stesso’, senza, dunque, alcuno ‘sversamento sul suolo’.
Cessata da RAGIONE_SOCIALE, nel 1979, tale attività, gli opifici e gli impianti, ormai in disuso, vennero trasferiti ad operatori economici interessati a reimmettere quei beni nel mercato immobiliare. In particolare, la porzione a nord del fiume Olona risultò acquistata, nel 1987, dalla società RAGIONE_SOCIALE, mentre quella a sud, nello stesso anno, fu acquistata dalla società RAGIONE_SOCIALE, che ebbe poi a trasferirla, nel 1993, a RAGIONE_SOCIALE.
‘ Medio tempore ‘, ed esattamente nel 1991, si era, tuttavia, manifestato un fenomeno d ‘ inquinamento delle acque di falda, con focolaio nella parte nord dell ‘area ‘ex RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE”. Per ovviarvi, RAGIONE_SOCIALE, proprietaria di tale porzione, realizzava l ‘ anno successivo -in ottemperanza all ‘ intervento ambientale di messa in sicurezza permanente del sito, impostole dal RAGIONE_SOCIALE di Rho in conformità alle prescrizioni dell ‘ USSL 68 -un ‘dispositivo di incapsulamento’ della suddetta vasca di raccolta delle acque reflue, per segregarla dalle matrici ambientali.
Nel 1999, circa sette anni dopo la sua costruzione, il ‘dispositivo d’incapsulamento’ a seguito di nuove indagini ambientali, effettuate in ragione di un secondo fenomeno di inquinamento -‘da efficace ed idoneo che era stato nel segregare le perdite della vasca (tanto da consentire l ‘ attuazione della lottizzazione e l ‘ edificazione dei nuovi capannoni industriali per circa 80 aziende artigianali)’, si palesò, invece, ‘inefficace ed inidoneo a trattenerle’. Tanto che le perdite così determinatesi, prosegue la ricorrente, ‘erano venute a contatto con le acque di falda e ne avevano causato la contaminazione’.
Sebbene l ‘ origine di tale rinnovato fenomeno infiltrativo -si osserva sempre nel ricorso -fosse chiara, oltre che accertata dalle competenti autorità amministrative (in particolare, con la relazione del 6 novembre 1999 della Provincia di Milano), il RAGIONE_SOCIALE di Rho, in data 11 luglio 2000, emetteva ordinanza nei confronti di RAGIONE_SOCIALE, affinché procedesse alla bonifica. Ciò, a dire dell ‘ odierna ricorrente, inaspettatamente, giacché gli interventi di risanamento si sarebbero dovuti porre a carico di I.P.R., o dei suoi aventi causa, a norma degli artt. 2051 e 2053 cod. civ., vale a dire in quanto ‘proprietari’ e/o ‘custodi’ della vasca e del relativo ‘dispositivo di incapsulamento’.
Impugnata tale ordinanza innanzi al giudice amministrativo, il TAR per la Lombardia, con sentenza n. 1808 del 2011, lo accoglieva per il profilo rilevante ai fini che qui interessano (a dire dell ‘ odierna ricorrente), ovvero per quanto attiene alla distinzione tra ‘rapporto di causalità’ e ‘rapporto di imputabilità’ dell ‘ inquinamento delle falde acquifere. Difatti, tale pronuncia osservava, per un verso, che l ‘ inquinamento dovesse essere ‘attendibilmente ricondotto alla mancata tenuta della vasca’, rivelatasi non idonea ad evitare la contaminazione, pur dopo l ‘intervento effettuato ‘per contenere le sostanze nocive prodotte negli anni in cui sull ‘ area la ricorrente ha svolto attività industriali nel settore della RAGIONE_SOCIALE‘, individuando, così, la causa del rinnovato fenomeno infiltrativo nella sopravvenuta inefficacia del ‘dispositivo di incapsulamento’. Per altro verso, tuttavia, il giudice amministrativo di primo grado -sempre nella ricostruzione della sua decisione fattane dall ‘ odierna ricorrente -riteneva ‘che il focolaio d’ inquinamento fosse imputabile a RAGIONE_SOCIALE per negligenza e/o imperizia’, con ciò incorrendo, però, in errore, per aver fatto risalire al 1982 (e non al 1992, come sarebbe, invece, pacifico), e dunque ad epoca anteriore alla
dismissione del sito da parte di RAGIONE_SOCIALE, la realizzazione del suddetto ‘dispositivo di incapsulamento’.
Per parte propria, il Consiglio di Stato, con sentenza n. 3165 del 2014, nel confermare ‘la sentenza del TAR Lombardia, confermò pure’ secondo la ricorrente -‘il «rapporto di causalità» tra «dinamismo della vasca-serbatoio» ed inquinamento’.
2.1. Su tali basi, dunque, RAGIONE_SOCIALE deduce di aver contestato la pretesa risarcitoria avanzata nei suoi confronti da RAGIONE_SOCIALE, allorché essa ebbe a citarla in giudizio per chiedere, a norma dell ‘ art. 2043 cod. civ., il ristoro del danno consistito nella sopportazione dei costi sostenuti per l ‘ esecuzione degli interventi di bonifica e messa in sicurezza dell ‘ immobile di sua proprietà, impostigli dall ‘ autorità amministrativa e/o da questa direttamente effettuati.
La responsabilità di tale danno, in realtà, andava ascritta -si assume -ai proprietari e/o custodi della vasca (e del suo ‘dispositivo di incapsulamento’), soggetti dei quali essa RAGIONE_SOCIALE aveva, invano, richiesto la chiamata in causa, perché rispondessero a norma degli artt. 2051 e 2053 cod. civ.
Il giudice di prime cure, per contro, accoglieva la domanda risarcitoria di RAGIONE_SOCIALE, recependone -a dire dell ‘ odierna ricorrente -‘l’ inveritiera prospettazione della condotta commissiva di sversamento di acque reflue da parte di RAGIONE_SOCIALE in un imprecisato periodo anteriore alla cessazione dell ‘ attività industriale del settembre 1979 ed in un imprecisato luogo della vastissima area «ex RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE»’.
2.2. Esperito gravame dalla convenuta, il giudice d ‘ appello lo rigettava, sebbene esso -assume RAGIONE_SOCIALE -avesse ‘ costruito la propria decisione secondo altra e diversa impostazione di fatto e
diritto’. Invero, ‘in fatto’, la sentenza della Corte milanese si sarebbe ‘limitata a dare atto della mera «presenza di sostanze inquinanti al suolo, nel sottosuolo, nei gas interstiziali del terreno e nelle falde, riconducibili all ‘ attività industriale esercitata lungamente in loco »’, avendo così ‘abbandonato la tesi fattuale della «condotta di sversamento» da parte di RAGIONE_SOCIALE, posta dal Tribunale (pur erroneamente) a base della propria sentenza’. ‘In diritto’, invece, il giudice di appello a vrebbe statuito -sempre secondo la ricorrente -che ‘la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE (e quindi di RAGIONE_SOCIALE) ‘ risultava già ‘ definitivamente accertata in sede ammnistrativa’, e ciò ai sensi dell’ art. 17 del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e inoltre ‘che le sentenze dei Giudici ammnistrativi costituirebbero giudicato (per i profili che potrebbero rilevare nel presente giudizio)’.
Avverso la sentenza della Corte ambrosiana ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE, sulla base -come detto -di tredici motivi.
3.1. Il primo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -nullità della sentenza per contraddittorietà della motivazione, con riguardo al tema dei fatti di causa e della loro ricostruzione in sede di appello ai sensi dell ‘ art. 342 cod. proc. civ.
In particolare, si assume che ‘la Corte territoriale’ nell ‘ esaminare quella che ha definito come ‘seconda parte dell ‘appello’ devoluto al suo giudizio sarebbe ‘caduta in un errore di costruzione della propria decisione’, errore pertanto censurabile ‘ai sensi dell’ art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ.’. Essa, infatti, ‘non ha preso a cognizione i «fatti storici di causa»’, ricostruiti da essa RAGIONE_SOCIALE ex art. 342 cod. proc. civ., bensì ‘ha posto a fondamento dell’ appello un elemento ulteriore
rispetto a tali fatti storici: un elemento, dunque, che a ragione va catalogato come alieno’. La cognizione della Corte milanese, si assume, avrebbe avuto ad oggetto esclusivo quello che, nell ‘ ambito delle difese processuali di RAGIONE_SOCIALE, la stessa Corte territoriale ha indicato come il ‘ complotto ordito ‘ ai danni di tale società.
Tuttavia, si osserva che -‘complotto’ o ‘non complotto’ che fosse -‘i «fatti» allegati e dimostrati da RAGIONE_SOCIALE rimanevano e rimangono intangibili ed inalterati nella loro storicità’ (tanto da essere condivisi da RAGIONE_SOCIALE e, dunque, incontroversi).
In conclusione, la Corte territoriale sarebbe incorsa in ‘un errore logico’, in particolare, in ‘una fallacia di rilevanza’, del tipo di quelle ‘chiamate non sequitur ‘; ciò che accade qualora ‘vengono usate a sostegno di una tesi premesse che non sono pertinenti (anche se possono risultare efficaci dal punto di vista retorico o emotivo)’, usando, dunque, ‘premesse che sono irrilevanti ai fini della conclusione’.
3.2. Il secondo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 2909 cod. civ., con riguardo al tema dell ‘ interpretazione delle sentenze del TAR Lombardia e del Consiglio di Stato, quanto ai loro ‘ dicta ‘ sul rapporto di causalità che ha determinato il fenomeno d ‘ inquinamento del 1999.
Sul presupposto che l ‘ interpretazione del giudicato, secondo la giurisprudenza di questa Corte, deve avvenire secondo i canoni dell ‘ ermeneutica legislativa, la ricorrente sostiene che la Corte milanese ‘ha violato le regole di «esegesi delle norme» dell’ art. 12 Preleggi’, oltre che ‘le regole dell’art. 2909 cod. civ.’.
Assume, infatti, la ricorrente che una ‘nuova interpretazione osservante l ‘esegesi delle norme’ dovrà condurre a ritenere ‘che i Giudici ammnistrativi hanno identificato il «rapporto di
causalità» non in capo al soggetto RAGIONE_SOCIALE (come vorrebbe la lettura fatta dalla Corte territoriale), ma in capo all ‘ oggetto «vasca (serbatoio)» e relativo «dispositivo d ‘ incapsulamento» di tale vasca (serbatoio)’.
3.3. Il terzo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 e dei principi giurisprudenziali in materia di ‘responsabile dell’inquinamento’, con riguardo al tema della qualifica, in ambito amministrativo, di ‘responsabile dell ‘inquinamento’ in ragione del ‘rapporto di imputabilità’ (e non in ragione del ‘rapporto di causalità’) e della trasposizione ed utilizzo di tale qualifica nell ‘ ambito del giudizio civile.
La ricorrente muove dall ‘ assunto secondo cui, nella giurisprudenza di questa Corte, ‘l’eventuale identificazione’, relativa al ‘responsabile dell’inquinamento’, la quale ‘sia intervenuta per opera dell ‘ amministrazione rileva sul piano esclusivamente probatorio, da valutare insieme alle altre prove, non essendo previsto che l ‘ identificazione amministrativa del responsabile faccia stato nel processo giurisdizionale’ (viene richiamata Cass. Sez. 3, ord. 22 gennaio 2019, n. 1573). Tale indirizzo, dunque, ‘degra da il valore giuridico dell ‘ identificazione fatta in sede ammnistrativa o, eventualmente, in sede del conseguente contenzioso ammi nistrativo’ : e ciò perché il giudizio impugnatorio svolto dal giudice amministrativo ‘ha ad oggetto la legittimità dell ‘ atto, non il merito, che pertiene esclusivamente alla discrezionalità della pubblica amministrazione’. D’ altra parte, il citato arresto precisa, altresì, che ‘la qualifica di «responsabile» attiene non al giudizio di valore della condotta sotto il profilo soggettivo del requisito psicologico (dolo o colpa), ma al giudizio eziologico relativo al profilo oggettivo dell ‘ avere meramente dato causa all ‘inquinamento’.
In tale prospettiva, dunque, la sentenza impugnata avrebbe dovuto, ancora una volta, dare rilievo al solo profilo della ‘eziologia’ dell’ inquinamento, ricostruita dal giudice amministrativo come derivante unicamente dal ‘dinamismo della cosa’ ed in particolare dall ‘inidoneità del ‘dispositivo di incapsulamento’ che avrebbe dovuto prevenire lo sversamento delle acque.
3.4. Il quarto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 17 d.lgs. n. 22 del 1997 circa la ‘identificazione del responsabile dell ‘inquinamento’, con riguardo al tema di ciò che costituisce effettivamente giudicato ammnistrativo e dei suoi contenuti, e ciò perché non è ‘previsto che l’ identificazione amministrativa del responsabile’ dell’inquinamento ‘faccia stato nel processo giurisdizionale’ (viene richiamata, nuovamente, Cass. Sez. 3, sent. n. 1573 del 2019, cit .).
Precisa la ricorrente che il motivo in esame concerne la questione ‘se ed in che misura possa costituire giudicato per il presente giudizio civile l ‘ affermazione dei Giudici ammnistrativi secondo cui RAGIONE_SOCIALE sarebbe il «responsabile dell ‘ inquinamento» ‘; questione che ‘è fondamentale proprio perché la Corte territoriale ha operato la mera trasposizione di tale affermazione nel giudizio civile ‘ , ovvero ‘ l ‘ ha assunta a ratio decidendi (senza curarsi d ‘ altro) ed ha affermato che costituisce «giudicato»’.
La ricorrente, per contro, esclude che ‘l’ affermazione secondo cui RAGIONE_SOCIALE sarebbe il «responsabile dell ‘inquinamento»’ costituisca ‘giudicato ammnistrativo’.
E ciò, sia perché la qualifica di ‘responsabile»’ attiene al solo ‘giudizio eziologico relativo al profilo oggettivo dell’ avere meramente dato causa all ‘inquinamento’ (vale a dire al ‘rapporto
di causalità’, peraltro ricostruito in sede di giudizio amministrativo come da ascrivere unicamente alla ‘vasca/serbatoio’ e al suo ‘dispositivo di incapsulamento’), ma anche in ragione del fatto che ‘l’ identificazione del responsabile dell ‘ inquinamento, una volta instaurata la controversia, ricade nel giudizio di fatto del giudice che procede’, sicché ‘l’ eventuale identificazione che sia intervenuta per opera dell ‘ amministrazione rileva sul piano esclusivamente probatorio, da valutare insieme alle altre prove, non essendo previsto che l ‘ identificazione amministrativa del responsabile faccia stato nel processo giurisdizionale’ (è citata nuovamente Cass. Sez. 3, sent. n. 1573 del 2019, cit .).
3.5. Il quinto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 4), cod. proc. civ. -nullità della sentenza e del procedimento per violazione dell ‘ art. 102 cod. proc. civ., con riguardo al tema della deduzione da parte della convenuta RAGIONE_SOCIALE della esclusiva responsabilità dei terzi ‘proprietari’ e/o ‘custodi’ della vasca de qua e del relativo ‘ dispositivo di incapsulamento’ , ai sensi degli artt. 2051 e 2053 cod. civ., e dell ‘ effetto processuale che ha determinato tale difesa, rendendo necessaria l ‘ integrazione del contradditorio e, in sede di appello, la rimessione della causa al primo giudice per detta integrazione, ai sensi dell ‘ art. 354 cod. proc. civ.
3.6. Il sesto motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 2051, 2053 e 2909 cod. civ., con riguardo al tema dell ‘ erroneo assunto della sussistenza del giudicato ammnistrativo circa la ‘responsabilità di RAGIONE_SOCIALE‘ ed al tema della corretta sussunzione dei fatti di causa negli schemi di ascrizione di responsabilità previsti dagli artt. 2051 e 2053 cod. civ.
Si insiste nel sottolineare che, essendo stato accertato in sede di giudizio amministrativo ‘il percolamento derivante dalla (…) vasca’, e dunque la riconduzione dell’ inquinamento -sul piano dell ‘ eziologia -alla ‘ res ‘ (la ‘vasca/serbatoio’ , con annesso ‘dispositivo d’incapsulamento’), la fattispecie avrebbe dovuto essere sussunta in quella di cui all ‘ art. 2051 cod. civ. o all ‘ art. 2053 cod. civ., con conseguente affermazione di responsabilità a carico dei soggetti dei quali era stata chiesta, invano, la chiamata in causa.
3.7. Il settimo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 1490 e 2043 cod. civ., in quanto, rispetto all ‘ inquinamento derivante dalla ‘parte sud’ dell’area ‘ex RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘, l’ ordinamento attribuiva ad RAGIONE_SOCIALE ‘l’ azione contrattuale radicata nell ‘ art. 1490 cod. civ. e non l ‘ azione extracontrattuale radicata nell ‘art. 2043 cod. civ.’.
Richiama, sul punto, la ricorrente quanto affermato da questa Corte, ovvero che ‘ il danno derivante al bene immobile acquistato dal fatto di essere così gravemente inquinato è un danno di matrice contrattuale, perché dal contratto deriva’, sicché ‘lo strumento dell ‘ azione prevista dall ‘ art. 1490 cod. civ., è, in questo caso’, già ‘sufficiente a coprire tutto l’ ambito del danno ‘ , allorché non siano state prospettate ‘ lesioni a diritti assoluti estranei ed ulteriori rispetto a quelli già tutelati dal contratt o’ (è citata Cass. Sez. 3, sent. 6 luglio 2017, n. 16654).
3.8. L ‘ ottavo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 1203, n. 3, cod. civ., nonché dell ‘ art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, in quanto RAGIONE_SOCIALE sarebbe stata individuata come soggetto ‘ responsabile dell ‘inquinamento’ sulla base delle sentenze
ammnistrative erroneamente ritenute idonee a formare giudicato, nel senso prospettato dalla Corte territoriale; inoltre, pur ipotizzando un credito del RAGIONE_SOCIALE di Rho verso RAGIONE_SOCIALE, il pagamento effettuato da RAGIONE_SOCIALE avrebbe dovuto configurare la fattispecie di cui all ‘ art. 1203, comma 1, n. 3), cod. civ.
Oltre a ribadire, una volta di più, che ‘RAGIONE_SOCIALE non si configura, nell ‘ ambito di questo giudizio civile, come «responsabile dell ‘ inquinamento» in ragione delle sentenze dei Giudici ammnistrativi’, la ricorrente denuncia che la sentenza impugnata ‘incorre nell’ errore che riguarda la disciplina applicabile’. Difatti, ‘per quanto riguarda l’ an dell ‘ illecito ambientale, deve farsi riferimento alla normativa vigente al momento in cui i fatti si sono verificati’, mentre ‘per quanto riguarda il quantum dell ‘ il lecito ambientale’, deve ‘farsi riferimento alla normativa vigente’, ovvero quella del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (viene richiamata Cass. Sez. 3, sent. 4 aprile 2017, n. 8662)
Infine, la violazione dell ‘ art. 1203, comma 1, n. 3), cod. civ. viene dedotta pure in relazione al fatto che, secondo la sentenza impugnata, vi sarebbe stata anche ‘l’ anticipazione dei costi da parte del RAGIONE_SOCIALE‘, mentre ‘tale elemento è mai stato allegato, e non sussiste’.
3.9. Il nono motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 11 preleggi, 2043 e 2935 cod. civ., nonché dell ‘ art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, sul tema dell ‘ insussistenza di un obbligo di fare, vale a dire di un obbligo di bonifica, in capo a RAGIONE_SOCIALE, sia generale che particolare, e sul tema della non configurabilità di un illecito omissivo in relazione a tale insussistente obbligo e
dell ‘ interruzione della prescrizione che riguarderebbe la correlativa pretesa creditoria.
La ricorrente contesta la decisione della Corte milanese di rigettare il motivo di gravame con il quale era stata reiterata l ‘ eccezione di prescrizione del credito risarcitorio, decisione motivata sul rilievo che ‘la responsabilità di RAGIONE_SOCIALE si concreta, non solo nell ‘ aver causato l ‘ inquinamento del sito «ex RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE», ma anche nella mancata effettuazione di tutti quegli interventi di bonifica e di messa in sicurezza a cui era obbligata secondo gli ordini delle Autorità amministrative e secondo la legge applicabile’.
Tuttavia, contrariamente all ‘ assunto della Corte territoriale, non sarebbe configurabile, nel caso di specie, ‘alcuna norma, sia essa generale o particolare, che abbia posto in capo a RAGIONE_SOCIALE, in relazione al preteso inquinamento per «condotta di sversamento» risalente ad epoca anteriore al settembre 1979, quello specifico obbligo di fare che è l ‘obbligo di bonifica’.
La sola disciplina applicabile, ‘ ratione temporis ‘, sarebbe, infatti, quella dell ‘ art. 2043, non quindi la legge 8 luglio 1986, n. 349, né il d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, né, infine, il d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152.
Di conseguenza, ‘non può prendere corpo la fattispecie indicata dalla Corte territoriale secondo cui, postulata la pretesa illegittima condotta omissiva di RAGIONE_SOCIALE rispetto all ‘ ipotizzato obbligo di bonifica, rileverebbe che «l ‘inquinamento è (…) cessato soltanto con l ‘ attività di bonifica compiuta da RAGIONE_SOCIALE e certificata nel 2009 dalla Provincia di Milano» e che solo «da tale momento deve ritenersi decorrere la prescrizione»’.
3.10. Il decimo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione dell ‘ art. 2935 cod. civ., sul tema della prescrizione, con riguardo sia all ‘ ipotesi
di illecito omissivo ambientale, sia all ‘ ipotesi di illecito commissivo ambientale, e, in relazione a tale ultima ipotesi, con riguardo all ‘ ulteriore e gradata ipotesi di illecito istantaneo o permanente.
Assume la ricorrente che, ‘anche nell’ inveritiera ipotesi di sussistenza d ‘ un obbligo di bonifica in capo a RAGIONE_SOCIALE, e correlativo illecito omissivo’, dovrebbe ritenersi ‘comunque compiuta la prescrizione col decorso del relativo termine’.
Difatti, secondo la giurisprudenza di questa Corte, in caso di illecito ambientale, la prescrizione inizia a decorrere da quando sia preclusa per i soggetti danneggianti, per il caso in cui avessero perso la disponibilità del bene, ‘la possibilità di liber amente determinarsi in ordine allo stesso ed al suo doveroso totale e satisfattivo ripristino’ (è citata Cass. Sez. 3, sent. 13 agosto 2015, n. 16807). Nella specie, RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha avuto più la disponibilità della parte nord della ‘RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE‘ al pi ù tardi dall ‘ agosto 2000, nonché, della parte sud, dal 1993. Di talché, con riferimento all ‘ illecito omissivo, consistito nella mancata bonifica, il termine di prescrizione sarebbe decorso ben prima del compimento degli ‘scritti pretesamente interruttivi di RAGIONE_SOCIALE‘.
D ‘ altra parte, con riferimento al (supposto) illecito commissivo, costituito dallo sversamento in data anteriore al 1979, visto che il termine di prescrizione del danno da inquinamento decorre del momento della concreta percezione o percepibilità dello stesso, assumerebbe rilievo la data del 13 marzo 1998, alla quale risale l ‘ ingiunzione, emessa dal RAGIONE_SOCIALE di Rho a carico di RAGIONE_SOCIALE , di ‘presentare il progetto di bonifica dell ‘area inquinata’, progetto, peraltro, approvato, come da successiva comunicazione del RAGIONE_SOCIALE del novembre 2001.
3.11. L ‘ undicesimo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 2043 cod. civ. e 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 circa
‘l’elemento soggettivo’, sul tema della disciplina applicabile ai fatti di causa (da individuare nell ‘ art. 2043 cod. civ. e non nell ‘ art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997), e sulla necessaria appartenenza dell ‘ elemento psicologico a quelli della fattispecie costituiva della responsabilità in capo a RAGIONE_SOCIALE.
Ribadisce la ricorrente che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, ‘per quanto riguarda l’ an dell ‘ illecito ambientale, deve farsi riferimento alla normativa vigente al «momento in cui i fatti si sono verificati»’, qui costituita dall’ art. 2043 cod. civ. (e non dal d.lgs. n. 22 del 1997), donde l ‘ erroneità della sentenza impugnata, là dove ha rigettato il motivo di gravame con cui si contestava alla sentenza del primo giudice di non aver ‘tenuto conto del c.d. «coefficiente psicologico» (dolo o colpa)’.
3.12. Il dodicesimo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 2043 cod. civ. e 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 circa l ‘ elemento della violazione delle norme sul tema della disciplina applicabile ai fatti di causa (derivante dall ‘ art. 2043 cod. civ. e non dall ‘ art. 17 del d.lgs. n. 22 1997), e sulla necessaria appartenenza dell ‘ elemento della violazione di norme agli elementi della fattispecie costituiva della responsabilità in capo a RAGIONE_SOCIALE.
Sulla base dello stesso presupposto fatto valere con il motivo che precede, ovvero l ‘ applicabilità alla presente fattispecie dell ‘ art. 2043 cod. civ., la ricorrente si duole del rigetto del motivo di gravame con cui era stata denunciata l ‘ illegittimità della sentenza del Tribunale perché ‘non avrebbe pronunciato sulla eccezione di omessa allegazione o prova del requisito della violazione di norme in ordine alla ritenuta responsabilità extracontrattuale di RAGIONE_SOCIALE‘.
3.13. Infine, il tredicesimo motivo denuncia -ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. -violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 e 2043 cod. civ. e 17 del d.lgs. n. 22 del 1997 circa ‘la quantificazione del danno’, in relazione all’ assunto della Corte territoriale secondo cui ogni indagine sarebbe preclusa al Giudice ordinario, posto che gli ‘atti amministrativi che hanno indicato i necessari interventi (…) sono stati ritenuti tutti pienamente legittimi ed efficaci’, e al tema second o cui le sentenze dei Giudici ammnistrativi, in relazione a tale aspetto, sarebbero idonee a formare la cosa giudicata.
Oltre a riproporre le questioni relative all ‘ applicabilità, in relazione al solo ‘ quantum ‘ della pretesa risarcitoria, della disciplina di cui al d.lgs. n. 22 del 1997, nonché di estraneità al giudicato amministrativo dell ‘eventuale qualifica di ‘responsabile’ dell ‘inquinamento, la ricorrente assume che ‘a fronte dell ‘ onerosità degli obblighi che vengono in rilievo in materia di bonifica’, si ‘sarebbero dovuto osservare, nei confronti di RAGIONE_SOCIALE‘ adeguate ‘garanzie di partecipazione procedimentale’ e ‘garanz ie istruttorie’, ciò che nella specie non sarebbe accaduto.
Ha resistito all ‘ avversaria impugnazione, con controricorso, RAGIONE_SOCIALE, chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Procuratore Generale presso questa Corte, in persona di un suo AVV_NOTAIO, ha presentato conclusioni scritte, nel senso del rigetto del ricorso, poi ribadite in udienza.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il ricorso va accolto, sebbene nei limiti di seguito precisati, ovvero, segnatamente, quanto al suo decimo motivo.
7.1. Il primo motivo è inammissibile, sotto più profili.
7.1.1. Tale conclusione, innanzitutto, s ‘ impone perché, come osserva anche la controricorrente, non è stato riprodotto in ricorso -almeno nella misura necessaria per ricostruirne il contenuto e non valendo alcun atto a quello successivo a colmarne eventuali carenze -il motivo di appello, in relazione alla quale la Corte territoriale sarebbe incorsa nella denunciata ‘fallacia di rilevanza’, donde l’ inammissibilità ex art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.
Inoltre, sotto l ‘ apparenza della denuncia di un ‘ error in procedendo ‘, il motivo lamenta, in realtà, che la sentenza impugnata ‘non ha preso a cognizione i «fatti storici di causa»’, ma ha dato, invece, rilievo ad un ‘fatto alieno’.
In tal modo, però, esso denuncia, per un verso, un omesso esame che mai potrebbe essere scrutinato da questa Corte (e ciò a prescindere dalla questione dall ‘ applicabilità, o meno, dell ‘ art. 348ter , ultimo comma, cod. proc. civ., giacché la ricorrente assume che le due pronunce di merito non sarebbero conformi, circostanza ostativa all ‘ applicazione della norma suddetta; cfr. Cass. Sez. 1, sent. 22 dicembre 2016, n. 26774, Rv. 643244-03; Cass. Sez. Lav., sent. 6 agosto 2019, n. 20994, Rv. 654646-01; Cass. Sez. 3, ord. 28 febbraio 2023, n. 5947, Rv. 667202-01), dal momento che l ‘ omissione investirebbe, indistintamente, tutti i ‘fatti storici di causa’ . Di qui, pertanto, l ‘ ulteriore conferma dell ‘ esito già sopra delineato, e ciò anche alla stregua del principio che postula la ‘evidente l’ inammissibilità di censure ‘ , come quelle
prospettate dalla ricorrente, ‘ che evochino una moltitudine di fatti e circostanze lamentandone il mancato esame o valutazione da parte della Corte d ‘ appello ma in realtà sollecitandone un esame o una valutazione nuova da parte della Corte di cassazione, così chiedendo un nuovo giudizio di merito ‘ (cfr., in motivazione, Cass. Sez. Lav., sent. 21 ottobre 2015, n. 21439, Rv. 63749701). Analogamente, del resto, anche le Sezioni Unite hanno ribadito l ‘inammissibilità di quel tipo di censura ‘che, sotto l ‘ apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio, miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito’ (da ultimo, Cass. Sez. Un., sent. 27 dicembre 2019, n. 34476, Rv. 656492-03).
Per altro verso, quanto all ‘ addebito mosso alla Corte territoriale di aver dato rilievo ad un ‘fatto alieno’ rispetto a quelli di causa, a parte il rilievo che il riferimento al ‘complotto’ ai danni di RAGIONE_SOCIALE costituisce un ‘ argumentum ad abundantiam ‘ nell’ ordito motivazionale della sentenza impugnata (donde allora, anche sotto questo profilo, l ‘ inammissibilità della censura; cfr. Cass. sez. Lav., sent. 22 ottobre 2014, n. 22380, Rv. 633495-01, non diversamente anche Cass. Sez. 1, ord. 10 aprile 2018, n. 8775, Rv. 648883), la doglianza prospettata dalla ricorrente neppure chiarisce in quale misura l ‘ aver dato rilievo a tale fatto abbia inciso -nei termini da essa prospettati di ‘incoerenza’ tra le premesse del ragionamento compiuto dalla Corte milanese e le conclusioni da essa raggiunte -sulla pronuncia impugnata.
7.2. Anche il secondo motivo -che ipotizza violazione del giudicato esterno, formatosi innanzi al giudice amministrativo -è inammissibile.
7.2.1. In tale prospettiva rilevano, innanzitutto, i pertinenti rilievi svolti dal la controricorrente, la quale rammenta che ‘il principio della rilevabilità del giudicato esterno va coordinato con l ‘ onere di autosufficienza del ricorso; pertanto, la parte ricorrente che deduca l ‘ esistenza del giudicato deve, a pena d ‘ inammissibilità del ricorso, riprodurre in quest ‘ ultimo il testo integrale della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il richiamo a stralci de lla motivazione’ (Cass. Sez. 2, sent. 23 giugno 2017, n. 15737, Rv. 64467401), occorrendo, in particolare, il ‘richiamo congiunto della motivazione e del dispositivo’ (Cass. Sez. Lav., sent. 8 marzo 2018, n. 5508, Rv. 647532-01).
Deve, in ogni caso, rilevarsi che -in ragione del complessivo ridimensionamento, operato dalla giurisprudenza di questa Corte, della nozione di ‘efficacia riflessa’ del giudicato -è necessario dare seguito all ‘ affermazione secondo cui, data l ‘ esigenza che sia no ‘garantiti il diritto di difesa del terzo ed i principi del giusto processo e del contraddittorio’, il giudicato esterno , in qualsiasi sede formatosi, ‘può avere nel successivo giudizio’ in cui sia invocato ‘esclusivamente efficacia di prova documentale’ (cfr. Cass. Sez. 3, sent. 9 luglio 2019, n. 18325, Rv. 654774-01; Cass. Sez 6-3, ord. 24 giugno 2020, n. 12394, Rv. 657996-01; Cass. Sez. 3, ord. 17 novembre 2021, n. 35037, Rv. 662986-01), come tale, pertanto, liberamente valutabile dal giudice. Ne consegue, quindi, che la Corte milanese ben potesse ritenersi non vincolata all ‘accertamento del ‘nesso causale’, così come (asseritamente) operato dal giudice amministrativo.
7.3. Il terzo motivo -teso ad evidenziare come l ‘ eventuale l ‘ identificazione del ‘responsabile dell’inquinamento’, raggiunta in sede amministrativa (anche contenziosa) non faccia stato nel processo giurisdizionale, anche perché relativa al solo profilo della
‘causalità’, e non anche della ‘imputabilità’ dell’ inquinamento -non è fondato.
7.3.1. Va, peraltro, premesso che il motivo qui in esame appare in contraddizione con quello che immediatamente lo precede (giacché, se esso postulava l ‘ efficacia di giudicato esterno dell ‘ accertamento effettuato -in punto di ‘rapporto di causalità’ dell ‘ inquinamento -in sede di contenzioso amministrativo, il motivo ora scrutinato ‘degrada’, invece, la pronuncia definitiva del giudice amministrativo, quanto alla dimostrazione della ‘imputabilità’ dell’ inquinamento, a mera ‘prova documentale’), ciò che potrebbe far dubitare della sua stessa ammissibilità.
In ogni caso, il motivo si palesa privo di fondamento.
E ciò, innanzitutto, perché, come rileva la controricorrente, RAGIONE_SOCIALE propone una ‘lettura’ del l ‘ arresto di questa Corte da essa citato a supporto del motivo (si tratta di Cass. Sez. 3, ord. 22 gennaio 2019, n. 1573, Rv. 652476-01) contraria alla sua stessa ‘ ratio ‘, che è quella anche in base alle precisazioni effettuate dalla giurisprudenza di legittimità successiva ad esso -di ‘aver emancipato il diritto del proprietario non colpevole dalla previa individuazione dell ‘ autore dell ‘inquinamento da parte della Pubblica amministrazione’ (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 10 dicembre 2019, n. 32142, Rv. 656569-02). Ma soprattutto perché la medesima giurisprudenza (si tratta sempre di Cass. Sez. 3, sent. n. 32142 del 2019, cit .) ha pure precisato che l ‘identificazione di chi ‘ha oggettivamente provocato l ‘alterazione ambientale’, costituisce un incombente che, in ogni caso, ‘ricade nel giudizio di fatto del giudice’. Come tale, dunque, esso è sindacabile solo nei ristrettissimi limiti in cui tale giudizio può essere messo in discussione in sede di legittimità, ovvero per motivazione meramente apparente (Cass. Sez. Un., sent. 7 aprile 2014, n.
8053, Rv. 629830-01 e altre successive), oppure sindacando l ‘ apprezzamento delle prove per violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., ma sempre negli stessi limiti esigui delineati dalle Sezioni Unite di questa Corte quanto al sindacato sulla motivazione della sentenza (cfr. Cass. Sez. Un., sent. 30 settembre 2020, n. 20867, Rv. 659037-12 e Rv. 659037-02).
7.4. Il quarto motivo -con cui la ricorrente contesta la sentenza impugnata per aver effettuato una ‘ mera trasposizione ‘, nel giudizio civile di danno, dell ‘ identificazione del ‘responsabile dell’ inquinamento, operata nel giudizio amministrativo, avendola ‘ assunta a ratio decidendi (senza curarsi d ‘ altro) ‘ -risulta, del pari, non fondato.
7.4.1. Valgono, sul punto, considerazioni analoghe a quelle svolte in relazione al terzo motivo, soprattutto in merito alla natura di ‘giudizio di fatto’ che connota quello volto all ‘ identificazione del responsabile dell ‘ inquinamento.
Ciò premesso, ed ulteriormente rilevato che la ricorrente propone una singolare configurazione del giudicato ‘esterno’, teorizzandone l ‘efficacia ‘riflessa’ solo ‘ in parte qua ‘ (o meglio, si potrebbe dire, ‘ ad libitum ‘) , dirimente è la constatazione che la Corte milanese, in punto di formulazione -per riprendere le esatte parole di RAGIONE_SOCIALE -del ‘giudizio eziologico’ , non ha affatto esaurito la propria motivazione nel richiamo al giudicato amministrativo. Di ciò, del resto, finisce col dare atto la stessa ricorrente, là dove afferma che, abbandonata la tesi dello ‘sversamento’ fatta propria dal primo giudice, quello d ‘ appello ha ‘costruito la propria decisione secondo altra e diversa impostazione di fatto e diritto’. In particolare, ‘in fatto’, la sentenza della Corte mila nese si sarebbe ‘limitata a dare atto della mera «presenza di sostanze inquinanti al suolo, nel
sottosuolo, nei gas interstiziali del terreno e nelle falde, riconducibili all ‘ attività industriale esercitata lungamente in loco »’. E in effetti, la Corte milanese, nel rigettare ‘le contestazioni svolte alla Ctu nella parte in cui ha escluso che il predetto dispositivo di incapsulamento fosse la causa dell ‘inquinamento, con motivazione richiamata dal Tribunale’ (e che il giudice di appello, espressamente, ‘conferma’ ), osserva che ‘l’ incapsulamento, quand ‘ anche si rivelasse mal fatto e mal gestito ‘, non a vrebbe ‘ di per sé determinato alcun aggravamento della contaminazione della falda profonda, che si sarebbe comunque verificata se si fosse lasciata la fonte di contaminazione libera di produrre i suoi effetti’, sicché ‘detto incapsulamento si è rivelato, tutt ‘ al più un rimedio inefficace al contenimento del focolaio di contaminazione, ma non è stato certo la causa dell ‘inquinamento ambientale’ (cfr. pag. 13).
Considerazioni, queste, che dimostrano come la Corte ambrosiana individui la causa dell ‘ inquinamento -in maniera, in definitiva, ulteriore, se non addirittura autonoma, rispetto a quanto risultante dal giudicato amministrativo (o meglio, alla prospettazione che di esso è proposta dalla ricorrente) -nel riempimento, negli anni, della ‘vasca serbatoio’ e nell ‘ inidoneità della stessa ad evitare la contaminazione del terreno, piuttosto che nell ‘ inefficacia del dispositivo volto a segregarla dalle matrici ambientali. E, difatti, non casualmente, la sentenza impugnata mostra pure di condividere (pag. 11) l ‘ affermazione del giudice di prime cure secondo cui ‘l’ inquinamento dell ‘ area è dipeso da sostanze inquinanti derivanti dall ‘ attività industriale per decenni svolta in loco ‘, richiamandosi, su tali basi, al ‘principio comunitario «chi inquina paga»’ al quale aveva fatto riferimento già il Consiglio di Stato, nella sentenza che ebbe a definire il contenzioso amministrativo per l ‘ annullamento dell ‘ ordinanza del RAGIONE_SOCIALE di Rho dell ‘ 11 luglio 2000 (ed una serie di atti presupposti
e consequenziali) -e dunque alla ‘presunzione dell’ esistenza del nesso di causalità tra l ‘ inquinamento accertato e le attività del singolo o dei diversi operatori derivante dalla vicinanza degli impianti’.
Ciò che conferma, pertanto, come il giudice di appello non abbia fatto (solo) riferimento all ‘ esistenza del giudicato amministrativo, mostrando di utilizzarlo -per quello che è, come si è detto nell ‘ esaminare il secondo motivo di ricorso -quale mera ‘prova documentale’ a propria disposizione.
7.5. Il quinto motivo -che lamenta la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di pretesi litisconsorti necessari, ovvero quanti all ‘ epoca dello sversamento avevano la disponibilità della ‘vasca/serbatoio’ ( e del ‘dispositivo d’incapsulamento’) , da cui l ‘ inquinamento si assume abbia tratto origine -non è fondato.
7.5.1. Dal momento, infatti, che è la stessa ricorrente a prospettare l ‘iniziativa processuale assunta come ‘ vocatio del soggetto terzo responsabile in via esclusiva’ (cfr. pag. 36 del ricorso), non di richiesta di integrazione del contraddittorio verso una parte necessaria del giudizio si trattava, bensì di c.d. ‘ laudatio auctoris ‘.
Occorre, pertanto, dare seguito al principio secondo cui la ‘chiamata in causa di un terzo, a differenza dell’ ordine di integrazione del contraddittorio ex art. 102 cod. proc. civ., involge valutazioni circa l ‘ opportunità di estendere il contraddittorio ad altro soggetto’, sicché essa ‘è sempre rimessa alla discrezionalità del giudice di primo grado, onde il relativo potere, comunque esercitato, in senso positivo o negativo, non può essere oggetto di censura con il mezzo dell ‘ appello o del ricorso per cassa zione’ (cfr. Cass. Sez. 1, sent. 28 marzo 2014, n. 7406, Rv. 63031601).
7.6. Il sesto motivo -che denuncia il rifiuto di ricondurre la fattispecie in esame a taluna di quelle normativamente previste dagli art. 2051 e/o 2053 cod. civ., per non essersi disposta la chiamata in causa di chi aveva la disponibilità della ‘vasca/serbatoio’ ( con annesso ‘dispositivo d’incapsulamento’) -è inammissibile.
7.6.1. Il motivo postula, per vero, una messa in discussione del giudizio di fatto con cui la Corte milanese, in maniera autonoma dal prospettato giudicato amministrativo (o meglio, utilizzando lo stesso come ‘prova documentale’ , liberamente apprezzabile ), ha affermato come il suddetto ‘incapsulamento si è rivelato, tutt ‘ al più un rimedio inefficace al contenimento del focolaio di contaminazione, ma non è stato certo la causa dell ‘ inquinamento ambientale’.
La censura, dunque, fuoriesce dal paradigma -viceversa, evocato dalla ricorrente -di cui all ‘ art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ., se è vero che il vizio di legittimità, da esso contemplato, ‘consiste nella deduzione di un’ erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l ‘ allegazione di un ‘ erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all ‘ esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità’ (cfr. ‘ ex multis ‘, Cass. Sez. 1, ord. 13 ottobre 2017, n. 24155, Rv. 645538-03; Cass. Sez. 1, ord. 14 gennaio 2019, n. 640, Rv. 652398-01; Cass. Sez. 1, ord. 5 febbraio 2019, n. 3340, Rv. 652549-02), e ciò in quanto il vizio di sussunzione ‘postula che l’ accertamento in fatto operato dal giudice di merito sia considerato fermo ed indiscusso, sicché è
estranea alla denuncia del vizio di sussunzione ogni critica che investa la ricostruzione del fatto materiale, esclusivamente riservata al potere del giudice di merito’ (Cass. Sez. 3, ord. 13 marzo 2018, n. 6035, Rv. 648414-01).
Ne consegue, quindi, che il ‘discrimine tra l’ ipotesi di violazione di legge in senso proprio a causa dell ‘ erronea ricognizione della fattispecie astratta normativa e l ‘ ipotesi della erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest ‘ ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa’ (così, in motivazione, Cass. Sez., Un., sent. 26 febbraio 2021, n. 5442): evenienza, quest ‘ ultima, che ricorre nel caso di specie, visto che il presente motivo sollecita, in realtà, un diverso apprezzamento in merito all ‘ eziologia del danno, senza che lo stesso, quindi, possa ritenersi ‘fermo e indiscusso’.
7.7. Il settimo motivo -secondo cui la società RAGIONE_SOCIALE, lungi dall ‘ agire verso RAGIONE_SOCIALE ai sensi dell ‘ art. 2043 cod. civ., avrebbe dovuto esperire l ‘ azione ex art. 1490 cod. civ. nei confronti della società venditrice -non è fondato.
7.7.1. Invero, il principio enunciato dalla sentenza richiamata dal ricorrente (Cass. Sez. 3, sent. 6 luglio 2017, n. 16654, Rv. 644820-01) concerne una fattispecie non assimilabile a quella per cui oggi è causa, in cui vendita del bene inquinato e condotta di inquinamento facevano capo al medesimo soggetto; anzi, tale arresto affronta la questione relativa alla coesistenza -che nega -in capo al venditore di un doppio titolo di responsabilità, contrattuale e aquiliana.
Al di fuori di questo caso, postulare la necessarietà dell ‘ esercizio delle azioni c.d. ‘edilizie’ ex art. 1492 cod. civ.
(risoluzione del contratto o ‘ quanti minoris ‘), per consentire al proprietario del bene inquinato di tutelarsi, significherebbe predicare un sistema di ‘ esclusivi tà’ della tutela che l ‘ ordinamento, in tale ambito, non contempla, potendo certamente coesistere -perché destinati ad indirizzarsi non solo contro comportamenti diversi, ma tenuti da soggetti differenti (chi inquina e chi vende il bene inquinato) -tanto i rimedi contrattuali quanto la Generalklausel di cui all ‘ art. 2043 cod. civ.
7.8. L ‘ ottavo motivo, invece, è in parte non fondato e in parte inammissibile.
7.8.1. Quanto alla prima censura in cui esso si articola (tesa, ancora una volta, a contestare la possibilità di riferire a RAGIONE_SOCIALE, nel giudizio civile di danno, la qualifica di ‘ responsabile dell ‘ inquinamento ‘, ad essa attribuita in sede amministrativa), l ‘ infondatezza della stessa va affermata per le medesime ragioni che si sono illustrate nello scrutinare altri motivi del presente ricorso (in particolare, quelli da secondo al quinto) che sollevano pressocché identiche questioni.
In ordine, invece, alla seconda censura (attinente alla necessità di fare riferimento, ai fini della quantificazione del danno, alla normativa attualmente vigente, ovvero quella del d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152), la stessa è inammissibile, ex art. 366, comma 1, n. 6), cod. proc. civ.
La questione relativa alla diversa disciplina legislativa applicabile, ‘ ratione temporis ‘, in relazione all’ accertamento dell ” an ‘ della responsabilità da individuarsi in quella vigente all ‘ epoca del fatto -e alla determinazione del ‘ quantum ‘ risarcibile (rilevando, in questo caso, secondo RAGIONE_SOCIALE, la normativa attuale), risulta -come è stato eccepito dalla controricorrente -del tutto nuova nella presente sede.
RAGIONE_SOCIALE non ha riprodotto il contenuto dei motivi di appello che attestino l ‘ avvenuta proposizione di tale questione già nel giudizio di merito, né, d ‘ altra parte, la sentenza impugnata contiene un riferimento certo ad essa. Difatti, a pag. 14 vi è un generico cenno ai ‘motivi nn. 31 e 32’ di appello, recanti ‘censure sulla pretesa applicazione retroattiva della norma di cui all ‘art. 17’ del d.lgs. n. 22 del 1997, peraltro rigettate in ragione del ritenuto ‘carattere permanente dell ‘attività di inquinamento’ .
Di qui, pertanto, la necessità di dare seguito al principio secondo cui, ‘ove una determinata questione giuridica -che implichi un accertamento di fatto -non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimità ha l ‘ onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegarne l ‘ avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare « ex actis » la veridicità di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa’ (Cass. Sez. 2, ord. 24 gennaio 2019, n. 2038, Rv. 652251-02).
L ‘ ultima censura, infine, è anch ‘ essa inammissibile, giacché, lungi dal prospettare un vizio di violazione di legge, mette in discussione il giudizio di fatto in forza del quale si è riconosciuta la surrogazione legale di RAGIONE_SOCIALE al RAGIONE_SOCIALE Rho, assumendo che l ‘ anticipazione dei costi di bonifica da parte dell ‘ Ente municipale non sarebbe mai stata allegata e predicandone, inoltre, l ‘ insussistenza. Sicché, sul punto, valgono le considerazioni già svolte nello scrutinare il sesto motivo, circa l ‘ impossibilità di configurare, nella specie, il vizio di violazione di legge, giacché la sua prospettazione postula che il giudizio di fatto si presenti indiscusso, ciò che non è, invece, nell ‘ ipotesi che occupa.
7.9. Il nono motivo -che postula l ‘ inesistenza di un obbligo di bonifica, a carico del responsabile dell ‘ inquinamento, già prima dell ‘ entrata in vigore del d.lgs. 5 febbraio 1997, n. 22, e dunque in riferimento alle fattispecie di illecito ambientale ancora disciplinate solo dall ‘ art. 2043 cod. civ. (sebbene, come illustrato, in una prospettiva che pretende di contestare l ‘ affermazione della sentenza impugnata, secondo cui la condotta di inquinamento sarebbe cessata, con quel che ne consegue in termini di prescrizione del diritto azionato da RAGIONE_SOCIALE, solo con la completa bonifica del sito, accertata nell ‘ anno 2009) -non è fondato, sebbene sul punto la motivazione vada corretta, a norma dell ‘ art. 384, ultimo comma, cod. proc. civ.
7.9.1. Questa Corte, infatti, ha certamente escluso -già da tempo -la possibilità di applicare retroattivamente gli obblighi di ripristino di cui all ‘ art. 17 d.lgs. n. 22 del 1997 (cfr. Cass. Sez. 1, sent. 21 ottobre 2011, n. 21887, Rv. 619925-01), principio successivamente confermato, e qui nuovamente da ribadire, sul rilievo che ‘ gli artt. 41 e 42 Cost. ed il principio di eguaglianza si opporrebbero alla retroattività ‘, giacché ‘r icollegare un evento inquinante a chi non detenga né sia più proprietario del bene si tradurrebbe in una conformazione dell ‘ attività di iniziativa privata e del diritto di proprietà sulla base di una legge non ancora vigente al momento del loro esercizio ‘ , così come ‘ sanzionare allo stesso modo chi abbia tenuto un comportamento non vietato e chi tenga consapevolmente un comportamento antigiuridico si scontrerebbe con il divieto ‘ (affermato anche dal giudice delle leggi; cfr. Corte cost., sent. 13 maggio 1991, n. 202) ‘ di assumere a fonte di responsabilità la condotta di un soggetto adottata quando non esisteva alcun divieto a suo carico da lui conoscibile ‘ (così, in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. 10 dicembre 2019, n. 32142, Rv. 656569-01).
Nondimeno, si è pure precisato -con carattere di decisività, ai fini del rigetto del motivo qui in esame -che, sebbene sia vero ‘ che solo con l ‘ art. 18 della L. 8 luglio 1986, n. 349 (istitutiva del Ministero dell ‘ ambiente) è stata data attuazione, in Italia, al principio comunitario «chi inquina paga» -a mente del quale i costi dell ‘ inquinamento devono essere sopportati dal responsabile attraverso l ‘ introduzione, quale forma particolare di tutela, dell ‘ obbligo di risarcire il danno cagionato all ‘ ambiente a seguito di una qualsiasi attività compiuta in violazione di un dispositivo di legge -non può neppure escludersi che anche prima dell ‘ entrata in vigore della l. 8 luglio 1986, n. 349, la tutela dell ‘ ambiente, da considerarsi espressione di un autonomo valore collettivo del complesso delle risorse ambientali e degli esseri viventi che caratterizzano un determinato habitat, fosse specificamente riconosciuta, in quanto tale, dall ‘ ordinamento e che trovasse la sua fonte nei precetti costituzionali posti a salvaguardia dell ‘ individuo e della collettività nel suo habitat economico, sociale ed ambientale (artt. 2, 3, 9, 41 e 42 Cost.) che elevando l ‘ ambiente ad interesse pubblico fondamentale, primario ed assoluto, imponevano allo Stato un ‘ adeguata predisposizione di mezzi di tutela ed assicuravano comunque alla collettività il godimento di tale bene ‘ (così, nuovamente in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 32142 del 2019, cit .). Su tali basi, dunque, si è affermato che ‘ l ‘ art. 2043 cod. civ. consentiva, già prima del 1986, agli enti esponenziali della collettività ed in primo luogo allo Stato di ricorrere (oltre che alla repressione penale ed amministrativa) alla tutela risarcitoria, anche in forma specifica, ex art. 2058 cod. civ., nei confronti di chi avesse agito in violazione delle norme specificamente poste a tutela dell ‘ ordinato svolgersi dell ‘ attività di sviluppo ed uso del territorio ‘ (cfr., ancora una volta in motivazione, Cass. Sez. 3, sent. n. 32142 del 2019, cit .).
In conclusione, l ‘ obbligo di ripristino di siti inquinati era operante -a dispetto di quanto sostiene l ‘ odierna ricorrente -già nel sistema anteriore all ‘ avvento della legislazione specificamente dettata a tutela dell ‘ ambiente, e ciò se non altro ai sensi degli artt. 2043 e 2058 cod. civ., applicabili ai fatti pregressi all ‘ avvento, in particolare, del d.lgs. n. 22 del 1997: norma, viceversa, non destinata a trovare applicazione , ‘ ratione temporis ‘, in relazione alla presente fattispecie (donde la correzione, sul punto, della motivazione).
7.10. Il decimo motivo -sempre in punto di prescrizione del diritto azionato da RAGIONE_SOCIALE -è, invece, fondato.
7.10.1. Come, illustrato, la sentenza impugnata ha ricollegato la responsabilità dell ‘ odierna ricorrente tanto ad una condotta commissiva, consistita ‘nell’ aver causato l ‘ inquinamento del sito «ex RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE»’, quanto ad una condotta omissiva, ovvero ‘ nella mancata effettuazione di tutti quegli interventi di bonifica e di messa in sicurezza’ del sito, la cui fonte è da ravvisarsi (come appena illustrato) nell ‘ art. 2058 cod. civ.
Su tali basi, nonché sul rilievo che la cessazione dell ‘inquinamento risulta avvenuta ‘soltanto con l’ attività di bonifica compiuta da RAGIONE_SOCIALE e certificata nel 2009 dalla Provincia di Milano’, la Corte milanese ha ritenuto che ‘da tale momento’ dovesse farsi decorrere la prescrizione, in relazione alla quale ‘poi sono intervenuti plurimi atti interruttivi’, tra i quali individua, esemplificativamente, ‘l’ istanza di mediazione in data 14 marzo 2013, non riscontrata’.
Così argomentando, tuttavia, la sentenza impugnata è incorsa in un ‘ error in iudicando ‘, violando l’ art. 2935 cod. civ.
Sul punto, occorre muovere dalla constatazione che ha ‘natura di illecito istantaneo con effetti permanenti quello che
determini un danno da inquinamento, dal momento che la condotta lesiva consiste in un fatto « quod unico actu perficitur », cioè destinato ad esaurirsi in una dimensione unitaria (sul piano logico e sostanzialmente cronologico) di concreta realizzazione, a prescindere dalla eventuale diacronia dei relativi effetti’ ( così Cass. Sez. 3, sent. 22 aprile 2013, n. 9711, Rv. 626201-01).
Ciò detto, poiché in tema di prescrizione del diritto al risarcimento del danno, ‘nel caso di illecito istantaneo, caratterizzato da un ‘ azione che si esaurisce in un lasso di tempo definito, lasciando permanere i suoi effetti, la prescrizione incomincia a decorrere con la prima manifestazione del danno’ (così Cass. Sez. Un., sent. 14 novembre 2011, n. 23763, Rv. 619392-01 e successive conformi, tra le quali, da ultimo, Cass. Sez. 3, sent. 11 febbraio 2020, n. 3314, Rv. 656891-06), purché obiettivamente perc epibile dal danneggiato secondo l’ordinaria sua prudenza e diligenza, e giacché il danno del quale RAGIONE_SOCIALE ha chiesto il ristoro è quello consistito nell ‘ essere stata essa chiamata a svolgere l ‘ attività di bonifica e a sopportarne i relativi costi, la prima manifestazione dello stesso non può che identificarsi, come sostenuto dall ‘ odierna ricorrente, nell ‘ ingiunzione inviatale dal RAGIONE_SOCIALE di Rho in data 13 marzo 1998. È, invero, intuitivo che una siffatta ingiunzione, per la sua stessa natura e per l’ambito degli accertamenti presupposti, dia idoneo conto al suo destinatario della sussistenza del danno e ne attivi pienamente l’onere e, al contempo, la facoltà di idonea individuazione delle relative causali e dei relativi autori.
In relazione a tale data, da identificarsi dunque quale ‘ exordium praescriptionis ‘, la Corte ambrosiana avrebbe dovuto valutare l ‘ idoneità degli atti -di tutti, non della sola istanza di mediazione del 14 marzo 2013, alla quale essa ha fatto esemplificativamente riferimento -invocati da RAGIONE_SOCIALE
come idonei, a norma dell ‘ art. 2943 cod. civ., ad interrompere il corso della prescrizione.
7.11. I motivi undicesimo e dodicesimo -anch ‘ essi accomunabili nel medesimo scrutinio, giacché censurano la sentenza impugnata per non aver dato rilievo, nel valutare il contegno dell ‘ odierna ricorrente, al coefficiente psicologico della colpa e alla violazione delle norme che lo integrerebbero, come necessario ai sensi dell ‘ art. 2043 cod. civ. -sono inammissibili.
7.11.1. Al riguardo, infatti, deve osservarsi, innanzitutto, che anche la questione oggetto, in particolare, dell ‘ undicesimo motivo (come quella prospettata con l ‘ ottavo motivo) si palesa nuova, atteso che RAGIONE_SOCIALE -secondo quanto si legge a pag. 15 della sentenza impugnata -con la ‘settima parte dell’appello’ si era lamentata del fatto che ‘il primo giudice, qualificato l’ illecito di natura extracontrattuale ‘ , non avesse ‘ tenuto conto del c.d. «coefficiente psicologico» (dolo o colpa), così come previsto dall ‘art. 311 del d.lgs. 152/2006′, senza, pertanto, riferirsi all’ art. 2043 cod. civ.
Inoltre, deve rilevarsi -donde l ‘ inammissibilità pure del dodicesimo motivo -che, avendo la Corte territoriale ravvisato il fondamento della responsabilità di RAGIONE_SOCIALE anche nella condotta commissiva consistente nell ‘ aver dato causa ad un iniziale sversamento attraverso l ‘ uso di una inidonea vasca di raccolta delle acque, il profilo della colpa -e della inosservanza delle norme che la integrerebbero -risulta, per ciò solo, integrato. La responsabilità, infatti, risulta fondata su di un profilo di colpa generica (e, dunque, per violazione di un generale obbligo di diligenza, prudenza o perizia), che, nel caso della responsabilità ex art. 2043, può persino essere affermata in applicazione
dell ‘ antico principio secondo cui ‘ in lege Aquilia, et culpa levissima venit ‘ .
7.12. Il tredicesimo motivo, infine, risulta non fondato.
7.12.1. Quanto alla censura che evoca, ancora una volta, il tema dei rapporti tra giudizio civile di danno e giudizio amministrativo, valgono i rilievi già in precedenza svolti, nello scrutinare gli altri motivi (in particolare, i primi quattro) con i quali, sebbene sotto altri angoli visuali, sono state poste problematiche affini. Infine, in relazione all ‘ ultima censura, relativa all ‘ assenza di adeguate ‘garanzie di partecipazione procedimentale’ e ‘garanzie istruttorie’ , è sufficiente osservare che gli accertamenti prodromici alla quantificazione del danno sono avvenuti attraverso CTU, e dunque con ogni dovuta garanzia (o, comunque, senza rituale articolazione di specifiche doglianze quanto allo sviluppo del procedimento di integrazione istruttoria in cui quella è consistita), anche in relazione agli aspetti evocati con il presente motivo.
In conclusione, il ricorso va accolto solo quanto al suo decimo motivo, cassando in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte d ‘ appello di Milano, in diversa composizione, per la decisione sul merito e sulle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità, in applicazione del seguente principio di diritto:
‘ in caso di illecito ambientale, stante la sua natura di illecito istantaneo ad effetti permanenti, la prescrizione del credito risarcitorio, spettante al proprietario del sito inquinato che lamenti, verso il responsabile dell ‘ inquinamento, il danno consistito nella sopportazione delle spese di bonifica, decorre dal momento della prima manifestazione del danno, da indentificarsi
in quello in cui tale soggetto abbia ricevuto l ‘ ingiunzione a provvedere alla bonifica ‘.
P. Q. M.
La Corte accoglie il decimo motivo di ricorso, rigettandolo per il resto, e cassa in relazione la sentenza impugnata, rinviando alla Corte d ‘ appello di Milano, in diversa composizione, per la decisione sul merito e sulle spese di lite, ivi comprese quelle del presente giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, all ‘ esito dell ‘ udienza pubblica della