Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 30648 Anno 2024
Civile Ord. Sez. L Num. 30648 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data pubblicazione: 28/11/2024
ORDINANZA
sul ricorso 25490-2020 proposto da:
BANCA MONTE DEI PASCHI DI SIENA S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato NOME COGNOME;
– ricorrente –
contro
COGNOME NOME, elettivamente domiciliato in ROMA, INDIRIZZO, presso lo studio dell’avvocato NOME COGNOME, rappresentato e difeso dall’avvocato NOME COGNOME;
– controricorrente –
nonchè contro
RAGIONE_SOCIALE (già RAGIONE_SOCIALE);
– intimato –
Oggetto
Costituzione rapporto di lavoro privato
R.G.N. NUMERO_DOCUMENTO
COGNOME.
Rep.
Ud. 24/10/2024
CC
avverso la sentenza n. 674/2019 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 03/02/2020 R.G.N. 839/2017; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 24/10/2024 dal AVV_NOTAIO.
RILEVATO CHE
il Tribunale di Siena, in funzione di giudice del lavoro, dichiarava la sussistenza e persistenza di rapporto di lavoro subordinato tra il ricorrente NOME COGNOME e Banca MPS, a decorrere dall’1.11.1999, per lo svolgimento di mansioni a tempo pieno di analista programmatore riconducibili al III livello della III area professionale del CCNL Credito (in luogo che alle dipendenze di varie società appaltatrici di servizi di manutenzione e risoluzione dei problemi relativi a diverse operazioni di credito presso il RAGIONE_SOCIALE), e condannava la banca al pagamento delle differenze retributive nei limiti della prescrizione quinquennale;
la Corte d’Appello di Firenze respingeva l’appello principale della banca e, in parziale accoglimento dell’appello incidentale del lavoratore, respingeva l’eccezione di prescrizione quinquennale relativa alle differenze retributive spettanti per il periodo lavorato e, per l’effetto, condannava la banca a corrispondere le differenze retributive per l’intero periodo lavorato (nella misura di cui al conteggio allegato al ricorso di primo grado, con esclusione del TFR);
per la cassazione della sentenza d’appello ricorre la banca con 3 motivi; resiste con controricorso il lavoratore; al termine della camera di consiglio, il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza;
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, parte ricorrente denuncia vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 1662, 2094, 2697 c.c., 409, n. 3, c.p.c., 1 legge n. 1369/1960, 29 d. lgs. n. 276/2003 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.); sostiene che non sono stati provati nel caso concreto gli indici sintomatici della subordinazione, perché l’inserimento nell’impresa e la direzione da parte di dipendenti di BMPS non sarebbero sufficienti ai fini dell’accoglimento della domanda del lavoratore, mentre è sufficiente per la genuinità dell’appalto a bassa intensità organizzativa il significativo know-how del personale impiegato;
con il secondo motivo, parte ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1 legge n. 1369/1960, 29 e 30 d. lgs. n. 276/2003 (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.), nonché vizio di omesso esame di fatto decisivo (art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c.); sostiene l’erroneità della valutazione dell’imputazione del rapporto alla banca anziché al consorzio, in quanto la banca poneva a disposizione del consorzio i propri dipendenti in regime di distacco;
con il terzo motivo, deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2948 c.c. (art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.) e chiede la cassazione della sentenza impugnata nella parte in cui ha riconosciuto che la prescrizione dei crediti retributivi decorre dalla cessazione del rapporto di lavoro;
va in primo luogo esclusa l’ammissibilità della censura, contenuta nel secondo motivo, sotto il profilo del n. 5 dell’art. 360 c.p.c., per la ricorrenza, nel caso di specie, di pronuncia nel merito cd. doppia conforme;
neppure sono meritevoli di accoglimento le doglianze di violazione di legge contenute nei primi due motivi, che possono essere tratti congiuntamente per connessione;
invero, è inammissibile il ricorso per cassazione che, sotto l’apparente deduzione del vizio di violazione o falsa applicazione di legge, di mancanza assoluta di motivazione e di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio miri, in realtà, ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito (Cass. S.U. n. 34476/2019);
specificamente, la valutazione circa la sussistenza degli elementi dai quali inferire l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato costituisce un accertamento di fatto, rispetto al quale il sindacato della Corte di cassazione è equiparabile al più generale sindacato sul ricorso al ragionamento presuntivo da parte del giudice di merito; la sussistenza dell’elemento della subordinazione nell’ambito di un contratto di lavoro va correttamente individuata sulla base di una serie di indici sintomatici, comprovati dalle risultanze istruttorie, quali la collaborazione, la continuità della prestazione lavorativa e l’inserimento del lavoratore nell’organizzazione aziendale, da valutarsi criticamente e complessivamente, con un accertamento in fatto insindacabile in sede di legittimità (Cass. n. 14434/2015, n. 11959/2023);
il suddetto schema è applicabile anche con riguardo all’individuazione del datore di lavoro sostanziale in contrasto con le risultanze formali del contratto di lavoro;
nel caso in esame, per quanto riguarda il giudizio di fatto, la Corte di Appello ha effettuato la tipica valutazione di merito che le competeva; in particolare, delimitato l’oggetto del contendere alla qualificazione della prestazione lavorativa resa da NOME COGNOME presso il RAGIONE_SOCIALE da novembre 1999 a febbraio 2014, ha osservato che:
l’istruttoria svolta aveva dimostrato che la normativa applicabile all’inizio del rapporto era quella dettata dall’art. 1 legge n. 1369/1960;
i contratti di appalto opposti dalla banca non riguardavano il primo periodo di servizio;
non vi era prova che il lavoratore avesse iniziato a prestare servizio presso il RAGIONE_SOCIALE in forza di un contratto di appalto o subappalto avente ad oggetto i medesimi servizi individuati poi nel contratto di appalto con RAGIONE_SOCIALE, ed era assente la prova di una fonte negoziale differente;
-il lavoratore era stato inserito nell’ambito di un’organizzazione lavorativa estranea al suo formale datore di lavoro, e aveva fatto costante riferimento, con riguardo agli specifici compiti di programmazione di volta in volta eseguiti, agli specifici input provenienti dal personale di Banca MPS distaccato presso il RAGIONE_SOCIALE;
rimaneva così irrilevante che successivamente al suo avvenuto inserimento nell’organizzazione del gruppo bancario forse sopravvenuta la conclusione di un contratto di appalto a formalizzare la presenza e prestazione già assicurate da tempo;
il RAGIONE_SOCIALE non operava con personale proprio;
non era pervenuto da parte del datore di lavoro sostanziale alcun atto risolutivo;
si tratta di una valutazione scevra da vizi logici e giuridici che, nella complessiva valutazione del materiale istruttorio, resiste alle censure con le quali parte ricorrente pretende, in realtà, di sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, laddove, invece, tutti gli elementi riportati, unitariamente considerati, sono ampiamente sufficienti a sostenere la conclusione assunta dalla Corte di merito;
pertanto, quella presa dalla Corte di Appello risulta una decisione congrua, che rientra nei poteri del giudice di merito effettuare, posto che non viola alcuna norma di legge in ordine alla qualificazione ed alla sussunzione del fatto accertato, atteso che gli elementi evidenziati configurano indici sintomatici della carenza di appalto regolare all’inizio del rapporto e confermano la presenza dei requisiti tipici del lavoro subordinato, attraverso cui la persona si mette a disposizione del datore per essere assoggettato al suo potere di eterodirezione, secondo lo schema unanimemente utilizzato dalla giurisprudenza in merito alla sovrapponibilità delle tematiche della interposizione e di quelle della individuazione della subordinazione;
la decisione cui è prevenuta la Corte territoriale rappresenta quindi una legittima e logica opzione valutativa del materiale probatorio, e si sottrae alle censure articolate nel ricorso con le quali la parte ricorrente si limita a richiedere una diversa valutazione dei fatti già esaminati dal giudice di merito (Cass. n. 8758/2017), in conformità peraltro ad analogo esercizio ricostruttivo operato dal tribunale;
neppure ricorre la lamentata inversione della prova, in quanto i giudici del merito, al contrario, hanno ritenuto idonei gli elementi probatori allegati e dimostrati dal lavoratore;
il terzo motivo di ricorso è infondato;
osserva il Collegio, in continuità ai principi espressi con la sentenza n. 26246/2022, confermati in numerosi provvedimenti successivi, che il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, come modulato per effetto della legge n. 92/2012 e del d. lgs n. 23/2015, mancando dei presupposti di predeterminazione certa delle fattispecie di risoluzione e di una loro tutela adeguata, non è assistito da un regime di stabilità, sicché, per tutti quei diritti che non siano prescritti al momento di entrata in vigore della
legge n. 92/2012, il termine di prescrizione decorre, a norma del combinato disposto degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro;
il principio è stato affermato a seguito della ricostruzione del quadro normativo sviluppatosi con l’entrata in vigore della legge n. 92/2012 e del d. lgs n. 23/2015 e del rilievo che, in ragione delle predette riforme, l’individuazione del regime di stabilità sopravviene solo a seguito di una qualificazione definitiva del rapporto per attribuzione del giudice, e, quindi, solo all’esito di un accertamento in giudizio, ex post ;
infatti, la varietà delle ipotesi di tutela contemplate nel rinnovato art. 18 legge n. 300/1970 e la concreta possibilità che le stesse non necessariamente garantiscano il ripristino del rapporto di lavoro in caso di illegittimo recesso, evidenzia come il regime di stabilità del rapporto, in precedenza assicurato di regola, sia venuto meno nella sua integralità; a tale rinnovata situazione consegue che la prescrizione dei crediti del lavoratore decorre, in assenza di un regime di stabilità reale, dalla cessazione del rapporto di lavoro;
le spese del presente giudizio di legittimità seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come da dispositivo
al rigetto dell’impugnazione consegue il raddoppio del contributo unificato, ove dovuto nella ricorrenza dei presupposti processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 5.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese generali al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma nell’Adunanza camerale del 24 ottobre 2024.