Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 18695 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 18695 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 09/07/2024
danno e sulla prova di esso, oltre che violazione e falsa applicazione dell’art. 32, co. 5 e 7 della L. n. 183 del 2010;
con esso si assume che non vi sarebbe stata prova di alcun illecito commesso nei riguardi del personale in causa, essendo stata osservata la disciplina di tempo in tempo vigente sulle assunzioni dei supplenti e si sottolinea come gli oneri probatori del danno subito fossero comunque a carico del lavoratore, non potendosi applicare, con finalità sanzionatorie sconosciute all’ordinamento, la misura di cui all’art. 32, co. 5, della L. n. 183 del 2010;
anche tale motivo è manifestamente infondato, perché la giurisprudenza di questa S.C. ha chiarito, con indirizzo consolidato, che in materia di pubblico impiego privatizzato, nell’ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine, la misura risarcitoria prevista dall’art. 36, comma 5, del d.lgs. n. 165 del 2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso – siccome incongruo – il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all’art. 32, comma 5, della l. n. 183 del 2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come “danno comunitario”, determinato tra un minimo ed un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto, senza che ne derivi una posizione di
favore del lavoratore privato rispetto al dipendente pubblico, atteso che, per il primo, l’indennità forfetizzata limita il danno risarcibile, per il secondo, invece, agevola l’onere probatorio del danno subito (Cass., S.U., 15 marzo 2016, n. 5072, i cui principi sono stati poi estesi al settore scolastico da Cass. 22552/2016 cit.);
3.
il terzo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.c. e con esso si assume che la Corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che i crediti fossero soggetti a prescrizione decennale in quanto, avendo essi natura retributiva, la prescrizione era quinquennale;
il motivo è fondato;
è infatti consolidato il principio per cui nell’impiego pubblico contrattualizzato, la domanda con la quale il dipendente assunto a tempo determinato, invocando il principio di non discriminazione nelle condizioni di impiego, rivendica il medesimo trattamento retributivo previsto per l’assunto a tempo indeterminato soggiace al termine quinquennale di prescrizione previsto dall’art. 2948 nn. 4 e 5 c.c., il quale decorre, anche in caso di illegittimità del termine apposto ai contratti, per i crediti che sorgono nel corso del rapporto lavorativo dal giorno della loro insorgenza, e, per quelli che maturano alla cessazione del rapporto, a partire da tale momento (Cass. 28 maggio 2020, n. 10219 ed altre successive sempre conformi);
si tratta di un orientamento fatto proprio dalle Sezioni Unite di questa Corte le quali, con la recente pronuncia n. 36197 del 28 dicembre 2023, hanno affermato che « La prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato – sia nei rapporti a tempo indeterminato, sia in quelli a tempo determinato, e anche in caso successione di contratti a termine decorre, per i crediti che nascono nel corso del rapporto lavorativo, dal giorno della loro insorgenza e, per quelli che maturano alla
cessazione, a partire da tale data, perché non è configurabile un “metus” del cittadino verso la pubblica amministrazione e poiché, nei rapporti a tempo determinato, il mancato rinnovo del contratto integra un’apprensione che costituisce una mera aspettativa di fatto, non giustiziabile per la sua irrilevanza giuridica»;
4.
il ricorso va dunque accolto, limitatamente al terzo motivo, con cassazione della sentenza e rinvio della causa alla medesima Corte d’Appello affinché, in diversa composizione, la definisc a in osservanza del principio suesposto in punto prescrizione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il terzo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma nell’adunanza camerale del 4.4.2024.