Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 1715 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 1715 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data pubblicazione: 16/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso 22010-2022 proposto da:
RAGIONE_SOCIALE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio degli avvocati NOME COGNOME, NOME COGNOME che la rappresentano e difendono;
– ricorrente –
contro
NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dagli avvocati NOME COGNOME, ERNESTO NOME COGNOME;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1016/2022 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/03/2022 R.G.N. 2049/2020;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/12/2023 dal AVV_NOTAIO COGNOME.
R.NUMERO_DOCUMENTO.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 12/12/2023
CC
RILEVATO CHE
con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’appello di Napoli rigettava il gravame di RAGIONE_SOCIALE avverso la sentenza di primo grado, che aveva accolto il ricorso proposto da NOME COGNOME per il riconoscimento di un superiore inquadramento (nella specie V° livello di cui al CCNL RAGIONE_SOCIALEunicazioni, profilo Specialista di attività tecniche integrate) a decorrere da gennaio 2008, rigettando, altresì, l’eccezione di prescrizione dei crediti maturati.
Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione RAGIONE_SOCIALE sulla base di un motivo cui ha resistito con controricorso il lavoratore. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei successivi sessanta giorni.
CONSIDERATO CHE
con il primo e unico motivo di ricorso parte ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 2935 e 2948, n. 4, cod.civ. avendo, la Corte territoriale, respingendo l’eccezione di p rescrizione dei crediti retributivi, errato nel ritenere il lavoratore fosse sprovvisto, dopo la novella legislativa del 2012, delle garanzie della “tutela forte” (in realtà preservata per diverse ipotesi di recesso), e dunque esposto a metus nei confronti del datore di lavoro con conseguente sospensione del decorso della prescrizione durante il rapporto di lavoro;
il motivo di ricorso è infondato ritenendo il Collegio di dovere dar seguito al principio affermato da recente giurisprudenza di questa Corte, che si richiama anche ai sensi dell’art. 118 disp. att. c.p.c., secondo la quale “Il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della L. n. 92 del 2012 e del D.Lgs. n. 23 del 2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della L. n. 92 del 2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli
art. 2948 c.c., n. 4, e art. 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro” (Cass. n. 26246 del 2022; conf. Cass. n. 29831 del 2022; Cass. n. 30957 del 2022; Cass. n. 30958 del 2022; Cass. n. 9742, 9749, 8403 del 2023).
Il Collegio non ravvisa, infatti ragioni per discostarsi da tali precedenti, atteso che, una volta che l’interpretazione della regula iuris è stata enunciata con l’intervento nomofilattico della Corte regolatrice, essa “ha anche vocazione di stabilità, innegabilmente accentuata (in una corretta prospettiva di supporto al valore delle certezze del diritto) dalle novelle del 2006 (art. 374 c.p.c.) e 2009 (art. 360 bis c.p.c., n. 1)” (Cass. SS.UU. n. 15144 del 2011); invero, l’affermazione concernente la no n vincolatività del precedente deve essere armonizzata con l’esigenza di garantire l’uniformità dell’interpretazione giurisprudenziale attraverso il ruolo svolto dalla Corte di Cassazione (Cass. SS.UU. n. 23675 del 2014), atteso che, in un sistema che valorizza l’affidabilità e la prevedibilità delle decisioni, il quale influisce positivamente anche sulla riduzione del contenzioso, vi è l’esigenza, avvertita anche dalla dottrina, “dell’osservanza dei precedenti e nell’ammettere mutamenti giurisprudenziali di orientamenti consolidati solo se giustificati da gravi ragioni” (in termini: Cass. SS.UU. n. 11747 del 2019).
In conclusione, il ricorso è infondato: il ricorso va rigettato e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza.
Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Cass. SS.UU. n. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio, che liquida in Euro 5.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso per spese generali 15% e accessori di legge, da distrarsi.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Lavoro, il