Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 11122 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 11122 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 28/04/2025
ORDINANZA
sul ricorso n. 2922/2024 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE Bradano RAGIONE_SOCIALE Metaponto in liquidazione, in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, INDIRIZZO
-ricorrente –
contro
NOME COGNOME e NOME COGNOME rappresentati e difesi dall’Avv. NOME COGNOME ed elettivamente domiciliato in Roma, presso la Cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;
-controricorrenti e ricorrenti incidentali-
avverso la SENTENZA della Corte d’appello di Potenza n. 136/2023 pubblicata il 24 luglio 2023.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 20 marzo 2025 dal Consigliere NOME COGNOME
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
NOME COGNOME e NOME COGNOME con due distinti ricorsi per decreto ingiuntivo innanzi al Tribunale di Matera, hanno esposto che:
erano stati dipendenti del RAGIONE_SOCIALE Bradano e Metaponto sino al 31 dicembre 2017;
con verbale di accordo dell’8 marzo 1989 tra l’ente e le rappresentanze sindacali si era convenuto di riconoscere, a decorrere dal 1° aprile 1989, un aumento nella misura del 10% sui minimi tabellari non riassorbibile;
con precedente verbale di accordo del 13 dicembre 1988 si era stabilito il conglobamento nei minimi tabellari di stipendio vigenti anche dell’indennità integrativa e dell’ISTAT al 3%, contrattualmente previsti quali elementi distinti della retribuzione;
pertanto, la percentuale del 10% di cui all’accordo dell’8 marzo 1989 era calcolata e contabilizzata sui minimi contrattuali, includendo nella base di calcolo anche l’ISTAT al 3% e l’indennità integrativa;
a decorrere dal 1° gennaio 2006 e in forza dell’art. 64 del CCNL del 2005 Consorzi di Bonifica e miglioramento fondiario la percentuale di aumento del 10% in questione avrebbe dovuto essere riconosciuta anche su ulteriori elementi della retribuzione conglobati nei minimi tariffari in base al citato art. 64, ossia sull’indennità di contingenza e sull’EDR ;
contro
parte non aveva, però, adeguato l’importo corrisposto.
I ricorrenti hanno chiesto, quindi, l’emissione di decreti ingiuntivi per la somma di € 8.672,16 ciascuno, a titolo di differenza per conglobamento di contingenza ed EDR per il periodo da gennaio 2006 a dicembre 2017.
Il Consorzio di Bonifica di Bradano e Metaponto ha proposto opposizione contro i decreti ingiuntivi.
Tali decreti sono stati concessi.
Il Tribunale di Matera, nel contraddittorio delle parti, con sentenze n. 150 e n. 151 del 2021, ha revocato i decreti ingiuntivi e condannato il Consorzio di Bonifica di Bradano e Metaponto a pagare ai ricorrenti le somme richieste a decorrere dal 18 luglio 2012, ritenendo i loro crediti prescritti per il periodo precedente.
I lavoratori hanno proposto distinti appelli, al fine di ottenere il pagamento delle somme richieste anche per il periodo anteriore al 18 luglio 2012.
Il Consorzio di Bonifica di Bradano e Metaponto si è costituito e ha proposto appello incidentale in entrambi i giudizi.
La Corte d’appello di Potenza, riuniti gli appelli, con sentenza n. 136/2023, ha accolto in parte gli appelli principali, stabilendo che fosse pagata ai lavoratori, oltre alla somma già stabilità in primo grado, la maggiorazione del 10% sull’indennità di contingenza dal 1° gennaio 2006, e ha rigettato gli appelli incidentali.
Il Consorzio di Bonifica di Bradano e Metaponto ha proposto ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
NOME COGNOME e NOME COGNOME si sono difesi con controricorso e hanno presentato ricorso incidentale fondato su un motivo.
Le parti hanno depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il Consorzio RAGIONE_SOCIALE Bradano e Metaponto lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e 1219, 1324, 1362 e 2943 c.c., con particolare riferimento al criterio interpretativo letterale.
Ad avviso di parte ricorrente, la corte territoriale avrebbe errato ad affermare che le missive inviate l’11 novembre 2010 e il 9 ottobre 2015 fossero idonee a produrre l’effetto interruttivo della prescrizione, nonostante mancasse un’espressa intimazione di pagamento.
La censura è inammissibile.
La S.C. ha già chiarito che, al fine di produrre effetti interruttivi della prescrizione, un atto deve contenere, oltre alla chiara indicazione del soggetto
obbligato (elemento soggettivo), l’esplicitazione di una pretesa e l’intimazione o la richiesta scritta di adempimento, idonea a manifestare l’inequivocabile volontà del titolare del credito di fare valere il proprio diritto, con l’effetto sostanziale di costituire in mora il soggetto indicato (elemento oggettivo). La valutazione circa la ricorrenza di tali presupposti – il secondo dei quali, pur richiedendo la forma scritta, non postula l’uso di formule solenni, né l’osservanza di particolari adempimenti è rimesso all’accertamento di fatto del giudice di merito ed è, pertanto, del tutto sottratto al sindacato di legittimità (Cass., Sez. 2, n. 15140 del 31 maggio 2021).
Nella specie, vi è stato tale accertamento che, quindi, non è in questa sede sindacabile.
Peraltro, si evidenzia che, se è possibile contestare in sede di legittimità l’interpretazione di uno o più documenti da parte del giudice del merito, ciò deve avvenire senza limitarsi a prospettare una mera interpretazione alternativa, fra quelle possibili, come, invece, nella presente controversia, è avvenuto (Cass., Sez. L, n. 18214 del 3 luglio 2024).
Infatti, in tema di ermeneutica contrattuale, l’accertamento della volontà delle parti in relazione al contenuto del negozio si traduce in una indagine di fatto, affidata al giudice di merito e censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali d’interpretazione contrattuale di cui agli artt. 1362 e seguenti c.c. Nel prospettare la censura, il ricorrente per cassazione deve, però, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione che assume essere state violate, ma è tenuto, altresì, a precisare in quale modo il giudice del merito si sia discostato dai richiamati canoni, in mancanza ridondando la richiesta in una inammissibile istanza di rivalutazione del contenuto del documento.
Alla luce di quanto innanzi, osserva il Collegio, quella che è richiesta con la prima censura è solo una mera ed inammissibile rivalutazione delle prove documentali versate in atti e, nello specifico, degli atti qualificati, nella sentenza di appello, come interruttivi della prescrizione.
In aggiunta a ciò, si sottolinea che la parte ricorrente principale si è limitata, nella sostanza, a prospettare l’assenza dell’intimazione di pagamento nei citati
documenti, nulla di specifico argomentando in ordine alle ulteriori considerazioni del giudice di secondo grado, concernenti il richiamo dell’istituto della prescrizione e dell’effetto interruttivo della stessa ‘connesso alla richiesta di cui si discute’.
Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2934, 2935, 2941 e 2948 c.c. in quanto la corte territoriale avrebbe errato nel ritenere che, dall’entrata in vigore della legge Fornero, ossia dal 18 luglio 2012, la tutela reale di cui beneficiavano i rapporti di lavoro con i dipendenti delle aziende che rispettavano il c.d. requisito dimensionale sarebbe stata depotenziata, con conseguente sospensione della prescrizione dei diritti connessi all’attività opera tiva.
La censura è inammissibile.
Infatti, non contesta la motivazione della sentenza di appello in relazione alla implicita qualificazione del rapporto di lavoro con il Consorzio come rapporto di lavoro privato non disciplinato dal d.lgs. n. 165 del 2001, cui è conseguita l’applicazione del conseguente regime prescrizionale.
Il mezzo, per come proposto, inoltre, non nega la ricostruzione dell’istituto della prescrizione offerta nella sentenza gravata, limitandosi a respingere la tesi che essa, pur nelle imprese con più di 15 dipendenti, sia interrotta in ragione dell’introduzione della legge cd. Fornero .
I l motivo è, allora, inammissibile, ai sensi dell’art. 360 bis c.p.c., in quanto il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Suprema Corte e l’esame del motivo non offre elementi per mutare l’orientamento espresso dal giudice di legittimità.
Al riguardo, il giudice di legittimità ha chiarito, con la sentenza di questa sezione n. 26246 del 6 settembre 2022, che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della legge n. 92 del 2012 e del d.lgs. n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012, il termine di prescrizione
decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro.
A detti insegnamenti si è pienamente conformata la pronunzia di appello, con la conseguenza che, come innanzi detto, il motivo è inammissibile.
3) Con l’unico motivo di ricorso incidentale i lavoratori lamentano la violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., degli artt. 2934, 2935, 2941 e 2948 c.c.; l’illegittimità della pronunzia di estinzione per prescrizione dei crediti retributivi maturati in costanza di rapporto alle dipendenze di soggetti datoriali in possesso del requisito dimensionale previsto dall’art. 18, legge n. 300 del 1970, precedentemente all’entrata in vigore della legge n. 92 del 2012 e non ancora prescritti a tale data – 18 luglio 2012 – con salvezza delle sole poste creditorie maturate successivamente.
Essi si dolgono che la corte territoriale abbia ritenuto di riconoscere l’effetto interruttivo delle missive solo ed esclusivamente in ordine all’aumento del 10% sull’indennità di contingenza, escludendolo per le restanti poste creditorie, ritenute non prescritte solo quelle maturate dalla data di entrata in vigore della legge n. 92 del 2012.
La censura è inammissibile.
Infatti, sotto lo schermo solo apparente della violazione di legge, i ricorrenti incidentali non pongono un problema relativo alla violazione e/o falsa applicazione delle norme sulla prescrizione (artt. 2934, 2935, 2941 e 2948 c.c.), richiamate congiuntamente all’art. 18 St. Lav. ed alle modifiche della c.d. legge Fornero, ma chiedono, in realtà, un riesame dei documenti da essi versati in atti, ritenuti dalla Corte di Appello di Potenza idonei ad interrompere la prescrizione con riguardo alla sola indennità di contingenza, proponendone una lettura più ampia e comprensiva anche degli altri emolumenti richiesti.
Ne consegue che, qui richiamato tutto quanto già innanzi illustrato, il mezzo è inammissibile, perché non deduce la violazione, nei modi prima esplicitati, dei canoni ermeneutici, ma, nella sostanza, domanda il riesame degli atti interruttivi della prescrizione, postulando che questa Suprema Corte possa operarne una rivalutazione, al fine di affermare che anche per i citati ulteriori emolumenti
oggetto del ricorso per decreto ingiuntivo detti atti erano idonei ad interrompere la prescrizione.
Conclusivamente, vanno dichiarati inammissibili il ricorso principale e quello incidentale.
Stante l’inammissibilità sia del ricorso principale sia di quello incidentale vanno compensate integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002 si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della P.A. ricorrente e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte,
dichiara inammissibili il ricorso principale e quello incidentale;
compensa fra le parti le spese di lite;
-ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della P.A. ricorrente e dei ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della IV Sezione Civile, il 20