Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 4684 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 4684 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 21/02/2024
1.La Corte di Appello di Palermo per quanto qui rileva, in parziale riforma della sentenza del Tribunale della stessa sede, ha rigettato le domande proposte da NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME, NOME COGNOME e NOME COGNOME, ed ha condannato il Comune a corrispondere le rivendicate retribuzioni a NOME COGNOME, con decorrenza dal 17.8.2002.
In ordine all’eccezione preliminare relativa all’inesistenza della procura dell’AVV_NOTAIO, difensore del Comune nel giudizio di appello, la Corte territoriale ha escluso l’applicabilità dell’art. 17 del d.lgs. n. 50/2016 ed ha ritenuto che l’operato dell’Amministrazione nell’affidamento dell’incarico difensivo sia qualificabile come appalto di servizi a cui debbano semmai applicarsi i pri ncipi di cui all’art. 4 del d. lgs. n. 50/2016; ha inoltre evidenziato che fino all’emanazione di un regolamen to che ne determini le concrete modalità di attuazione secondo criteri predeterminati, la violazione di tale disposizione non è sanzionata con la nullità dell’atto di delega oggetto di contestazione e che
tale nullità consegue all’inosservanza di una precisa regola piuttosto che ai criteri di massima elencati nella suddetta disposizione.
Il giudice di appello ha poi osservato che il suddetto regolamento era stato adottato con la direttiva n. 1861280 del 12.12.2017 e che sulla scorta di tale direttiva era stata emanata la D.D. del 3.3.2018 n. 127, integrata dalla successiva n. 60 del 21.3.2008; ha inoltre ritenuto che nel caso in esame la predisposizione della procedura selettiva avrebbe compromesso la tempestività del deposito dell’appello nel termine breve, in cadenza il 29 maggio 2016, a fronte dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 50/2016 in data 19 aprile 2016.
Ha comunque evidenziato che il Comune aveva agito nel rispetto dei principi di economicità, efficacia, proporzionalità, trasparenza, pubblicità ed imparzialità ed ha rilevato che il Comune aveva indebitamente trattenuto le somme a titolo di contribuzione previdenziale (dal 7.3.2001 al 31.12.2005) ed IRAP (sino al 2007) sui compensi professionali corrisposti, avendo applicato il termine di prescrizione dei crediti retributivi.
Per quanto attiene alla posizione degli AVV_NOTAIO COGNOME AVV_NOTAIO COGNOME, ha rilevato la produzione di una lettera di costituzione in mora del 15.6.2006 e di una successiva del 31.10.2012 ed ha escluso la valenza interruttiva della precedente sentenza passata in giudicato avente ad oggetto crediti pregressi (anni 2001-2004); ha inoltre evidenziato due atti interruttivi del 27.12.2006 e del 19.10.2012 da parte del l’AVV_NOTAIO.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME ha proposto ricorso affidato a quattro motivi.
Avverso la medesima sentenza NOME COGNOME e NOME COGNOME hanno proposto successivo ricorso affidato a sei motivi.
Il Comune di Palermo, NOME COGNOME e NOME COGNOME sono rimasti intimati.
DIRITTO
Va preliminarmente ricordato il consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, fermo restando che tale modalità non è essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale (Cass. SU 20 ottobre 2017, n. 24876; Cass. 17 febbraio 2004, n. 3004; Cass. 13 dicembre 2011, n. 26723; Cass. 4 dicembre 2014, n. 25662).
Nella specie, considerato che entrambi i ricorsi sono stati notificati in data 9.11.2018, deve essere considerato principale il ricorso proposto da NOME COGNOME (RGN 32924/2018), in quanto risulta depositato il 13.11.2018, e dunque anteriormente al ricorso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME, depositato in data 26.11.2018, che va quindi considerato incidentale.
Ciò premesso, osserva il Collegio che la sentenza qui impugnata della Corte di Appello di Palermo è passata in giudicato nei confronti di tutti i lavoratori che non hanno proposto ricorso per cassazione.
Sussiste infatti un litisconsorzio facoltativo, dovuto alla riunione dei giudizi da parte del giudice di primo grado.
Deve in proposito rammentarsi che la notificazione dell’impugnazione a parti diverse da quelle dalle quali o contro le quali è stata proposta ai sensi dell’art. 332 c.p.c. non ha la stessa natura della notificazione prevista dall’art. 331 c.p.c., relativo all’integrazione del contraddittorio in cause inscindibili in quanto, mentre in tale ultima norma si tratta di una vocatio in ius per integrare il contraddittorio, nell’ipotesi di cause scindibili detta notificazione integra soltanto una litis denuntiatio , allo scopo di avvertire coloro che hanno partecipato al giudizio della necessità di proporre le impugnazioni, che non siano già precluse o escluse, nel processo instaurato con l’impugnazione principale (Cass. n.7031/2020, che richiama Cass. n.3858/1983)
Pertanto, in caso di omissione dell’indicata notificazione (ordinata o meno dal giudice) si produce l’unico effetto per cui il processo, per facilitare l’ingresso dell’eventuale interveniente, è da ritenere in situazione di stasi e di quiescenza e la sentenza non può essere utilmente emessa fino alla decorrenza dei termini stabiliti dagli artt. 325 e 327 c.p.c. (Cass. n.7031/2020; Cass. n. 9080/2013 e Cass. n. 3858/1983).
Nel caso di specie il termine ‘lungo’ di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza di appello avverso la quale è stato proposto ricorso in cassazione è ampiamente decorso, sicché non si prospetta la necessità di ordinare ex art. 332 c.p.c. la notifica nei confronti dei lavoratori che non hanno proposto ricorso per cassazione.
Con il primo motivo, il ricorso proposto da NOME COGNOME si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 2946 e 2948 cod. civ., come con il secondo motivo proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME, con il quale di deduce altresì la violazione e falsa applicazione dell’art. 2033 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Il secondo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME denuncia i noltre la violazione dell’art. 2033 e dell’art. 2946 cod. civ. ; il secondo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME denuncia la violazione e la falsa applicazione delle medesime norme, nonché dell’art. 2948 cod. civ.
I motivi sostengono che il diritto alla percezione dei compensi professionali sui quali l’Amministrazione ha fatto illegittimamente gravare gli importi del CPDEL e dell’IRAP non dipende dal mero decorso del tempo, ma ha carattere eventuale ed aleatorio, in quanto dipende dall ‘esito favorevole della causa e dall’effettivo recupero degli onorari e dei diritti liquidati dal giudice; aggiungono che i suddetti compensi sono assimilabili a quelli incentivanti o per lavoro straordinario.
Argomentano che il credito azionato ha carattere restitutorio e non retributivo, in quanto riguarda un indebito oggettivo; sostengono che ai suddetti compensi debba applicarsi il termine di prescrizione decennale.
5 . Con il terzo motivo, entrambi i ricorsi deducono la violazione dell’art. 112 cod. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Evidenziano che la domanda dei ricorrenti era volta ad ottenere la restituzione di quanto indebitamente trattenuto dall’Amministrazione sui compensi professionali spettanti, esulando dal giudizio qualunque rivendicazione di carattere retributivo; lamentano pertanto che la sentenza impugnata ha violato il principio di necessaria corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
Il quarto motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME denuncia la violazione dell’art. 91 cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., essendo la soccombenza della ricorrente derivata dal fatto che il giudizio di appello non è stato deciso secondo diritto.
Con il primo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME si denuncia la violazione e la falsa applicazione degli artt. 4 e 17 del d. lgs. n. 50/2016 in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3 cod. proc. civ., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto che il Comune abbia rispettato i principi di economicità, efficacia e proporzionalità, nonché dei principi di trasparenza, pubblicità ed imparzialità dell’azione amministrativa.
Si lamenta la contraddittorietà della sentenza impugnata e si contesta che l’urgenza del Comune di costituirsi nel termine breve non poteva giustificare l’affidamento diretto dell’incarico, in quanto il Comune doveva attenersi ad un criterio di rotazione e motivare dettagliatamente la scelta.
Si evidenzia il riconoscimento, da parte della sentenza impugnata, della circostanza che il Comune si era tardivamente uniformato alla normativa in questione, solo con la Direttiva n. 1861280 del 12.12.2017.
Con il quarto motivo, il ricorso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 2033 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ.
Lamenta la violazione del giudicato esterno costituito dalle sentenze nn. 879/2012 e 838/2012, con cui la Corte territoriale, disapplicando l’art. 8, comma 3, del contratto integrativo decentrato, aveva ritenuto l’illegittimità delle determinazioni dirigenziali che avevano posto a carico degli AVV_NOTAIO comunali
tanto la quota parte di contributo previdenziale a carico dell’ente (23,80%) che l’IRAP (8,50%).
Con il quinto motivo, il ricorso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 2935, 2943, comma primo, 2945, commi primo e secondo, 2953 e 2999 cod. civ., in relazione all’art. 360, comma primo, n. 3, cod. proc. civ., nonché l’omesso esame di un fatto decisivo in relazione all’art. 360, comma primo, n. 5, cod. proc. civ.
Sostiene che la statuizione della sentenza impugnata relativa all’eccezione di prescrizione proposta dal Comune non ha tenuto conto dei giudicati costituiti dalle sentenze nn. 879/2012 e 838/2012, favorevoli ai ricorrenti, che erano parti in quei giudizi.
Aggiunge che fino al passaggio in giudicato delle suddette sentenze, non sussisteva il diritto dei ricorrenti COGNOME e COGNOME ad ottenere la restituzione delle somme trattenute dal Comune, in quanto le suddette trattenute erano state effettuate in applicazione di una norma pattizia, poi disapplicata dalla Corte territoriale solo nei confronti dei medesimi ricorrenti.
Denuncia inoltre l’erroneità della statuizione della sentenza impugnata, che non ha riconosciuto la valenza interruttiva del termine di prescrizione alla sentenza passata in giudicato ed avente ad oggetto i crediti pregressi.
Il sesto motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME denuncia la violazione degli artt. 91, 92 e 112 cod. proc. civ., evidenziando che a fronte dell’esito complessivo della lite, sarebbe stato equo disporre la compensazione delle spese del giudizio.
Per ragioni logiche, il primo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME va trattato per primo.
Il motivo è inammissibile, in quanto deduce il carattere contraddittorio e non convincente della motivazione.
Infatti, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta
circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, sesto comma, Cost., individuabile nelle ipotesi -che si convertono in violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza- di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, mentre al di fuori di tali ipotesi il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 7090 del 03/03/2022; Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 22598 del 25/09/2018; Cass. Sez. 3 – Sentenza n. 23940 del 12/10/2017).
Inoltre il motivo non coglie le rationes decidendi della sentenza impugnata, la quale ha ritenuto inapplicabile l’art. 17 del d.lgs. n. 50/2016 , in quanto il patrocinio legale costituisce un appalto di servizi escluso dall’ambito di applicazione del suddetto decreto; ha poi affermato che fino all’emanazione di un regolamento che ne determini le concrete modalità di attuazione secondo criteri predeterminati, la violazione dell’art. 4 non è sanzionata con la nullità dell’atto di delega, la quale consegu e all’inosservanza di una precisa regola piuttosto che ai criteri di massima elencati nella suddetta disposizione.
Deve poi rilevarsi che il motivo non spende alcuna argomentazione per censurare le statuizioni della sentenza impugnata con le quali sono stati ritenuti rispettati i principi di economicità, efficacia e proporzionalità, valorizzando l’esiguità dell’importo stanziato ai fini del compenso legale esterno, la pregressa difesa del Comune da parte dell’AVV_NOTAIO nel giudizio di primo grado e la circostanza che l’affidamento dell’incarico di impugnare la statuizione favorevole ai dipendenti era l’unico rimedio utile per contrastare le pretese economiche oggetto di condanna.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, qualora la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazio ne di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva
l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso potrebbe produrre l’annullamento della sentenza (Cass. n. 17182/2020; Cass. n.10815/2019; Cass. n. 7499/2019; Cass. n. 15399/2018; Cass. 9752/2017; Cass. n. 2108/2012 e Cass. n. 22753/2011).
11. il primo, il secondo ed il terzo motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME, nonché il secondo, il terzo, il quarto ed il quinto motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME, che per ragioni logiche vanno trattati congiuntamente, sono fondati.
Va infatti rilevato che dalla sentenza impugnata non si evince con chiarezza rispetto a quali periodi i ricorrenti hanno chiesto la corresponsione della contribuzione previdenziale e dell’IR AP, in quanto illegittimamente trattenute sui loro compensi professionali da parte del Comune di Palermo.
Dalla sentenza impugnata (pag. 8) risulta infatti che le pretese ineriscono alle somme trattenute dal Comune ‘per oneri previdenziali (dal 7.03.2001 al 31.12.2005) e Irap (sino al 2007)’ e che rispetto alle posizioni dei ricorrenti COGNOME e COGNOME non può ‘ attribuirsi valore di atto interruttivo alla precedente sentenza passata in giudicato avente ad oggetto crediti pregressi (anni 20012004)’.
Considerato che la sentenza impugnata si riferisce a ‘crediti pregressi (anni 2001-2004) ‘ , non si comprende quale sia l’esatto termine di paragone dell’aggettivo ‘pregressi’, che sul piano testuale non è del tutto coerente con il riferimento temporale al periodo dal 7.3.2001 al 31.12.2005; inoltre non è dato comprenderne appieno la coerenza rispetto al periodo ‘sino al 2007’, non essendo stata indicata la decorrenza iniziale delle trattenute IRAP.
Dalla sentenza impugnata non risulta con certezza la decorrenza iniziale e finale del credito azionato dai ricorrenti in relazione alla restituzione dell’IRAP, né si comprende con chiarezza l’esatta natura degli oneri previdenziali.
Non risulta inoltre la cadenza con la quale ai ricorrenti sono state liquidate le competenze professionali cui ineriscono le trattenute oggetto di causa, né si comprende se ed in quale misura le pretese azionate dai ricorrenti COGNOME e COGNOME nel presente giudizio coincidono con quelle oggetto del giudicato
menzionato (di tale sentenza non risultano peraltro la data, il numero, né lo specifico contenuto).
Va peraltro evidenziato che i ricorrenti COGNOME e COGNOME nel ricorso per cassazione hanno dedotto di avere agito per l’esecuzione dei giudicati costituiti dalle sentenze nn. 879/2012 e 838/2012 della Corte di Appello di Palermo (hanno dunque fondato le rispettive domande su due giudicati), e di avere richiesto in questo giudizio la restituzione delle somme illegittimamente trattenute dall’amministrazione sui compensi professionali corrisposti nel periodo 2005-2009, periodo che non sembra coincidere con quello indicato nella sentenza impugnata.
Considerate le previsioni dell’art. 2946 cod. civ. secondo cui, salvi i casi in cui la legge dispone diversamente, i diritti si estinguono per prescrizione con il decorso di dieci anni, e dell’art. 2948 n. 4) cod. civ., secondo cui si prescrivono in cinque anni gli interessi e, in generale, tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi, la cadenza della corresponsione delle competenze professionali risulta dirimente ai fini della determinazione del termine di prescrizione.
Ai fini del calcolo del termine di prescrizione non può inoltre prescindersi dall’esatto accertamento dei periodi in cui sono state operate le trattenute sui loro compensi professionali da parte del Comune di Palermo.
Rispetto alle posizioni dei ricorrenti COGNOME e COGNOME, la sentenza impugnata fa riferimento ad un giudicato di cui non riporta gli estremi né l’esatto contenuto.
Deve pertanto essere verificata la sussistenza dei presupposti per l’applicazione del termine decennale di prescrizione dell”actio iudicati’ di cui all’art. 2953 cod. civ., e per l’applicazione del principio secondo cui qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l’accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto
accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il “petitum” del primo (v. Cass. n. 6150/2007; Cass. n. 10623/2009; Cass. n. 18381/2009; Cass. n. 8650/2010 e Cass. n. 25269/2016).
La sentenza impugnata, non avendo precisato i periodi rispetto ai quali ricorrenti hanno chiesto la corresponsione della contribuzione previdenziale e dell’IRAP , e non avendo specificato l’e satta natura degli oneri previdenziali, né la cadenza con la quale ai ricorrenti sono state liquidate le competenze professionali cui ineriscono le trattenute oggetto di causa, e non avendo inoltre riportato gli estremi del giudicato (data, numero e specifico contenuto), non consente la corretta applicazione alla fattispecie delle norme in tema di prescrizione e di giudicato.
La sentenza impugnata va pertanto cassata in relazione ai motivi accolti, con rinvio anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Il quarto motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME e il sesto motivo del ricorso proposto da NOME COGNOME e NOME COGNOME devono pertanto ritenersi assorbiti.
P.Q.M.
La Corte accoglie i primi tre motivi del ricorso principale, assorbito il quarto, e dichiara inammissibile il primo motivo del ricorso incidentale, accoglie i motivi dal secondo al quinto e dichiara assorbito il sesto motivo del ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in reazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale del 23 gennaio 2024.