Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 19149 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 19149 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data pubblicazione: 12/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso 11105-2020 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE SARDEGNA RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 260/2019 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI, depositata il 20/12/2019 R.G.N. 119/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/05/2025 dal Consigliere Dott. NOME COGNOME.
Oggetto
Prescrizione di crediti di lavoro
R.G.N.11105/2020
COGNOME
Rep.
Ud. 27/05/2025
CC
FATTI DI CAUSA
Con la sentenza in epigrafe indicata la Corte d’appello di Cagliari rigettava l’appello proposto da NOME COGNOME contro la sentenza del Tribunale di Oristano n. 120/2018, che aveva accolto l’opposizione della FAI CISL e per l’effetto aveva revocato il decreto n. 85/2015, con il quale era stato ingiunto ad essa il pagamento in favore del COGNOME del complessivo importo di € 51.979,00, a titolo di: a) trattamento di fine mandato; b) indennità di cessata carica, in relazione al suo incarico di segretario territoriale della FAI-CISL territoriale, ricoperto dal dicembre 1985 al maggio 2004.
Per quanto qui interessa, la Corte territoriale, circa il primo motivo d’appello, premetteva essere pacifico che la carica in capo al COGNOME di segretario della FAI territoriale di Oristano era cessata il 31 maggio 2004, sicché con essa era venuto meno anche il rapporto di lavoro -dipendente o parasubordinato che fosse -intercorso tra le parti in causa, che valeva a rendere applicabile il termine di prescrizione quinquennale alle due indennità oggetto di causa, le quali costituivano emolumenti finali del rapporto di lavoro.
Quanto al secondo motivo, la Corte rilevava che in effetti risultava documentalmente che nel bilancio consuntivo della FAI per l’anno 2004 era stato inserito un debito verso COGNOME a titolo di emolumenti ex artt. 10 e 12 del Regolamento interno; tuttavia, considerava che la lettera consegnata a mano da COGNOME, a tale NOME COGNOME per sollecitare il pagamento delle sue spettanze era datata 15 aprile 2010, quindi oltre il quinquennio dalla loro insorgenza, come tale inidonea ad interrompere la prescrizione ormai maturata, a tacere del fatto che era
indirizzata alla UST e non alla FAI-CISL, vale a dire, a soggetto diverso dal debitore.
Quanto, infine, al terzo motivo, la Corte, pur concordando con l’appellante sul fatto che l’allegato al ‘verbale di passaggio di consegne’ redatto congiuntamente dalle parti il 30 settembre 2004 era una vera e propria transazione, osservava che si trattava di transazione c.d. conservativa, perché le somme che la RAGIONE_SOCIALE si era impegnata a pagare a Patta erano sempre compensi per l’attività svolta, previsti dal regolamento sul trattamento economico dei dirigenti CISL, semplicemente rideterminati nell’ammontar e, sicché quell’atto non valeva a spostare in avanti il dies a quo del termine prescrizionale.
Avverso tale decisione NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi.
Resiste l’intimato con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo articolato motivo il ricorrente denuncia ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio’.
1.1. Deduce: ‘omesso ed erroneo esame della qualificazione giuridica del rapporto associativo intercorso tra il ricorrente ed il sindacato RAGIONE_SOCIALE di Oristano’. Assume che ‘la sentenza impugnata ha errato nel non aver dato la corretta qualificazione giuridica al rapporto intercorso tra il sig. COGNOME e la RAGIONE_SOCIALE di Oristano dal 4.12.1985 al 31.5.2004,
periodo nel quale lo stesso ha ricoperto in maniera continuativa l’incarico elettivo di segretario generale della predetta federazione di categoria. La Corte di Appello ha infatti erroneamente confuso il rapporto di tipo lavoristico intercorso tra il COGNOME ed il proprio datore di lavoro, ossia l’Ente Foreste della Sardegna, con l’altro e diverso rapporto di tipo associativo, intercorso con la FAI-CISL di Oristano quale semplice delegato sindacale aziendale prima e poi, dal 4.12.1985, come segretario general e della detta federazione di categoria. L’aver omesso la suddetta differenziazione di rapporto di lavoro da un lato e privatoassociativo dall’altro, ha portato erroneamente la Corte di Appello a ritenere che il COGNOME fosse un lavoratore dipendente della FAI-CISL di Oristano, e che tra gli stessi, senza specificare né come né quando, si fosse instaurato un rapporto di lavoro di tipo dipendente o parasubordinato che invece non è mai esistito’.
1.2. La seconda censura del medesimo primo motivo è rubricata ‘omesso ed erroneo esame circa l’effettivo fondamento giuridico e natura dei crediti vantati dal ricorrente avverso la RAGIONE_SOCIALE di Oristano’. Deduce il ricorrente che ‘In conseguenza del primo errore, la Corte di Appello ha conseguentemente omesso di inda gare e verificare l’effettiva e corretta natura dei crediti rivendicati dal Patta in giudizio’.
Con un secondo motivo denuncia ‘Violazione e falsa applicazione di norme di diritto’. Deduce in particolare ‘falsa ed erronea applicazione della prescrizione quinquennale ex art. 2948 n. 5 cod. civ. in luogo di quella ordinaria decennale ex art. 2946 co d. civ.’. Deduce che < >.
Con un terzo motivo denuncia ‘Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio’. Deduce in particolare: ‘Omessa considerazione dell’interruzione del decorso della prescrizione decennale a mezzo della lettera racc. r.r. dell’Avv. COGNOME, ricevuta dalla FAICISL di Oristano il 16.7.2014′.
Tutti i motivi di ricorso sono inammissibili.
Occorre ricordare che, per le Sezioni unite di questa Corte, il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifiche censure riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad uno dei cinque motivi di impugnazione previsti dall’art. 360, com ma 1, c.p.c., sicché, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di uno dei predetti motivi, è indispensabile che le censure individuino con chiarezza i vizi prospettati, tra quelli inquadrabili nella tassativa griglia normativa (in tal senso Cass., sez. un., 8.11.2021, n. 32415).
Ebbene, rileva preliminarmente il Collegio che tutti i motivi non fanno esplicito riferimento ad alcuna delle ipotesi di cui all’art. 360, comma primo, c.p.c.
Con precipuo riferimento, poi, al primo motivo di ricorso, in entrambe le sue articolazioni, nella rubrica ‘generale’ dello stesso si fa riferimento ad ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio’, ossia al vizio di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c.
7.1. In questa chiave di lettura la censura s’imbatterebbe nella preclusione di cui all’art. 348 ter, comma quinto, c.p.c. in caso di c.d. doppia conforme, che indubbiamente ricorre nella specie, avendo la Corte territoriale integralmente confermato la sentenza di primo grado.
In realtà, come già risulta dai ‘titoli’ delle due censure in cui si articola il primo motivo e, meglio, dal loro svolgimento (cfr. pagg. 7-13 del ricorso), il ricorrente non deduce alcun omesso esame circa un fatto storico, principale o secondario, decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.
Piuttosto, il ricorrente addebita alla Corte distrettuale un’errata qualificazione giuridica del rapporto intercorso tra le parti, a suo dire, non lavorativo, ma associativo, e quindi della natura dei crediti da lui rivendicati, sempre secondo l’attuale su a prospettazione (inammissibile perché nuova: v. infra ), non di natura retributiva.
Trattasi, cioè, di pretesi errori giuridici di sussunzione che dovevano, in ipotesi, essere fatti valere con mezzo di ricorso diverso da quello di cui all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c., e, per la precisione, con quello di cui al n. 3) del medesimo comma.
Tuttavia, il ricorrente nello sviluppo del primo motivo neppure indica le norme di diritto che sarebbero state violate o falsamente applicate dalla Corte d’appello, tali ovviamente non potendo reputarsi le norme statutarie e di regolamento interno del sindacato cui il ricorrente pure si riferisce. Si tratta, infatti, di regole interne ad associazione non riconosciuta di natura privata e quindi negoziale, neanche riconducibili alla ben diversa ipotesi delle norme ‘dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro’.
Questa Corte ha già affermato che nel ricorso per cassazione, l’onere di specificità dei motivi, sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., impone al ricorrente che denunci il vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., a pena d’inammissibilità della censura, di indicare le norme di legge di cui intende lamentare la violazione, di esaminarne il contenuto precettivo e di raffrontarlo con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, che è tenuto espressamente a richiamare, al fine di dimostrare che queste ultime contrastano col precetto normativo, non potendosi demandare alla Corte il compito di individuare – con una ricerca esplorativa ufficiosa, che trascende le sue funzioni la norma violata o i punti della sentenza che si pongono in contrasto con essa (Cass. sez. un. n. 23745/2020). Inoltre il vizio di violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, comma 1, n. 3), c.p.c., giusta il disposto dell’art. 366, comma 1, n. 4), c.p.c., dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate, ma anche mediante la specifica indicazione delle affermazioni, contenute nella sentenza impugnata, che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie e con
l’interpretazione fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, così da prospettare criticamente una valutazione comparativa fra opposte soluzioni, non risultando altrimenti consentito alla S.C. di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. ord. n. 20870/2024).
Nel caso in esame tali oneri non sono stati adempiuti.
Parimenti inammissibile è il secondo motivo.
Detta censura, pur in difetto di espressa indicazione di parte, è riconducibile all’ipotesi della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma primo, n. 3), c.p.c.
Occorre, tuttavia, considerare che, secondo un consolidato indirizzo di legittimità, in materia di ricorso per cassazione i motivi, a pena di inammissibilità, devono investire questioni comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo ammissibili in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, fatta eccezione per le questioni rilevabili d’ufficio (così, ex plurimis , Cass. civ., sez. trib., 8.4.2022, n. 11468; id., sez. I, 2.9.2021, n. 23792). Inoltre, nel giudizio di cassazione è preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto o nuovi temi di contestazione che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni o temi non abbiano formato oggetto di gravame o di tempestiva e rituale contestazione nel giudizio di appello (così, ad es., Cass. civ., sez. lav., 27.8.2003, n. 12571).
Ebbene occorre ora sottolineare che, a quanto consta, mai il ricorrente aveva posto in grado d’appello (ma anche in primo grado) la questione, sottesa anche al motivo in esame, oltre che al precedente, che gli emolumenti da lui pretesi trovassero fondamento, non in un rapporto lavorativo, bensì in un suo rapporto associativo con il sindacato FAI-CISL.
Di tanto, peraltro, si trae conferma anche dai tre motivi del suo appello sui quali si è espressa la Corte di merito, che non riguardavano affatto detta questione (v. comunque in extenso facciate 3-5 della sentenza impugnata).
Dal canto suo, peraltro, la controricorrente ha evidenziato che sin dal ricorso per decreto ingiuntivo la pretesa creditoria del Patta si fondava sulla deduzione ‘ di aver prestato la sua attività lavorativa a favore della FAI-CISL, in qualità di Segretario Generale per la sede di Oristano dal 4 dicembre 1985 fino al 31 maggio 2004 ‘ (v. pag. 1 del controricorso) , sicché la causa petendi era rappresentata, appunto, da prestazioni lavorative.
E’, infine, inammissibile il terzo motivo.
Anche tale ultima censura, infatti, come il primo motivo, è impostata in termini di ‘omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio’. Valgono, quindi, i rilievi d’inammissibilità svolti in ordine al primo motivo.
Pure il terzo motivo, in realtà, imputa alla Corte territoriale, non già un omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, bensì un errore in punto di diritto nell’aver ritenuto applicabile al caso di specie la prescrizione breve quinquennale, piuttosto che
quella decennale, sicché la Corte non aveva annesso valore di utile interruzione del corso della prescrizione alla lettera racc.ta cui si riferisce il ricorrente.
A sua volta, l’assunto si basa sull’ulteriore rilievo che ‘La natura contrattuale’ della transazione di cui all’allegato al verbale di passaggio di consegne redatto congiuntamente dalle parti il 30.9.2004 ‘produce necessariamente l’effetto che a far data dalla sottoscrizione della stessa, avvenuta il 30.9.2004, inizia a decorrere il termine di prescrizione decennale del diritto di credito vantato dal Patta e riconosciuto dalla RAGIONE_SOCIALE‘.
15.1. Osserva, allora, il Collegio che tale censura, oltre che per le ragioni sopra richiamate, è inammissibile anche in un’ulteriore duplice chiave.
Da un lato, la dedotta erroneità dell’applicabilità del termine di prescrizione quinquennale si basa, come s’è visto nell’esaminare i precedenti motivi, sempre sulla nuova e quindi inammissibile -tesi che gli emolumenti rivendicati trovassero fondamento in un rapporto associativo, e non lavorativo.
Dall’altro lato, il ricorrente non si confronta con la parte di motivazionenella quale la Corte di merito ha sì riconosciuto che l’atto suddetto aveva natura di transazione, ma di transazione c.d. conservativa e, come tale, inidonea a determinare l’applica zione di un termine prescrizionale diverso da quello quinquennale, dalla stessa Corte ritenuto applicabile ab origine ai crediti lavorativi in questione.
Il ricorrente, in quanto soccombente, dev’essere condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle
spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, ed è tenuto al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così dec iso in Roma nell’adunanza camerale del 27.5.2025.