Ordinanza di Cassazione Civile Sez. L Num. 22144 Anno 2025
Civile Ord. Sez. L Num. 22144 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data pubblicazione: 31/07/2025
Oggetto
Previdenza
Contributi
R.G.N. 17405/2022
COGNOME
Rep.
Ud. 13/05/2025
CC
ORDINANZA
sul ricorso 17405-2023 proposto da:
COGNOME rappresentato e difeso dall’avvocato COGNOME;
– ricorrente –
contro
RAGIONE_SOCIALE – Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Ingegneri ed Architetti Liberi Professionisti, in persona del Presidente e legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avvocato NOME COGNOME
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 131/2023 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 10/03/2023 R.G.N. 657/2020; udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
13/05/2025 dalla Consigliera Dott. NOME COGNOME
RILEVATO CHE
1. La Corte di appello di Venezia, in accoglimento dell’appello principale di RAGIONE_SOCIALE, rigettato quello incidentale di NOME COGNOME e in riforma della decisione di primo grado, ha respinto l’opposizione a decreto ingiuntivo da quest’ultimo proposta nei confronti della prima. Per l’effetto, ha condannato l’odierno ricorrente a corrispondere ad RAGIONE_SOCIALE la somma di € 293.453,30 con gli interessi legali dal dovuto al saldo.
A fondamento della decisione, la Corte di merito ha, in premessa, osservato che l’ingiunzione di pagamento riguardava l’omesso versamento di contributi per gli anni dal 1998 al 2014, con le relative sanzioni e gli interessi
In discussione la prescrizione del credito contributivo, la Corte di appello ha giudicato «le comunicazioni in atti idonee ad interrompere il decorso della prescrizione siccome (comprensive della) richiesta di pagamento, con indicazione delle annualità, del genere e degli importi richiesti ». La Corte territoriale ha, altresì, osservato che «le lettere di diffida inviate (erano state) accompagnate da prospetti riepilogativi o dall’estratto conto previdenziale nel quale (era) indicato il debito contributivo».
A supporto delle esposte considerazioni, la Corte di appello ha riportato, a titolo esemplificativo, il contenuto di una comunicazione (quella del 23 luglio 2004) per poi evidenziare che le successive lettere del 10.01.2009 e del 23.04.2012 erano, per contenuto, «omologhe e sovrapponibili».
La Corte territoriale ha, in ultimo, precisato che gli atti «anche nella parte in cui evidenzia(vano) la debenza delle sole sanzioni, riporta(vano) in allegato l’estratto previdenziale con il relativo debito dal quale emerge(va) la precisa volontà di
pretendere la debenza tanto delle sanzioni quanto dei sottesi contributi».
Avverso la decisione, ha proposto ricorso NOME COGNOME con cinque motivi. Ha resistito, con controricorso, Inarcassa. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
CONSIDERATO CHE
Con il primo motivo ai sensi dell’ art. 360 n. 3 c.p.c.- è dedotta la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, in relazione all’art 2943, 4° comma , c.c., e all’art. 1335 c.c.
Nel complesso, parte ricorrente deduce l’intervenuta estinzione del credito contributivo e l’inido neità degli atti ad interrompere il corso della prescrizione.
Più nello specifico, si assume che:
-il giudice di appello non avrebbe considerato che l’indirizzo presso il quale erano state inviate le comunicazioni non era l’ indirizzo del destinatario;
-le comunicazioni non erano state ricevute dal destinatario;
-le comunicazioni successive a quella del 2004 non recavano, in allegato, l’estratto contributivo;
-non era esatto il contenuto delle comunicazioni riportato nella sentenza impugnata;
-le comunicazioni non erano utilizzabili come fonti di prova perché i relativi avvisi di ricevimento non erano stati prodotti in originale;
-la parte aveva sollevato, all’udienza del 12.4.2018 , specifiche eccezioni di non conformità agli originali degli atti.
Osserva il Collegio che i rilievi, nel loro complesso, siano da disattendere.
In primo luogo, non risultano adeguatamente trascritti i documenti su cui si fondano le critiche. In ogni caso, le censure pongono questioni che, in parte di fatto, in parte di esegesi dei documenti probatori, non sono ritualmente devolute alla Corte.
Gli accertamenti svolti dai giudici territoriali, in ordine all’ invio e alla ricezione delle comunicazioni al debitore, integrano tipici accertamenti di competenza del giudice del merito, come tali sindacabili in sede di legittimità esclusivamente nei ristretti limiti di cui all’art. 360 nr. 5 c.p.c., qui non illustrati.
Analogamente costituisce attività propria ed esclusiva del giudice di merito l’i nterpretazione degli atti negoziali; il sindacato del giudice di legittimità è confinato alla verifica del rispetto dei canoni legali di ermeneutica contrattuale; ciò che, però, impone il rigoroso onere, per il ricorrente, di specificare puntualmente i criteri asseritamente violati, il modo in cui il giudice del merito se ne sia discostato e il perché la soluzione interpretativa proposta sia l’unica plausibile. Profili tutti non efficacemente sviluppati in ricorso.
Deve, poi, aggiungersi, con riferimento all’eccezione di non conformità degli atti agli originali (v. supra punto 5.) che la produzione, in fotocopia, dei documenti non rende, per ciò solo, gli stessi privi di valenza probatoria poiché il Giudice, alla luce degli elementi istruttori disponibili, compresi quelli di natura presuntiva, può sempre valutare l’idoneità del documento a dimostrare la sussistenza dei fatti in esso rappresentati.
A prescindere da ciò, anche sul punto, le censure sono genericamente sviluppate. Si rammenta il principio per cui «la contestazione della conformità all’originale di un documento prodotto in copia non può avvenire con clausole di stile e generiche o onnicomprensive, ma va operata -a pena di
inefficacia -in modo chiaro e circostanziato, attraverso l’indicazione specifica sia del documento che si intende contestare, sia degli aspetti per i quali si assume differisca dall’originale» ( ex plurimis , Cass. nr. 27633 del 2018). Ciò che, nella specie, non è efficacemente dimostrato.
Con il secondo motivo ai sensi dell’art. 360 nr. 4 c.p.c. -è dedotta la nulli tà della sentenza per violazione dell’art. 115 c.p.c. con riferimento alla statuizione contenuta al punto 6.4 della sentenza, per avere la Corte di appello rigettato l’eccezione di prescrizione sul presupposto che il ricorrente non avesse richiesto di provare la falsità della sottoscrizione.
6. Il motivo è infondato.
La Corte di merito ha richiamato l’art. 1335 c.c. in base al quale l’atto unilaterale recettizio (quale è l’atto di messa in mora) si presume conosciuto quando perviene all’indirizzo del destinatario, salva la prova a carico di quest’ultimo di essere stato , senza colpa, nell’impossibilità di conoscerlo . Quindi, dopo avere accertato che gli atti di messa in mora erano giunti all’indirizzo del destinatario, ha ritenuto interrotta la prescrizione, in difetto di prova contraria da parte del debitore. Nel descritto percorso argomentativo, non è riscontrabile alcuna violazione dell’art. 115 c.p.c. ma piuttosto una coerente applicazione della regola di diritto enunciata in premessa.
Con il terzo motivo -ai sensi dell’art. 360 nr. 4 c.p.c. -è dedotta la violazione dell’ art. 132, co. 2, nr. 4 c.p.c. e dell’ art. 111 Cost.; in particolare, è denunciata la carenza di motivazione in relazione: -alla supposta valenza, ai fini della pretesa dei contributi, delle richieste formulate con riguardo alle sole sanzioni; – in relazione alla affermata ma non giustificata mancata maturazione della prescrizione; – alla ritenuta idoneità delle comunicazioni di RAGIONE_SOCIALE ad interrompere la
prescrizione; – in relazione al rigetto del primo motivo di appello incidentale quale conseguenza dell’accoglimento dell’appello principale.
8. Anche il terzo motivo è infondato.
Giova ricordare che per costante orientamento di questa Corte (Cass., sez. un., nr 19881 del 2014; Cass., sez. un., nr. 8053 del 2014) il vizio di «anomalia motivazionale», denunciabile in sede di legittimità, ricorre quando il giudice, in violazione di un obbligo di legge, costituzionalmente imposto, ometta di illustrare il percorso logico seguito per pervenire alla decisione assunta. La sanzione di nullità colpisce, pertanto, non solo le sentenze che siano del tutto prive di motivazione da punto di vista grafico ma anche quelle che presentano un «contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili» ovvero «una motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile» (Cass., sez. un., nr. 8053 del 2014 cit).
È stato, peraltro, precisato che di «motivazione perplessa e incomprensibile» o di «motivazione apparente» può parlarsi quando essa non renda «percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’ iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consenta alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice» (Cass., sez.un. nr. 22232 del 2016).
Nel caso di specie, è sufficiente richiamare la sintesi riportata nello storico di lite per escludere la violazione denunciata; il percorso argomentativo è chiaro e comprensibile in relazione a tutti i profili denunciati. Deve solo evidenziarsi che i l rigetto del primo motivo dell’appello incidentale è conseguito, in via di logica derivazione, al l’afferma ta idoneità degli atti ad interrompere tanto il credito principale che quello accessorio.
Con il quarto motivo ai sensi dell’art . 360 nr. 4 c.p.c.è dedotta la violazione degli artt. 342 e 329, co.2., c.p.c. per avere la sentenza impugnata riformato la pronuncia di primo grado -pur in assenza di uno specifico motivo di appello- che aveva, invece, ritenuto necessari gli avvisi di ricevimento in originale delle lettere inviate da RAGIONE_SOCIALE.
Le censure sono da respingere.
A tacere del fatto che il motivo neppure trascrive la sentenza di primo grado e l ‘atto di appello, Inarcassa, per come riportato nella sentenza impugnata, ha devoluto alla Corte di appello la questione di prescrizione del credito contributivo, così riaprendo tutti i profili alla stessa connessi. In realtà, parte ricorrente ripropone le medesime censure già esaminate in relazione primo motivo e, pertanto, vanno ribadite le considerazioni già svolte.
Con il quinto motivo ai sensi dell’art. 360 nr. 3 c.p.c.- è dedotta la violazione dell’art. 2943 c.c. e del ‘ diritto vivente ‘ in tema di ‘comunicabilità’ degli atti interruttivi del credito principale anche alle poste accessorie come le sanzioni.
L ‘ultimo motivo è inammissibile. Per come formulato, esso pone questioni di fatto e non di diritto. Parte ricorrente insiste nel sostenere che le comunicazioni avevano riguardato solo le sanzioni e non anche i crediti principali cui accedevano.
In modo evidente, è censurata la ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza impugnata.
Va rammentato il costante insegnamento della Corte per cui «la violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica, pertanto, un problema interpretativo di quest’ultima, laddove l’allegazione di un’erronea applicazione della legge in ragione
della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa ed inerisce, pertanto, alla tipica valutazione del giudice di merito, sindacabile in sede di legittimità unicamente sotto l’aspetto del vizio di motivazione» (tra le tante più recenti, v. Cass. nr. 25182 del 2024).
In altri termini, la ricostruzione dei fatti storici- quale è anche, come di è detto, quella relativa al contenuto degli atti di messa in mora – costituisce un prius rispetto all’applicazione delle norme di diritto, non censurabile in termini di violazione di legge.
Conclusivamente, il ricorso va rigettato, con le spese che seguono la soccombenza e si liquidano, in favore della parte controricorrente, come in dispositivo.
Infine, occorre dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1bis (cfr. Cass. Sez.U. nr. 4315 del 2020).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in favore della parte controricorrente, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi professionali, in Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater , nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis .
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale del 13 maggio 2025.
La Presidente NOME COGNOME