Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 21584 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 21584 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: TRICOMI IRENE
Data pubblicazione: 27/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 11606/2023 R.G. proposto da :
COGNOME, elettivamente domiciliato in ROMA INDIRIZZO presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME che la rappresenta e difende
-ricorrente-
contro
COMUNE DI MONTE SAN COGNOME, in persona del Sindaco pro tempore , rappresentato e difeso da ll’avvocato NOME COGNOME che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ROMA n. 4380/2022 depositata il 22/11/2022, RG 1076/2020.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 01/07/2025 dal Consigliere NOME COGNOME
FATTI DI CAUSA
NOME COGNOME ha adito il Tribunale di Frosinone deducendo la violazione della normativa in materia di lavori socialmente utili.
La lavoratrice ha prospettato che, in base agli specifici ordini di servizio ricevuti dall’Amministrazione del Comune di Monte San Giovanni Campano, aveva svolto sotto il potere direzionale e disciplinare dei dirigenti del settore di assegnazione le seguenti mansioni: impiegata presso l’ufficio tributi (sino al marzo 1997), l’ufficio urbanistica (sino ad ottobre 1997) e l’ufficio protocollo (tutte le estati dal 1997); aiuto cuoca presso il plesso scolastico Chiaiamari (sino al settembre 2003 e poi nuovamente dal settembre 2005 al giugno 2010), il plesso scolastico di Anitrella (da settembre 2003 a giugno 2005) e il plesso scolastico di Reggimento (da settembre 2006 a giugno 2009); addetta alle pulizie cimiteriali (tutte le estati dal 1997); impiegata press o l’ufficio tutela ambientale (dal 2011 in poi); operatrice ecologica (dal 19 agosto 2014).
Ha affermato di essere stata inserita stabilmente nell’organizzazione dell’Ente locale, così venendo disattesa la disciplina sul lavoro socialmente utile, con conseguente diritto all’applicazione dell’art. 2126, cod. civ., per l’ impiego protratto oltre il limite temporale massimo previsto dalla legge, per l’utilizzo finalizzato allo svolgimento di mansioni che rientravano nelle finalità istituzionali dell’Ente e con modalità affatto diverse da quelle dei
dipendent i ordinari, per l’uso prolungato in attività estranee al progetto originario.
Il Tribunale di Frosinone, accertata la violazione della normativa in materia di lavoro socialmente utile, ha dichiarato l’instaurazione, fra NOME COGNOME ed il Comune, di un rapporto di lavoro subordinato di fatto ai sensi dell’art. 2126, cod. civ., a decorrere dal luglio 1998 all’attualità, ed ha condannato il Comune al pagamento di euro 68.149,07 in favore della lavoratrice, a titolo di differenze retributive.
Il giudice di primo grado ha affermato che la prescrizione era sospesa durante l’esecuzione del rapporto di fatto , in quanto non assistito da garanzie di stabilità, disattendendo la relativa eccezione sollevata dal Comune.
La Corte d’Appello di Roma, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto dal Comune di Monte San Giovanni Campano, e in parziale riforma della sentenza appellata, confermata nel resto, ha condannato il suddetto Comune al pagamento della minor somma di euro 21.744,68 in favore di NOME COGNOME oltre interessi legali dalla maturazione al saldo.
La Corte territoriale ha applicato la prescrizione quinquennale, affermando che nella specie la stessa decorre in costanza di rapporto di lavoro, atteso che nel pubblico impiego in caso di utilizzazione da parte dell’Amministrazione di schemi contrattuali dissimulanti un rapporto di lavoro subordinato non è comunque ammissibile -così come invece avviene nel lavoro privatoprospettare il ‘ metus ‘ del datore di lavoro e quindi l’assenza della stabilità reale.
Per la cassazione della sentenza di appello ricorre NOME COGNOME prospettando un unico motivo di ricorso assistito da memoria.
Resiste il Comune con controricorso assistito da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso è prospettata la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2948, cod. civ., e di ogni altra norma e principio in materia di prescrizione di crediti retributivi. in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., pe r avere la Corte d’Appello affermato che la prescrizione per i crediti maturati dal lavoratore socialmente utile decorre in costanza di rapporto, assimilando illegittimamente la posizione del LSU a quella del lavoratore ordinario della PA.
2. Il motivo non è fondato.
Trovano applicazione i principi enunciati da questa Corte in analoga fattispecie con l’ordinanza n. 11622 del 30 aprile 2024 , in continuità con le statuizioni delle Sezioni Unite in materia
Ed infatti, le Sezioni Unite (Cass., S.U. n. 36197 del 2023) hanno affermato il principio per cui la prescrizione dei crediti retributivi dei lavoratori nel pubblico impiego contrattualizzato – sia nei rapporti a tempo indeterminato, sia in quelli a tempo determinato, e anche in caso successione di contratti a termine decorre, per i crediti che nascono nel corso del rapporto lavorativo, dal giorno della loro insorgenza e, per quelli che maturano alla cessazione, a partire da tale data, sia perché non è configurabile un metus del cittadino verso la pubblica amministrazione sia perché, nei rapporti a tempo determinato, il mancato rinnovo del contratto integra un’apprensione che costituisce una mera aspettativa di fatto, non giustiziabile per la sua irrilevanza giuridica.
È stata, infatti, ribadita la diversità che caratterizza, da un lato, il rapporto di lavoro subordinato privato e, dall’altro lato, il rapporto di pubblico impiego.
Quest’ultimo, infatti, sebbene ormai privatizzato, resta comunque non solo assoggettato ai limiti conformativi posti dalle norme costituzionali di cui agli artt. 28, 51, 97, 98 Cost. nonché dall’ordinamento dell’Unione Europea ma anche caratterizzato da
una specifica disciplina, quella del D. Lgs. 165/2001, in tema di esclusione della configurabilità della stabilizzazione nei confronti delle pubbliche amministrazioni, in quanto vincolate al rispetto dei principi costituzionali e della legge.
In questo quadro nel quale, pur in presenza dell’instaurarsi in via di fatto di un rapporto di lavoro subordinato, deve comunque escludersi qualunque aspettativa alla stabilizzazione dell’impiego -emerge la conseguente assenza del profilo fondamentale al quale invece, nel caso del rapporto di lavoro privato, è stato ricollegato quel metus che paralizzerebbe l’esercizio dei diritti, precludendo di conseguenza il decorso della prescrizione.
A ciò consegue la piena decorrenza della prescrizione anche in costanza di rapporto, non essendo ravvisabile alcuna aspettativa del lavoratore alla stabilità dell’impiego e quindi l’assenza di un metus in ordine alla mancata continuazione del rapporto.
A non diverse conclusioni è pervenuta questa Corte con l’ordinanza n. 11622 del 2024 , in relazione a fattispecie analoga a quella in esame.
Si è osservato che se, infatti, la qualificazione formale di un rapporto come lavoro socialmente utile non impedisce di accertare che nel concreto il rapporto abbia avuto carattere diverso, configurando un vero e proprio lavoro subordinato, è proprio da tale affermazione che discende la conclusione per cui il rapporto in questione resta comunque escluso da un orizzonte di stabilizzazione, con conseguente piena valenza del principio che afferma la decorrenza della prescrizione anche in costanza di rapporto, non ravvisandosi anche in tale ipotesi alcun metus correlato alla (inesistente) perdita di possibilità di vedere il rapporto stabilizzato ed anzi risultando a maggior ragione che la prospettiva del rinnovarsi del rapporto di lavoro socialmente utile presenta il carattere di mera aspettativa di fatto.
Il percorso argomentativo seguito dalla decisione impugnata è conforme con i principi qui richiamati, e da ciò emerge, conseguentemente, la non fondatezza della doglianza formulata nel ricorso.
Il ricorso deve essere rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in euro 3.000,00 per compensi professionali, euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 -quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1bis , dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione