Ordinanza di Cassazione Civile Sez. U Num. 23226 Anno 2025
Civile Ord. Sez. U Num. 23226 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 13/08/2025
Sul ricorso iscritto al n. r.g. 23477/2023 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE COGNOME NOME RAGIONE_SOCIALE (già Velarium di Iaconi Domenica), in persona dei legali rappresentanti pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELLE RAGIONE_SOCIALE E DELLA MOBILITA’ SOSTENIBILI , in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO presso l’ AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 127/2023 del TRIBUNALE SUPERIORE DELLE ACQUE PUBBLICHE, depositata il 08/09/2023.
Udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 06/05/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale NOME COGNOME il quale chiede che la Corte dichiari inammissibile e comunque rigetti il ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1.- La società RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE di COGNOME Domenica) ha agito in giudizio, davanti al TRAP presso la Corte di Appello di Roma, nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (ora Ministero delle Infrastrutture e Mobilità Sostenibili), per sentirlo condannare al risarcimento dei danni subiti a seguito dell’esondazione del fiume Tronto (avvenuta nel mese di aprile 1992), in relazione a fatti integranti il reato di inondazione colposa, punito dagli artt. 426-449, c.p.
– Il Ministero ha resistito e ha eccepito la prescrizione del diritto, chiedendo il rigetto della pretesa.
– Il TRAP ha rigettato la domanda, ritenendo che dovesse applicarsi, ex art. 2947, terzo comma, c.c., il termine di prescrizione decennale e che tale termine fosse iniziato a decorrere a far data dal rinvio a giudizio dell’ ing. COGNOMEprofessionista che, per conto del Ministero convenuto, aveva curato il progetto e la direzione dei lavori delle opere di sistemazione idraulica del Tronto), risalente al 21.12.2000, e che, in difetto di costituzione di parte civile da parte della ricorrente e di tempestivi atti interruttivi, la pretesa fosse già prescritta al momento in cui era stata inviata al Ministero la lettera di messa in mora del marzo 2015.
– Il TSAP ha rigettato il gravame della ricorrente, ritenendo che le censure non cogliessero nel segno; e ciò in quanto il termine decennale di prescrizione (da applicare nella specie in base al termine prescrizionale previsto per il reato di inondazione colposa alla data dei fatti), la cui decorrenza iniziale era stata correttamente collocata dal primo giudice alla data del rinvio a giudizio dell’ ing. COGNOME risalente al 21 dicembre 2000, era ampiamente decorso quando era stato inviato l’atto di me ssa in mora nel marzo 2015.
-La ricorrente ha proposto un motivo di ricorso per cassazione, cui resiste, con controricorso il Ministero delle Infrastrutture e delle Mobilità Sostenibili.
Con proposta formulata ai sensi del primo comma dell’art. 380 – bis c.p.c. (novellato), la Prima Presidente ha rilevato che il ricorso era da ritenersi infondato alla luce della ormai consolidata di questa Corte e che, quindi, avrebbe potuto essere definito nelle forme previste dal menzionato articolo.
– Il difensore delle ricorrenti ha chiesto che il ricorso venga esaminato e deciso.
-Il ricorso è stato avviato alla discussione in adunanza camerale dinanzi a queste Sezioni Unite, all’esito della quale è stato riservato in decisione.
9.- Il Procuratore Generale ha depositato requisitoria scritta con cui ha chiesto che il ricorso venga dichiarato inammissibile o non fondato.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- La ricorrente formula un solo motivo di ricorso, con il quale denuncia la falsa applicazione, da parte della sentenza impugnata, dell’art. 2935 cc.
Deduce che il TSAP, nella sentenza gravata, avrebbe erroneamente ritenuto di far decorrere il dies a quo per il calcolo del termine decennale di prescrizione dal giorno del rinvio a giudizio dell’ing. COGNOME, avvenuto il 21 dicembre 2000, anziché dal 25 febbraio 2009, al termine dell’ iter processuale.
Il TSAP, quindi, sarebbe incorso in falsa applicazione dell’art. 2935 c.c., per aver ritenuto che la notizia del rinvio a giudizio dell’ing. COGNOME fosse di per sé elemento sufficiente ad ingenerare nei danneggiati la consapevolezza circa il nesso di ca usalità tra l’esondazione del fiume Tronto e i difetti di progettazione e manutenzione a carico del funzionario del Ministero.
Secondo la ricorrente l’informazione sulla apertura del processo penale di per sé non poteva determinare nessuna effettiva conoscenza o conoscibilità in quel momento sulla reale sussistenza di un nesso eziologico tra fatto e danno, peraltro difficoltosamente accertato attraverso un processo passato attraverso una cassazione con rinvio, richiedendosi al danneggiato non l’ordinaria diligenza, ma una speciale e superiore perizia nell’individuare il nesso causale, che si colloca fuori dai parametri della diligenza stessa.
Conclusivamente, ritiene la ricorrente, in questo caso, il termine di prescrizione decorra solo all’esito della definizione del processo penale, con conseguente tempestività della lettera di messa in mora inviata nel marzo 2015.
– Occorre, in via pregiudiziale, dare atto che -conformemente al disposto del comma secondo del nuovo art. 380-bis c.p.c. -l’istanza di decisione del ricorso è stata proposta ritualmente.
– Bisogna, inoltre, rilevare, ancora in via preliminare, che la produzione del parere ‘ pro veritate ‘ allegato al ricorso (le cui considerazioni sono state ampiamente trasfuse all’interno del ricorso stesso e fatte proprie in tal modo dalla ricorrente), non può considerarsi ammissibile (come già affermato da questa Corte, in relazione ad analogo parere prodotto in altro ricorso avente ad oggetto sempre il risarcimento dei danni da esondazione del fiume Tronto definito con ordinanza n. 15416 del 2024).
Al riguardo, si osserva, innanzitutto, che l’art. 372 c.p.c. non ammette il deposito dinanzi alla Corte di cassazione di documenti che non siano stati prodotti nei precedenti gradi del processo, tranne quelli che riguardano la nullità della sentenza impugn ata o l’ammissibilità del ricorso o del controricorso, ipotesi queste che non ricorrono evidentemente nella fattispecie.
Occorre poi aggiungere, per completezza, che il già menzionato parere si configura, in effetti, come un atto difensivo, non proveniente da un difensore ritualmente investito di procura alla lite e, quindi, anche in questa prospettiva inammissibile. Deve pertanto ribadirsi, come già chiarito da Cass. n. 15416 del 2024 e n. 33468 del 2023 che «in tema di giudizio dinanzi alla Corte di Cassazione, è inammissibile l’allegazione – alle memorie illustrative ex artt. 378 e 380-bis.1. c.p.c. – di un parere giuridico sulle questioni di diritto agitate nella controversia, redatto da uno studioso del diritto diverso dai difensori ritualmente costituiti».
– Ciò premesso, il motivo è infondato per le ragioni che seguono.
4.1. – In relazione alla medesima vicenda dell’esondazione del fiume Tronto, queste Sezioni Unite hanno, in precedenza, cassato due pronunce del TSAP che avevano individuato il dies a quo della prescrizione nella stessa data dell’evento alluvionale, affermandosi al riguardo che: – «il termine di prescrizione
del diritto al risarcimento preteso, nei confronti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, dai soggetti danneggiati dall’esondazione di un fiume decorre dal giorno in cui gli stessi hanno avuto la conoscenza (o la conoscibilità) tecnico scientifica dell’incidenza causale delle carenze di progettazione e di manutenzione delle opere idrauliche. Incorre, pertanto, in un errore di sussunzione (e, dunque, nella falsa applicazione dell’art. 2935 c.c.) il giudice di merito che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, ritenga tale conoscenza conseguita, da parte del danneggiato, in base alla mera percezione – inidonea a rendere concretamente esercitabile il diritto in mancanza di una specifica indagine tecnico-scientifica volta a identificare il rapporto causale -dell’episodio di natura meteorologica determinante l’esondazione» (Cass. S.U. n. 2146/2021).
Il principio suddetto è stato poi ribadito da Cass. S.U. n. 4115 del 2022, la quale ha puntualizzato che «incorre, pertanto, in un errore di sussunzione (e, dunque, nella falsa applicazione dell’art. 2935 c.c.) il giudice di merito che, ai fini della determinazione della decorrenza del termine di prescrizione, ometta del tutto l’indicazione dei fatti sintomatici da cui i danneggiati avrebbero potuto immediatamente percepire, con la normale diligenza, i difetti delle opere idrauliche e il nesso di causalità con i danni subiti».
4. 2. – La sentenza qui impugnata ha affrontato il tema del decorso della prescrizione con riferimento al diverso dies a quo individuato dal TRAP (ossia coincidente con la data del rinvio a giudizio del Mattiolo), aderendo implicitamente ad un nuovo orientamento emerso in seno al TSAP (a cominciare dalle sentenze nn. 113 e 114 del 2021, che hanno trovato conferma nella decisione di queste S.U. n. 22840/2022e in altre seguenti) successivamente all’anzidetta pronuncia delle Sezioni Unite; orientamento che – come detto – ha individuato la decorrenza della prescrizione nel rinvio a giudizio del COGNOME (o, al più tardi, nella sentenza di condanna pronunciata nei confronti del medesimo dal Tribunale di Ascoli Piceno nel luglio del 2003).
Tanto premesso, ritiene il Collegio, in continuità con le conformi pronunce di queste Sezioni unite (n. 22838, n. 22839 e n. 22840/2022, cit.; nn. 5973,
5974, 5976, 5977 e 5978 del 2023; n. 33468 del 2023, nn. 15416, 15418, 15421, 15424 del 2024), che il motivo debba essere respinto.
Considerato che, a norma dell’art. 2935 c.c., la prescrizione inizia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, va ribadito il consolidato orientamento di legittimità secondo cui, in tema di risarcimento del danno da fatto illecito, il dies a quo dal quale la prescrizione comincia a decorrere va individuato nel momento in cui il danneggiato abbia avuto – o avrebbe potuto avere, usando l’ordinaria diligenza – sufficiente conoscenza della rapportabilità causale del danno lamentato al comportamento del terzo (cfr., ex multis , Cass., S.U. n. 576/2008; Cass. n. 27337/2008; Cass. n. 12699/2010; Cass. n. 1263/2012; Cass. n. 11097/2020), a seguito anche delle iniziative giudiziarie e delle decisioni che facciano insorgere in capo ai danneggiati l’affidamento su tale rapportabilità (quindi anche in via potenziale) desumibile dall’adottato provvedimento di rinvio a giudizio dell’imputato o dalla sua condanna in sede penale all’esito del giudizio di primo grado (e non anche dalla semplice instaurazione del procedimento penale e durante il tempo delle relative indagini da parte del P.M.), con esclusione, quindi, della necessità dell’effettivo accertamento, in via definitiva, della sussistenza od esclusione di tale nesso eziologico. Va richiamato, inoltre, il principio secondo cui «l’accertamento della decorrenza della prescrizione costituisce indagine di fatto demandata al giudice di merito e non sindacabile in sede di legittimità se sorretta da adeguata e congrua motivazione e non inficiata da errori logici o di diritto» (Cass. n. 9014/2018; conforme a Cass. n. 17157/2002 nonché a Cass. n. 1710/1968 e a Cass. n. 2839/1966).
Ciò comporta che, in difetto di vizi logici o di diritto (ricorrenti, come detto, in termini di vizio di sussunzione, nelle ipotesi esaminate da Cass., S.U. n. 2146/2021 e da Cass., S.U. n. 4115/2022) o in difetto di vizi della motivazione, nei limiti in cui gli stessi sono tuttora rilevanti in relazione al nuovo testo dell’art. 360, n. 5 c.p.c. (ai sensi di Cass., S.U. n. 8053/2014 e successive conformi), non è sindacabile in sede di legittimità la valutazione del giudice di merito che abbia individuato elementi fattuali idonei a costituire plausibile ragione di riferibilità del pregiudizio subito dal danneggiato alla condotta di un terzo, sì da
consentire l’esercizio della pretesa risarcitoria e, con esso, il decorso del termine di prescrizione (ex art. 2935 c.c.).
Più precisamente e con specifico riferimento all’ipotesi oggetto di causa, deve ritenersi che non sia sindacabile l’accertamento di merito che ha individuato nel fatto del rinvio a giudizio dell’ing. COGNOME un elemento sintomatico della conoscibilità da parte dell’odierna ricorrente – secondo canoni di ordinaria diligenza – della riconducibilità causale dei danni alle carenze di progettazione e di manutenzione delle opere idrauliche riferibili ad un dipendente del Ministero, sì da consentire alle parti danneggiate di attivarsi contro il COGNOME e/o il Ministero competente per conseguire il risarcimento dei danni.
– In definitiva, conformemente alle conclusioni del Procuratore generale, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna della soccombente ricorrente al pagamento -in favore del controricorrente Ministero – dei compensi professionali del presente giudizio, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Poiché il ricorso è stato deciso in conformità alla proposta formulata, ai sensi dell’art. 380 -bis, comma 1, c.p.c., possono essere adottate le statuizioni di cui al terzo comma della stessa norma, ovvero la condanne al pagamento a favore del controrico rrente ed ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., della somma equitativamente determinata nella misura di euro 1.800,00, la condanna al pagamento, in favore della Cassa delle ammende ed in applicazione dell’art. 96, comma 4, c.p.c., della somma di euro 1.800,00.
A quest’ultimo proposito è opportuno sottolineare che queste stesse Sezioni unite hanno recentemente chiarito -con le ordinanze n. 27433/2023 e 27195/2023 -che la disciplina del nuovo art. 380-bis c.p.c. (e, in particolare, di quella prevista nel suo terzo comma), contiene, nei casi di conformità tra proposta e decisione finale, una valutazione legale tipica per far luogo alla suddetta duplice condanna a carico della parte soccombente.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della stessa ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento nei confronti del Ministero controricorrente dei compensi professionali del presente giudizio, liquidati in euro 3.600,00 oltre spese prenotate a debito.
Condanna, altresì, la ricorrente al pagamento a favore del Ministero controricorrente ed ai sensi dell’art. 96, comma 3, c.p.c., della somma equitativamente determinata nella misura di euro 1.800,00 nonché al pagamento, in favore della Cassa delle ammende ed in applicazione dell’art. 96, comma 4, c.p.c., della somma di euro 1.800,00.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di consiglio delle Sezioni Unite civili in data 6