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Prescrizione crediti di lavoro: la Cassazione conferma

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 6880/2024, ha rigettato il ricorso di una società di trasporti, confermando un principio consolidato in materia di prescrizione crediti di lavoro. La Corte ha stabilito che, a seguito delle riforme del mercato del lavoro (come la Legge n. 92/2012), il rapporto di lavoro a tempo indeterminato non gode più di un regime di stabilità reale. Di conseguenza, il termine di prescrizione quinquennale per i crediti retributivi del lavoratore non decorre in costanza di rapporto, ma solo dalla sua cessazione, per via del timore di ritorsioni da parte del datore di lavoro. La società ricorrente è stata anche condannata per abuso del processo.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto del Lavoro, Giurisprudenza Civile, Procedura Civile

Prescrizione Crediti di Lavoro: La Cassazione Conferma la Decorrenza dalla Fine del Rapporto

Con la recente ordinanza n. 6880 del 14 marzo 2024, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema cruciale del diritto del lavoro: la prescrizione crediti di lavoro. La Suprema Corte ha ribadito con fermezza un orientamento ormai consolidato, secondo cui il termine per far valere i propri diritti retributivi inizia a decorrere non durante il rapporto di lavoro, ma solo al momento della sua cessazione. Questa decisione si fonda sulla constatazione che le riforme legislative, a partire dalla Legge Fornero del 2012, hanno eroso la stabilità reale del posto di lavoro, giustificando la sospensione della prescrizione.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla controversia tra un lavoratore e una nota società di trasporti. Il dipendente chiedeva il riconoscimento, ai fini degli aumenti periodici di anzianità, dell’intero periodo di apprendistato svolto. La Corte d’Appello di Torino aveva dato ragione al lavoratore, dichiarando la nullità delle clausole del contratto collettivo che escludevano tale computo e condannando l’azienda al pagamento delle differenze retributive maturate.

La società, non accettando la decisione, ha presentato ricorso in Cassazione basato su quattro motivi. Tuttavia, in un secondo momento, ha rinunciato ai primi tre motivi, quelli relativi al merito della controversia sull’anzianità, concentrando la propria difesa sull’ultimo punto: la decorrenza della prescrizione.

La Questione della Prescrizione dei Crediti di Lavoro

Il cuore del dibattito legale si è focalizzato sulla tesi dell’azienda, secondo cui la prescrizione quinquennale dei crediti retributivi avrebbe dovuto decorrere anche in costanza di rapporto. A suo dire, la Legge n. 92/2012 (cd. Riforma Fornero) non avrebbe alterato il concetto di stabilità del rapporto di lavoro in modo così significativo da giustificare una deroga alla regola generale.

Questa posizione si scontra frontalmente con l’orientamento maggioritario della giurisprudenza, che invece lega la decorrenza della prescrizione alla stabilità del posto. Il principio di fondo è che un lavoratore, privo di una solida tutela contro il licenziamento illegittimo, potrebbe essere indotto a non esercitare i propri diritti per timore di subire ritorsioni, come il licenziamento stesso. Questo stato di soggezione psicologica (‘metus’) giustifica la sospensione del termine prescrizionale fino alla cessazione del rapporto, momento in cui il lavoratore può agire liberamente.

Le Motivazioni della Decisione

La Corte di Cassazione ha rigettato il motivo di ricorso dell’azienda, confermando integralmente la propria giurisprudenza, inaugurata con la sentenza n. 26246/2022. I giudici hanno chiarito che il quadro normativo introdotto dalla Legge n. 92/2012 e successivamente dal D.Lgs. n. 23/2015 (Jobs Act) ha effettivamente modificato la natura del rapporto di lavoro a tempo indeterminato. Le nuove norme, introducendo una varietà di tutele (spesso solo di natura economica e non reintegratoria) e non predeterminando con certezza le fattispecie di risoluzione, hanno privato il rapporto di quel regime di ‘stabilità reale’ che prima lo caratterizzava. Di conseguenza, per tutti i diritti che non erano già prescritti al momento dell’entrata in vigore della Legge Fornero, il termine di prescrizione decorre solo dalla cessazione del rapporto di lavoro. L’insistenza della società nel portare avanti un motivo di ricorso palesemente contrario a un orientamento così consolidato è stata inoltre sanzionata come ‘abuso del processo’, con la condanna al pagamento di un’ulteriore somma a titolo di responsabilità aggravata.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio di fondamentale importanza per la tutela dei lavoratori. La decorrenza della prescrizione dei crediti di lavoro solo dalla fine del rapporto protegge il dipendente da possibili pressioni e garantisce l’effettività dei suoi diritti. Per i datori di lavoro, questa decisione rappresenta un monito a non insistere in contenziosi con esito prevedibile, pena l’applicazione di sanzioni per abuso del processo. In sintesi, la stabilità del rapporto di lavoro rimane il criterio fondamentale per determinare se il lavoratore sia in condizione di agire liberamente per la tutela dei propri diritti economici durante il rapporto stesso.

Quando inizia a decorrere la prescrizione per i crediti di lavoro?
Secondo la Corte di Cassazione, per i rapporti di lavoro non assistiti da un regime di stabilità reale, il termine di prescrizione quinquennale per i crediti retributivi decorre dalla data di cessazione del rapporto di lavoro e non durante il suo svolgimento.

La Legge Fornero (n. 92/2012) ha modificato il regime di stabilità del rapporto di lavoro?
Sì, la Corte ha stabilito che la Legge n. 92/2012 e le successive riforme hanno ridotto la stabilità del rapporto di lavoro. La varietà delle tutele previste in caso di licenziamento illegittimo non garantisce più sistematicamente il ripristino del rapporto, minando così la ‘stabilità reale’ che in precedenza lo caratterizzava.

Cosa succede se si insiste in un ricorso nonostante un orientamento giurisprudenziale consolidato e contrario?
Insistere in un ricorso manifestamente infondato, contrario a un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, può configurare un’ipotesi di ‘abuso del processo’. In tal caso, la parte soccombente può essere condannata, oltre che alle spese legali, anche al pagamento di una somma aggiuntiva a titolo di responsabilità aggravata, come avvenuto nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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