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Prescrizione crediti di lavoro: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 30648/2024, ha stabilito che la prescrizione dei crediti di lavoro di un dipendente, impiegato in un appalto non genuino, decorre dalla cessazione del rapporto. Questa decisione si fonda sulla mancanza di un regime di stabilità reale a seguito delle riforme del mercato del lavoro, che giustifica il timore del lavoratore di essere licenziato qualora agisca in giudizio durante il rapporto. La Corte ha rigettato il ricorso di un istituto bancario, confermando la natura subordinata del rapporto di lavoro e la condanna al pagamento delle differenze retributive per l’intero periodo lavorato.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Prescrizione crediti di lavoro: decorre dalla fine del rapporto se manca la stabilità

La decorrenza della prescrizione crediti di lavoro è una questione cruciale che incide profondamente sui diritti dei lavoratori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione, la n. 30648 del 2024, è intervenuta per consolidare un principio fondamentale: in assenza di un regime di stabilità reale, il termine per richiedere le differenze retributive inizia a decorrere solo dalla cessazione del rapporto di lavoro. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Appalto simulato e rapporto di lavoro

La vicenda riguarda un analista programmatore che, per quasi quindici anni (dal 1999 al 2014), ha lavorato a tempo pieno a beneficio di un noto istituto bancario. Formalmente, il lavoratore era dipendente di diverse società appaltatrici e, successivamente, di un consorzio operativo del gruppo bancario. Tuttavia, nella sostanza, egli era pienamente inserito nell’organizzazione aziendale della banca, ricevendo ordini e direttive direttamente dal personale di quest’ultima.

Il lavoratore ha quindi agito in giudizio per ottenere il riconoscimento di un unico rapporto di lavoro subordinato direttamente con l’istituto bancario. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno accolto la sua domanda, accertando la natura fittizia dell’appalto e condannando la banca al pagamento delle differenze retributive. La Corte d’Appello, in particolare, ha respinto l’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca, condannandola a corrispondere le somme dovute per l’intero periodo lavorato.

La Decisione della Corte di Cassazione

L’istituto bancario ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su tre motivi principali:

1. Errata valutazione della subordinazione: La banca sosteneva che non fossero stati provati gli indici della subordinazione.
2. Errata imputazione del rapporto: A suo dire, il rapporto di lavoro doveva essere imputato al consorzio e non alla banca.
3. Violazione delle norme sulla prescrizione: La banca contestava la decisione della Corte d’Appello di far decorrere la prescrizione dalla fine del rapporto.

La Suprema Corte ha rigettato integralmente il ricorso. Ha ritenuto i primi due motivi inammissibili, in quanto miravano a una rivalutazione dei fatti già accertati dai giudici di merito. La Corte ha ribadito che l’individuazione del reale datore di lavoro e la qualificazione del rapporto sono accertamenti di fatto, insindacabili in sede di legittimità se sorretti da una motivazione logica e coerente, come nel caso di specie.

Le motivazioni: L’analisi sulla prescrizione crediti di lavoro

Il punto centrale e più rilevante della decisione riguarda il terzo motivo di ricorso, relativo alla prescrizione crediti di lavoro. La Corte di Cassazione ha confermato l’orientamento, già espresso in precedenti pronunce (come la sentenza n. 26246/2022), secondo cui le riforme del mercato del lavoro (in particolare la Legge n. 92/2012 e il D.Lgs. n. 23/2015, noto come Jobs Act) hanno inciso profondamente sul regime di stabilità del rapporto di lavoro a tempo indeterminato.

Secondo la Corte, queste riforme hanno indebolito la cosiddetta “stabilità reale”, ovvero la tutela che garantiva al lavoratore, in caso di licenziamento illegittimo, la reintegrazione nel posto di lavoro. L’attuale sistema prevede diverse forme di tutela, non tutte orientate al ripristino del rapporto. Questa situazione di incertezza e di minore protezione espone il lavoratore al timore di subire ritorsioni, come il licenziamento, qualora decidesse di far valere i propri diritti retributivi mentre il rapporto è ancora in corso.

Di conseguenza, per tutelare il lavoratore da questa posizione di debolezza, il termine di prescrizione quinquennale per i crediti di lavoro non può decorrere in costanza di rapporto. Esso inizierà a scorrere solo dal momento della sua cessazione, quando il lavoratore è finalmente libero di agire senza temere conseguenze negative sul suo impiego. La Corte afferma che, in assenza di un regime di stabilità reale, la prescrizione decorre, a norma degli artt. 2948, n. 4, e 2935 c.c., dalla cessazione del rapporto di lavoro.

Conclusioni: Implicazioni pratiche per lavoratori e aziende

Questa ordinanza consolida un principio di grande importanza pratica. Per i lavoratori, significa avere a disposizione un arco temporale più lungo per rivendicare eventuali differenze retributive, premi non pagati o straordinari, potendo agire fino a cinque anni dopo la fine del rapporto. Questo è particolarmente rilevante nei casi di rapporti di lavoro non stabili o in cui il lavoratore percepisce una situazione di precarietà.

Per le aziende, la decisione rappresenta un monito. In primo luogo, sottolinea i rischi legali ed economici derivanti da contratti di appalto non genuini, che possono nascondere un’interposizione illecita di manodopera. In secondo luogo, evidenzia come le passività potenziali per crediti di lavoro possano estendersi ben oltre il quinquennio, accumulandosi fino alla cessazione del rapporto, con un conseguente aumento del rischio finanziario in caso di contenzioso.

Quando inizia a decorrere la prescrizione per i crediti retributivi di un lavoratore?
Secondo la Corte, nei rapporti di lavoro non assistiti da un regime di stabilità reale (che garantisce la reintegrazione in caso di licenziamento illegittimo), il termine di prescrizione di cinque anni inizia a decorrere solo dalla data di cessazione del rapporto di lavoro.

Come si stabilisce se un rapporto di lavoro è subordinato anche se mascherato da un contratto di appalto?
La valutazione si basa su indici concreti, come l’inserimento stabile del lavoratore nell’organizzazione aziendale del committente, la continuità della prestazione e, soprattutto, l’esercizio del potere direttivo e di controllo (eterodirezione) da parte del committente stesso, che impartisce ordini e direttive sulle modalità di esecuzione del lavoro.

Perché le recenti riforme del lavoro hanno cambiato le regole sulla decorrenza della prescrizione?
Perché, secondo la Cassazione, riforme come la Legge Fornero (L. 92/2012) e il Jobs Act (D.Lgs. 23/2015) hanno indebolito la stabilità del posto di lavoro, rendendo la reintegrazione una conseguenza non più automatica del licenziamento illegittimo. Questa minore tutela giustifica il timore del lavoratore di agire in giudizio durante il rapporto, posticipando quindi l’inizio della prescrizione alla sua conclusione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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