Ordinanza di Cassazione Civile Sez. 1 Num. 33066 Anno 2024
Civile Ord. Sez. 1 Num. 33066 Anno 2024
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 18/12/2024
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 3623/2022 R.G. proposto da :
RAGIONE_SOCIALE in AMMINISTRAZIONE STRAORDINARIA, in persona dei Commissari Straordinari p.t. , rappresentata e difesa dall’avvocata COGNOME (CODICE_FISCALEgiusta procura speciale in calce al ricorso
-ricorrente-
contro
COGNOME NOMECOGNOME rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOMECODICE_FISCALE giusta procura speciale in calce al controricorso
-controricorrente-
avverso il DECRETO del TRIBUNALE di MILANO n. 110922/2021 depositato il 28/12/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 25/09/2024 dal Consigliere NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1.Il Tribunale di Milano, con decreto depositato il 28.12.2021 ha accolto l’opposizione ex art. 98 l. fall. proposta da NOME COGNOME avverso lo stato passivo di RAGIONE_SOCIALE in Amministrazione
Straordinaria e ha ammesso l’ulteriore credito privilegiato di € 13.591,01 vantato dall’opponente, già dipendente della società, a titolo di premio di collaborazione per il periodo 2013- 2019.
Il giudice di merito ha rigettato l’eccezione di prescrizione del credito sollevata dall’AS e, pur dando atto che, in base agli accordi raggiunti nel 2013 e 2018 tra le RSU e la datrice di lavoro, il premio di collaborazione era stato condizionato al raggiungimento di risultati prefissati, ha rilevato che in realtà detto premio, al di là del nomen iuris utilizzato, è una retribuzione patrimoniale accessoria che rientra a far parte del corrispettivo dovuto per la prestazione lavorativa; ha quindi ritenuto che la pattuizione che ne prevedeva la corresponsione senza alcuna condizione, contenuta nel contratto di lavoro individuale a suo tempo stipulato fra COGNOME e COGNOME non potesse essere modificata in maniera peggiorativa dalla contrattazione collettiva, anche se successiva, ai sensi dell’art. 2077 comma 2° cod. civ..
RAGIONE_SOCIALE in AS ha proposto ricorso per la cassazione del decreto, affidandolo a due motivi.
NOME COGNOME ha resistito in giudizio con controricorso illustrato da memoria.
CONSIDERATO CHE
Il primo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione tra le parti, ex art. 360 comma 1° n. 5 cod. proc. civ., nonché la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.
La ricorrente lamenta che il tribunale non abbia tenuto conto, ai sensi dell’art. 115 c.p.c., che l’accordo del 12 luglio 2013 stipulato fra RAGIONE_SOCIALE e la RAGIONE_SOCIALE, che prevedeva che il conseguimento del premio di collaborazione fosse legato al raggiungimento di un valore della voce di bilancio definita ‘risultato ordinario’ , era stato accettato senza condizioni dall’ assemblea dei lavoratori chiamata a ratificarlo ed era stato confermato nel successivo contratto collettivo del 2018
e, inoltre, che non abbia considerato che COGNOME che non aveva mai impugnato il regolamento negoziale deciso in sede di contrattazione collettiva e che non aveva mai richiesto a Selta i n bonis il pagamento del premio, aveva tenuto una condotta implicante l’accettazione dell’accordo per facta concludentia o, comunque, per acquiescenza.
Il motivo è inammissibile perché non specifica, secondo quanto richiesto dall’art. 366, I comma nn. 4 e 6 c.p.c. nonché dall’art. 360, I comma, n. 5 c.p.c., come e in quale esatta sede processuale siano state allegate (prima ancora che provate) le circostanze asseritamente ‘pacifiche’ di cui denuncia l’omesso esame (l’indizione di un’assemblea fra i lavoratori per ratificare l’accordo collettivo, la sua incondizionata approvazione, il comportamento concludente di COGNOME) delle quali non si fa menzione nel decreto impugnato (cfr., per tutte, Cass. S.U. n. 8053/2014).
Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2948 n. 4 cod. civ.. , per avere il Tribunale di Milano affermato che il termine di prescrizione quinquennale dei crediti di lavoro non decorre in costanza del rapporto.
Secondo la procedura ricorrente, nonostante l’entrata in vigore della l . n. 92/2012 che ha riformato l’art. 18 della l. n. 300/1970, l’attuale sistema di garanzie predisposte a fronte del licenziamento illegittimo realizza quella condizione di stabilità cui segue la decorrenza della prescrizione durante il rapporto lavorativo.
4. Il motivo è infondato.
Questa Corte, con la recente sentenza n. 26246/2022, ha osservato che anche la pronuncia della Consulta n. 194 del 26.6.2018, con cui è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 3 comma 1° d.lgs n. 23/2015, limitatamente alle parole ‘ di importo pari a due mensilità dell’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio’ , ha ribadito come il legislatore, nell’esercizio della sua discrezionalità, ben possa
prevedere un meccanismo di tutela anche solo risarcitoriomonetario, purché tale meccanismo si articoli nel rispetto del principio di ragionevolezza. In sostanza, è stato confermato il quadro normativo esistente a seguito dell’entrata in vigore della l. n. 92/2012, che considera l’indennità risarcitoria quale legittimo ed efficace rimedio a protezione del lavoratore nelle ipotesi di illegittimità del licenziamento previste dal legislatore e la reintegrazione non più come la forma ordinariamente affidata al giudice per rimuovere gli effetti del licenziamento illegittimo contro ogni forma illegittima di risoluzione del rapporto.
Alla luce di tale considerazione, la sentenza citata ha evidenziato come il modificato quadro normativo non assicuri un’adeguata stabilità del rapporto di lavoro: se è pur vero che il lavoratore ha la possibilità di ottenere una tutela ripristinatoria piena ove il giudice accerti che, al di là delle ragioni apparenti addotte dal datore di lavoro (esistenza di una giusta causa o giustificato motivo oggettivo) il licenziamento trovi quale unica ragione quella di reagire alle rivendicazioni avanzate dal dipendente prima in pendenza del rapporto, tuttavia, l’individuazione del regime di stabilità sopravviene ‘ ad una qualificazione definitiva del rapporto per attribuzione del giudice, all’esito di un accertamento in giudizio, e quindi necessariamente ex post: così affidandone l’identificazione, o meno, al criterio del ‘caso per caso’ rimesso di volta in volta al singolo accertamento giudiziale’.
La sentenza, in conclusione, ha enunciato il principio di diritto, che questo collegio condivide pienamente, secondo cui ‘Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della l. n. 92 del 2012 e del d.lgs n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della l. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a
norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro’.
Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in € 3.700,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, se dovuto, per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma il 25.9.2024